domenica 29 dicembre 2013

FOTO-(NON)RICORDO

Un'immagine è come un diamante, e cioè per (quasi) sempre, e tra riproduzioni e rappresentazioni le arti figurative sono senz'altro tra le attività che meglio descrivono le società moderne e non solo. Una svolta è stata senz'altro rappresentata dall'arte della fotografia, ossia la rappresentazione della verità che ci circonda in modo di fatto automatico, vale a dire attraverso uno strumento in grado di imprimere realtà, situazioni e anche emozioni correlate. In tempi molto recenti la fotografia è diventata una realtà alla portata di tutti, poiché si è sdoganato il mezzo attraverso cui effettuare tale attività: la lente ottica che cattura le immagini si è fatta sempre più sofisticata eppur sempre più ridotta, e tanto le piccole (e grandi) fotocamere quanto le lenti incorporate ai moderni cellulari ci permettono davvero di fermare nel tempo una qualsivoglia istantanea. Certo, probabilmente la qualità media si è abbassata, ma si tratta di fatto di un prezzo da pagare per permettere una democratizzazione globale dell'immagine. Ciò che forse è cambiato, in virtù di una "economia" della fotografia mutevolmente cambiata, è il motivo per cui si fotografa: non per arte, non per sé, ma per il puro gusto di condividere a priori. E qui, forse, i social media hanno la loro parte: offrire la possibilità di condividere immagini a chiunque - e per chiunque, forse è qui la differenza - ha fatto sì che anche la nostra percezione della qualità fotografica e del suo significato intrinseco subisse delle profonde mutazioni. Una ricerca accademica di un'università statunitense ha cercato di analizzare il rapporto che sussiste tra immagine e memoria, intesa come capacità di ricordo della mente umana. Ebbene, i risultati affermano che maggiore il numero di foto scattate e minore il ricordo impresso nella nostra mente: insomma, è più facile che un'immagine rimanga più impressa in una scheda di memoria, che nella nostra, di memoria. A meno che non ci si concentri sui dettagli, in pratica, fotografare immagini rimane quasi un'attività fine a se stessa, quasi un atto automatico su cui ci si concentra molto, forse troppo: ne consegue che ci si dimentica prima dell'esperienza reale vissuta. Quali i motivi che portano a questi risultati? E' possibile che le macchine fotografiche - o i cellulari, beninteso - rappresentino un vero e proprio "filtro" tra noi e l'esperienza che stiamo vivendo, il che porta a questo scioglimento del ricordo. Forse ci si concentra troppo tra messa a fuoco, inquadratura e scatto: o forse è proprio questo sdoganamento assoluto della fotografia a causare questa situazione. O ancora, forse è lo sdoganamento legato alla condivisione a tutti i costi delle immagini ad aver causato questa situazione. Un'immagine è (quasi) per sempre ed è sempre bella condividerla: è forse il doverlo fare a tutti i costi per far finire queste foto su qualche stream fotografico su Facebook o Instagram a liquefare il ricordo legato all'immagine. E' il cuore il luogo della memoria, forse tocca tenerlo a mente.

sabato 28 dicembre 2013

LA CAPRA? CAMPA!

Quale miglior regalo di Natale se non una involontaria iscrizione a Facebook per conto terzi? E' facile, veloce, è gratis e lo sarà sempre (cit.) e in più non è riciclabile, come impone la tradizione natalizia. La notizia rimbalzata da HuffPost ci presenta una nuova iscritta al vostro social network preferito: la signora Capra, centodieci candeline spente e già un buon pacchetto di amici nel suo network. Vien sempre da chiedersi quale sia l'utilizzo che farà l'arzilla signora con Facebook, se chattare con i nipoti o se cercare magari qualche compagno di scuola o qualche vecchia fiamma (forse più cenere che altro... ok, pessima, scusate). Ad ogni modo, due restano gli interrogativi da porsi: il primo risiede sempre nella consapevolezza della signora a proposito dell'uso dei contenuti che viene fatto su Facebook (è stata iscritta da altri: avrà letto - e accettato - i termini e condizioni di utilizzo del sito?); la seconda è che ha (hanno) dovuto mentire sull'età, poiché il suo anno di nascita non era contemplato tra le opzioni disponibili. Insomma, dopo il caso dell'anziana nonnina statunitense che ha espressamente chiesto la sua classe di nascita al sig. Facebook, ecco un altro annoso caso di identità taroccata. Sull'anagrafe non si scherza, eh: è una questione di seri-età.

giovedì 26 dicembre 2013

"ERRANDO" PER LA RETE

Fine anno, tempo di bilanci. Come ogni fine che si rispetti, ecco giungere puntuali le classifiche riguardanti qualsiasi campo dello scibile umano. Inutile rimarcare che la parola più cercata sul principale motore di ricerca sia stata - ancora una volta - Facebook: d'altronde quale miglior mezzo per accedere al vostro social network preferito se non quello di cercarlo attraverso un motore di ricerca anziché metterlo tra i preferiti e/o simili? Questo dato fa capire quanto si utilizzi questo strumento per generare contenuti: certo, esistono altre piattaforme molto popolari come Twitter, ma insomma, per scovare qualche autentica perla basterebbe anche solo farsi un giro su qualche bacheca. È il "rischio" di concedere proprio a tutti la possibilità di scrivere: ecco perché, per farsi due risate e salutare degnamente l'anno che sta per andare in soffitta, l'Huffington Post ha stilato un elenco delle gaffe più esilaranti o inappropriate partorite da vip, politici e affini. Menzione speciale e premio fuori concorso per due cinguettii (pare uno sia fake, ma lasciatemi pensare il contrario, vi prego) legati ad un recente evento che ha suscitato profonda emozione (e ilarità, leggendoli) nell'opinione pubblica. Già, è il rischio di concedere a tutti, ma proprio a tutti, uno spazio digitale su cui scrivere il proprio pensiero.

mercoledì 4 dicembre 2013

QUANTO ODIO (SU) FACEBOOK

A metà tra un passatempo/gioco - come spesso accade dalle parti del vostro social network preferito - e la curiosità di ca(r)pire e sapere si colloca l'ennesima app che si interfaccia con Facebook (traendo chissà quali dati, ma questa è un'altra storia). Curiosi di sapere chi non vi sopporta proprio e ha accettato la vostra amicizia solo per non fare una brutta figura o perché in-fondo-che-male-c'è? Bene, a tutto c'è un'app, e questo caso non rappresenta la classica eccezione alla regola. L'applicazione si chiama Hate With Friends e di fatto vi permette la possibilità di scegliere, all'interno della vostra lista amici, quelli che vorreste eliminare perché non sopportate, perché non sapete in realtà chi siano o perché...per vari motivi, insomma. La lista "nera" rimane lì e l'applicazione promette di non rivelare la vostra odiosa intenzione: nel momento in cui l'odiato amico compie la stessa azione selezionando il vostro profilo, l'inimicizia è bella che pronta per essere consumata e una notifica ai fratelli coltelli stabilisce l'odio corrisposto e (ap)palesato. Magari vi torna utile: prendetevi un app...punto.

mercoledì 6 novembre 2013

QUESTA PRIVACY NSA DA FARE

...vogliono il numero, io non lo do / tanto lo so / che siamo almeno tre al telefono - il triangolo no...

Dopo qualche mese torna alla carica il caso delle intercettazioni digitali che ha sconvolto l'opinione pubblica in virtù di nuove rivelazioni e succulenti dettagli. Insomma, pare che anche i Capi di Stato non siano esenti dal controllo preventivo delle proprie comunicazioni, e laddove non si riesca indirettamente a captare i dialoghi c'è sempre un buon vecchio metodo che sembra più uscito da un film di fantapolitica che da un incontro ufficiale tra i potenti del mondo. Poi arrivano le precisazioni: insomma, non pensiate di essere ascoltati, siamo solo monitorati. Ah beh, consolazione. Occorre però riflettere a proposito di un paio di questioni che interessano tutti noi: la prima riguarda il livello di dipendenza (in senso prima di tutto "neutro") da tutti gli strumenti digitali, siano questi cellulari, computer connessi o offline, macchine. Occorre pensare che la Rivoluzione Digitale ha sì dato enormi benefici nel nostro quotidiano, ma dall'altra ha anche creato una "discarica" di dati facilmente (ri)reperibili, riutilizzabili, riorganizzabili a proprio uso e consumo. La seconda questione riguarda invece tutti quelli che si scandalizzano a proposito di questo presunto "controllo" continuo: in una società sempre meno attenta alla privacy e sempre più esposta alla condivisione pubblica di informazioni per mezzo di servizi offerti gratuitamente, quanto ci si può sentire "al sicuro"? Forse val la pena prendersi un po' di tempo e leggersi questa (ok, un po' lunghetta) intervista al classico esperto-del-settore per fare non dico chiarezza, ma per capire con quanta facilità circolino tutti i tipi di dati digitali. I(ns)omm(a), quasi quasi le informazioni son servite su un piatto d'argento: da quelle parti avran pensato 'perché non approfittarne'?

sabato 2 novembre 2013

DIVERGENZE OBBLIGATE(S)

...non è l'amore a far girare il mondo, ma il cash fondo, macchiato di rosso profondo...

La dichiarazione suona un po' come un padre che bacchetta il figlio dimenticando che in gioventù è stato anch'egli giovane, un po' ribelle e con la propria visione del mondo, ma tant'è. Bill Gates, padre-padrone del mondo dell'informatica targata inizio anni'80-fine anni '80-un bel po' di anni '90 e indissolubilmente legato al nome Microsoft, ha attaccato senza troppi termini Mr Facebook (padre-padrone del mondo dei servizi Web del Terzo Millennio) a proposito del suo progetto Internet.org che mira a diffondere Internet a livello veramente planetario. Il punto è che Gates nel frattempo è diventato un filantropo, un uomo che ha staccato la spina dalle sue questioni digitali e ha creato una fondazione che punta a diffondere a livello planetario altre questioni, come ad esempio condizioni di salute migliori nei paesi in via di sviluppo. Insomma, a detta di Bill, la malaria ha priorità su una connessione malsana o sui malati di social network. Per chi ha avuto modo di conoscere il personaggio in questione e per ciò che ha rappresentato la Rivoluzione Digitale per Gates, sembra dichiarazione un po' forzata, anche un po' da troll del Web. Ma oh, detto sinceramente: come si fa a dargli torto?

venerdì 1 novembre 2013

IDENTI...CHì?

Immaginate Facebook come una grande (grandissima) arena, con due ingressi. Da una parte si entra, dall'altra si esce: ecco, teoricamente ci sarebbe la fila per entrare, ma è pur vero che dall'altra parte della barricata il tornello di uscita ogni tanto si muove. Insomma, c'è chi per un motivo o per un altro abbandona il vostro social network preferito: strano ma vero. Eppure, stando all'ultimo resoconto dei risultati economici e statistici di Facebook vien fuori che sempre più adolescenti e ragazzi abbandonano questo social network in favore probabilmente di Twitter o più semplicemente di una vita meno soci(digit)al, anche se tutto questo non frena FB dall'ottenere una montagna di utili derivanti dallo sfruttamento dei suoi dati a vari livelli. C'è però un dato che fa riflettere: secondo uno studio effettuato su una rivista scientifica, il profilo dell'utente medio che abbandona Facebook è maschio e ha circa trent'anni (31, a dire il vero), e lo fa perché ha a cuore la propria privacy. Come interpretare questo dato? Entrare negli enta significa di punto in bianco metter su giudizio? Possibile, ma è anche possibile ricollegare questo dato alla storia della Rete. Chi ha trent'anni o giù di lì è probabilmente cresciuto con un altro concetto di Internet, fatto di connessioni lente e conversazioni non identitarie, dove non bisognava per forza doversi connettere con il proprio mondo ma connettersi ad un mondo potenzialmente più ampio, meno legato da concetti di network a tutti i costi, forse un tantinello più coscienzioso. Insomma, una Rete fatta di "pericolosi" cibi e di un po' di sana diffidenza nei confronti di ciò che c'era dall'altra parte dello schermo. Magari non è così, però dopo aver provato l'esperienza della vicinanza digitale a tutti i costi, alcuni di loro son voluti tornare non dico agli albori, ma ad una condizione che hanno già sperimentato e che magari così male non è. Ecco, magari non è così: toccherebbe chiedere a chi gli enta li ha davvero sulle spalle...

lunedì 28 ottobre 2013

UNA QUESTIONE DI STATUS

Esistono tanti tipi di utenti di Facebook, forse tanti quanti sono gli utenti stessi: perché in fondo ognuno si crea la propria esperienza di interazione sul vostro social network preferito. In linea di massima, tuttavia, ci sono due grandi categorie: gli utenti attivi e quelli passivi. La differenza sta nel grado di contenuti prodotti, indipendentemente dal fatto che questi siano testi, foto, like: e per ogni persona che crea un contenuto, molti altri utenti stanno lì a guardare e/o a leggere, e basta. Ovviamente è dai primi che Facebook trae il massimo in termini di profitto, poiché non solo gli utenti attivi fanno "girare l'economia" (se scrivi capirò meglio chi sei, e quindi ti piazzerò delle belle pubblicità miratissime), ma perché alimentano sempre più la base di dati presente su FB. Anche gli utenti più attenti, quelli magari che pensano bene prima di scrivere qualcosa, possono cadere nella trappola: lo status update (ma anche una semplice foto del profilo) può dire molto di più rispetto a quanto pensiate. Già, perché davvero ogni singola parola può rappresentare un piccolo tassello che si aggiunge al puzzle della vostra identità digitale: e parola oggi parola domani, i cervelloni digitali ricostruiscono un manichino dalle fattezze molto, molto accurate. Certo, nei quartieri generali di Facebook non ci si mette lì a scandagliare manualmente tutti i pensierini del giorno: ci pensano sofisticati algoritmi, e man mano che si va avanti (con la tecnologia certo, ma anche con la base di dati rappresentata dal corpus di informazioni presenti sul social network) la sottile linea che separa l'intenzione umana dall'interpretazione meccanica si fa sempre più sottile. Insomma, Facebook punta a diventare un vero e proprio utente aggiunto, in grado di leggere, interpretare, agire e reagire. A senso, anche meglio di parecchi utenti che girano su FB.

mercoledì 23 ottobre 2013

HA CACCIATO, LA SCIENZA*

Operare in équipe, lavorare in team, fare gruppo, fare community: quanto e come le attività collaborative si sono spostate da una dimensione reale a una prettamente virtuale? Il punto più interessante è forse quello della creazione - spontanea o derivata dallo sviluppo di strutture specifiche - di vere e proprie comunità interessate ad uno specifico settore, accomunate da una passione comune o dal semplice gusto di condividere conoscenza e conoscenze. Già, la condivisione di "semplici" informazioni è un po' il cuore pulsante del cosiddetto Web 2.0 o Web partecipativo, in cui chiunque ha la possibilità di entrare a far parte di un circuito di conoscenza a partire da un contenuto pubblicato online.
E dire che ai primi tempi di questo "nuovo Web" (parliamo di qualche annetto fa) la comunità virtuale aveva i suoi pochi e motivati (e competenti?) adepti, ragion per cui probabilmente si scriveva meno, ma si scriveva meglio; poi Internet ha aperto le porte a tutti, ma proprio a tutti, concedendo la possibilità di intervenire in discussioni con una facilità abbastanza disarmante. E oggi parliamo di una società in cui lo status e la popolarità su un social network sono quasi alla pari della reputazione che ci si costruisce mattone dopo mattone nella vita reale.
Giusto? Sbagliato? Ovviamente non c'è una risposta oggettiva, ma solo il solito spunto per riflettere sulla situazione delle cose. In realtà la motivazione che dà il la a questo post è la notizia apparsa su IlPost che narra della chiusura della sezione dei commenti su un noto portale di divulgazione scientifica, Popular Science. "La sezione dei commenti" è quanto di più iconico esista per spiegare il secondo Web secondo il principio di partecipazione collettiva ai contenuti, appunto. Tuttavia, nell'iperconnesso e ipersocial 2013 siamo qui a parlare della chiusura quasi totale dello spazio dei commenti ad un post. Il motivo? I contro della messa a disposizione di spazi di condivisione hanno superato i pro: insomma, i commenti offensivi, off-topic o i semplici troll del Web hanno vinto sui commenti di qualità. E' una mera questione di reputazione del sito e del nome della rivista: chiudere tutto e, per colpa di pochi, "punire" tutti.
Curioso poi che la notizia stessa appaia su un sito che fa dell'informazione di qualità il suo punto forte. Anzi, che fa dell'informazione di qualità anche il suo punto forte. Già, perché è proprio il concetto di sana community a rappresentare a volte il tratto distintivo tra un buon sito di informazione e un ottimo sito di informazione. Leggetevi i commenti (appunto) che sono a margine dell'articolo linkato: scoprirete una vera e propria community di utenti che non si conoscono, ma che dialogano in modo civile e quasi sempre in modo linguisticamente corretto (e non è poco, di questi tempi). E', a modestissimo parere, un ottimo esempio di buon uso della Rete (e della moderazione commenti?) per arricchire ulteriormente il proprio bagaglio di conoscenze, senza dover passare per forza da bacheche "amiche". Siamo sempre nell'iperconnesso 2013, eppure siamo qui ancora a dover fare i conti con la limitazione delle libertà di (buona) espressione solo per colpa di una mancata educazione alla Rete. Qual è la soluzione? Fare a meno di internet? Affermare che la scienza è troppo elitaria per accettare un contraddittorio e quindi sbaglia (perché sì, pare che anche la scienza sbagli)? Sono domande che nell'iperconnesso 2013 si fatica ad accettare, perché paiono di un'era fa. Certo, l'amara conclusione è che forse - ma solo forse - non ci sia palestra peggiore dell'approccio social per tirar fuori la parte peggiore di Internet. Che poi è la parte peggiore della community. Che poi è la parte peggiore degli utenti. Che poi è la parte peggiore delle persone.

*= Titolo molto criptico, ma troppo invitante per non essere scritto (virgola aggiunta). Qualche spiegazione qui, forse ancor meglio qui.

domenica 20 ottobre 2013

DOT-ATA DI BUON SENSO

A senso sembra una di quelle trovate lanciate coi tempi giusti per fare un po' di doppia pubblicità, ma tant'è: la sorella di Mr.Facebook è in procinto di pubblicare un racconto destinato ai più piccoli il cui intento è quello di educare le nuove generazioni ad un uso più responsabile e meno ossessivo dei social network. Il racconto si chiama Dot e invita proprio a riflettere a proposito della tipica condizione di generazioni sempre connesse. Invidia familiare, direte voi: probabile & possibile, ma è pur vero che Randi Z. ha lavorato per l'azienda del fratellino per ben sei anni in qualità di responsabile marketing dell'azienda. Insomma, non proprio un compito di secondo piano. Qualche livore post-assunzione? Evidentemente c'è un'assunzione di responsabilità da parte della donna, alle prese - a sua detta - con importanti rivoluzioni nella sua vita, come ad esempio il fatto di essere diventata madre. E forse, proprio per questo motivo, il punto di vista nei confronti dei social network come spazio di condivisione troppo spinto si è mutato in una rivisitazione più attenta, più pacata e più responsabile nei confronti di questi strumenti sociali digitali. Insomma, che sia un libro volutamente critico o un'ottima trovata di marketing (appunto) magari i contenuti proposti potranno servire ad indottrinare qualcuno...

sabato 19 ottobre 2013

SEI UNO DEI SETTE?

Molto divertente (e anche abbastanza veritiero) l'articolo apparso sull'Huffington Post Italia che descrive sette modi per rendersi insopportabili su Facebook. Va da sé che si tratta di comportamenti digitali piuttosto diffusi e che probabilmente - chi più chi meno - coinvolgono la stragrande maggioranza degli utenti iscritti al vostro social network preferito. C'è un po' di tutto: dai post noiosi (per gli altri) a quelli in cui si descrive per filo e per segno tutto quello che si fa durante una giornata; ci sono i contenuti che servono a "gonfiare" l'ego digitale (e non solo) e quelli che vanno avanti a citazioni colte. Insomma, una buona lettura per sorridere dei comportamenti spesso non richiesti ai tempi dei social e dintorni. Manca solo un dannato comportamento: l'abitudine di dire la propria quando un personaggio famoso lascia il mondo (reale). Se non sei uno dei sette comportamenti descritti ma ti ritrovi in quest'ultimo, beh, allora puoi sempre cominciare da Zero!

martedì 15 ottobre 2013

TUTTO IL RESTO E' NOAH

Molto bello e interessante il cortometraggio intitolato Noah, presentato all'ultimo festival del film di Toronto, Canada. La storia narra delle vicissitudini (sentimentali, ma non solo) di un teenager come tanti, Noah appunto, attraverso le sue attività digitali e online. C'è tanto Facebook (con tanto di violazione del profilo altrui), ci sono i messaggi, c'è Internet in multitasking che finisce di continuo nel campo visivo del giovane protagonista. Oddio, protagonista: forse un senso del cortometraggio è proprio quello di cercarlo, un vero centro dell'azione. E' il ragazzo che vive la sua vita online o è la stessa identità virtuale - con tutti i rapporti e le conseguenze che ne derivano - a rappresentare il fulcro della storia? Valgono più uno status pubblico e un commento da amici o una "rivelazione" da un(a) perfett(a) sconosciut(a) che vede nel vostro social network preferito una sorta di mondo artefatto, poco autentico e veritiero (sentendosi dire a sua volta di esser bugiarda solo perché non si può credere che a questo mondo esiste gente senza Facebook)? Tutte domande e azioni che coinvolgono la vita di Noah: il quale, alla fine, spegne la connessione con il mondo virtuale. Almeno fino al prossimo login. Buona visione.




lunedì 14 ottobre 2013

NATI (E DIVENTATI) OSSESSIONATI

'Più facili di blog e forum': è forse questa la motivazione che ha permesso ai social di diventare quel che effettivamente sono, vale a dire un fenomeno talmente radicato nelle nostre vite da non poterne fare a meno? Probabilmente (anzi, possibilmente) sì, senza contare che questi strumenti hanno davvero aperto a tutti la possibilità di dire e fare qualcosa nell'universo virtuale. Tuttavia, quella che dovrebbe essere una "semplice" rappresentazione del proprio ego si sta rivelando per molti l'unica via per essere qualcuno: forse complice la facilità di utilizzo, ecco che la promozione continua della propria identità a mezzo Facebook e compagnia è diventata una vera e propria ossessione per molti. La logica dei "mi piace" ha innescato una vera e propria sete di accaparramento dei tanto agognati pollici su o cuoricini o retweet, tanto da assistere ad un vero e proprio mercato di queste forme di apprezzamento, spesso molto più automatico che vero. Già, perché ancora una volta bisogna combattere con i numeri, e non con qualcosa di autenticamente autentico. Si ragiona ormai in termini di like ricevuti sulla propria bacheca di Facebook o di mi piace su ogni foto di Instagram, ad esempio: quanto tutto questo corrisponde ad un reale apprezzamento di una cosa, un'attività, un modo di essere? Quanto queste attività dicono di noi sia in qualità di creatori di contenuti sia in qualità di semplici fruitori degli stessi? Sono domande lecite, e la risposta dipende più che altro da questioni caratteriali doppiamente personali, ossia quelle relative alla vita reale e a quella digitale (no, le due cose spesso non coincidono affatto). Insomma, siamo una società praticamente di morti di fama (titolo genialissimo) che farebbe di tutto per un apprezzamento da un follower o da un presunto amico. E non è una semplice questione generazionale, ché anche gli adulti a volte son peggio di ragazzini alle prese con una vera e propria svalutazione dell'essenza delle cose poiché bombardati da un flusso troppo continuo di informazioni alle quali probabilmente non san dare la giusta importanza. Inutile parlare di 15 minuti di notorietà: ora sono meglio 15 secondi a testa. Meglio ancora: (altri) 15 like farebbero proprio comodo...

venerdì 4 ottobre 2013

(SOVRAC)CARICAMENTO IN CORSO

Molto interessante il confronto di vedute tra due scuole di pensiero diametralmente opposte riguardante gli attuali scenari digitali che caratterizzano la nostra società e le nostre vite iperconnesse. La domanda di fondo è: siamo esposti ad un flusso di informazioni troppo grande da poter seguire? Detta così ognuno di noi credo si possa dare una risposta figlia della propria esperienza personale: tuttavia, il problema è ben più ampio. Sarà forse per via dell'età, ma tra i "catastrofisti" vi è un noto sociologo che afferma che le informazioni provenienti dai vari media sono così tante e continue che ciascuno di noi finirà col perdersi nel mare magnum dei dati, non riuscendo più a distinguere a livello qualitativo le nozioni di vero interesse: il rumore delle informazioni, dunque, vince sulla ricchezza informativa e razionalmente selezionata. Dall'altro lato, invece, c'è un esperto di media digitali il quale afferma che può essere anche vera questa corposa presenza di nozioni da seguire, ma la Rete è ormai progettata anche per poter filtrare a proprio piacimento i flussi informativi, facendo appunto emergere la qualità dei contenuti, in un modo o nell'altro.
C'è anche un altro interessante "duello" di visioni contrapposte a proposito del concetto di interesse degli individui nei confronti della privacy ai tempi di Facebook e dintorni, ed è sempre stimolante leggere le ragioni che portano a difendere teorie contrapposte. In questo caso, ad esempio, non credo esista una verità assoluta. Certo, è sicuramente vero che i ritmi frenetici ci portano a non essere materialmente in grado di poter gestire un flusso continuo e in tempo reale di informazioni; ed è sicuramente vero che l'ampliamento della base partecipativa di utenti della Rete ha probabilmente abbassato il livello medio della qualità dell'informazione e ampliato in maniera inversamente proporzionale la quantità; ma va pur sottolineato che è l'esperienza personale a determinare la capacità di far fronte al flow informativo che è presente sui nostri computer o smartphone. Non va dimenticato che è nelle capacità personali di attenzione, concentrazione e assimilazione di nozioni nuove o preesistenti che si può determinare la differenza tra un soggetto bombardato dalle informazioni e un individuo anche più "razionale" nel controllo dell'informazione stessa. Con l'esplosione dei social network, poi, si determina l'area geografica del proprio interesse: c'è chi usa Facebook per sapere cosa fa il vicino di casa, chi continuerà a usare siti e blog per sapere che tempo fa dall'altra parte della terra o su qualche altro pianeta. C'è chi penserà che i social ci facciano diventare stupidi: e chi, magari, partendo da questa nozione li userà in maniera intelligente. Basta caricare il cervello, senza sovraccaricarlo.

giovedì 3 ottobre 2013

RISCOSSIONE ALTERNAT...IVA

Da un paio di giorni a questa parte, in virtù delle nuove (ma neanche poi troppo) misure governative adottate per far fronte alle difficoltà economiche del nostro Paese, è aumentata ulteriormente l'aliquota relativa all'imposta di valore aggiunto. In altre parole: l'IVA è aumentata dal 21% al 22%. Si tratta di un provvedimento non indolore e che ha causato anche parecchie turbolenze nel clima politico nelle ultime ore, proprio perché è il classico provvedimento che incide sulla quotidianità delle spese più disparate dell'intera popolazione. Insomma, pur essendo "solo" un punto percentuale, questa misura graverebbe non poco sulle tasche degli Italiani, ma allo stesso tempo potrebbe garantire un respiro per le casse statali. Ché si parla di un gettito aggiuntivo non da poco, in quanto si tratta di un aumento che riguarda praticamente qualsiasi bene o servizio scambiato sull'italico territorio. Arriva però una proposta di ripiego per poter scongiurare l'aumento, ma che in realtà getta una luce su un territorio poco luminoso soprattutto dal punto di vista della territorialità (fiscale in questo caso) di alcune aziende "produttrici". Un deputato del nostro Parlamento, infatti, ha sollevato la possibilità che i grandi giganti del Web come Facebook e Google, poiché di fatto aziende che generano profitti anche grazie agli utenti nostrani, vengano (super)tassati in base agli introiti generati dai ricavi pubblicitari. Non solo: nel mirino c'è un altro colosso del Web, Amazon, che però a differenza dei due sopra citati genera fatturato in base a vendite quasi esclusivamente di oggetti "fisici". Indipendentemente dalla natura dei servizi offerti, la questione è piuttosto spinosa e soprattutto poco regolamentata dal punto di vista giuridico e conseguentemente economico, poiché le sedi di rappresentanza e di riferimento fanno perlopiù capo ad uffici "europei", e non singole delegazioni nazionali. Vero è che, proprio alla luce del giro di affari mosso dal vostro social network preferito e dal più importante motore di ricerca esistente, una (ulteriore) tassa risanerebbe - e non poco - l'erario statale. In tempo di vacillamenti economici, un'idea non proprio campata per aria.

lunedì 30 settembre 2013

ALLA "FACCIA"...

Cosa pretendevate da un sito che si chiama letteralmente libro delle facce? In effetti un bel catalogo di volti racchiuso in un'unica soluzione era proprio quello che ci mancava. Il progetto The Faces of Facebook altro non fa che ricordarci che in fondo non siamo (siete) altro che un numero progressivo, un'iscrizione come tante e solo un puntino - letteralmente - nell'immenso universo digitale che è il vostro social network preferito. Ed è anche e soprattutto la dimostrazione che si può raccogliere tutta questa immensa mole di dati pur non essendo proprietari di queste informazioni, e questo la dice lunga sul grado di mercificazione che oggi più che mai è rappresentato dalle nostre identità virtuali. Eppure quel numerino progressivo continua ad aumentare imperterrito, aumentando senza sosta il valore dei mercati dei profili volti alla più grande schedatura che la storia ricordi.

domenica 22 settembre 2013

I SCREAM

Fin dove può arrivare lo sfruttamento (indiretto) della commercializzazione di un marchio? L'estate è finita, e se volete portare con voi un ricordo della calda stagione allora potete rimembrare che quest'anno è stato commercializzato il gelato al gusto Facebook. Cosa cambi rispetto al buffo gelato al gusto puffo non so, ma l'effetto vendite è assicurato, a quanto dichiara il suo "inventore", un gelataio croato che ha colto la pall(in)a al balzo osservando la figlia frequentare sempre il vostro social network preferito e creando dunque questa variante blu del più tipico degli alimenti estivi. Chissà se i gelatai ci prenderanno gusto e ne inventeranno di nuove. Certo, rimane il sempre e solito legittimo dubbio: dove finisce l'effettiva bontà del prodotto e inizia la psicosi di massa? Probabilmente la risposta giace nel numero di mi piace che riscuoterà il gelato.

venerdì 20 settembre 2013

UN PRESTITO? NON CRED(IT)O PROPRIO...

Recita l'antico detto: chi trova un amico trova un tesoro.... ai tempi dei social network, tuttavia, può esser vero il contrario. L'economia mondiale ha imboccato una buia e stretta via; si è alle strette, e anche la cosiddetta stretta del credito non conosce ormai più confini; bisogna stringer la cinghia, e le banche non sono da meno. Dimenticate la filosofia che contraddistingueva gli istituti di credito fino a qualche anno fa: prima di concedere un prestito o un mutuo, le banche vogliono sapere tutto di voi e pretendono un bel po' di garanzie prima di allargare i cordoni della borsa. Questa ricerca di rassicurazioni economiche, tuttavia, travalica anche i normali confini della vita "normale" e sfocia dritta dritta su bacheche e dintorni: sempre più spesso, infatti, gli istituti bancari (statunitensi, per ora) scandagliano persino la lista degli amici dell'aspirante beneficiario della somma alla ricerca di profili "sospetti" e poco affidabili dal punto di vista finanziario. Insomma, se tra i vostri amici figura qualche pignorato, insolvente, ipotecato o cattivo pagatore rischiate di vedere letteralmente volare via la possibilità di ricevere un sostegno economico per una qualsivoglia attività. Considerata la facilità con cui al giorno d'oggi si includono le persone nella propria cerchia virtuale di conoscenze, il rischio di ricevere un niet dalla banca è piuttosto altino. I soldi arriverebbero solo dopo una accurata selezione: insomma, il credito arriva solo a tempo debito.


sabato 14 settembre 2013

PICCOLO MONDO (SEM)ANTICO

Pensavate fosse solo un social network? Beh, per i "normali" utenti forse sì, e forse a loro va bene anche così. Ma cosa succede quando si immagazzinano tante, tante, troppe informazioni? La categorizzazione dei dati è la vera e propria linfa vitale del nuovo Web in cui i social network rappresentano l'implementazione più semplice e immediata. Non sorprende certo leggere dell'introduzione, da parte di Facebook, degli #hashtag in stile Twitter: chiaro l'intento di sfida al suo principale alter ego. Ma forse, e si sottolinea forse, ci può esser qualcosa di più. Questa semplice nuova caratteristica può essere ovviamente solo e soltanto una...semplice nuova caratteristica, una possibilità in più per gli utenti di personalizzare ulteriormente l'esperienza interattiva attraverso il vostro social network preferito. Ma giorni e giorni di inserimento di informazioni da parte degli utenti altro non fanno che aumentare il calderone dei dati disponibili, e questi solo apparentemente possono essere slegati fra loro; dietro, un sistema parecchio sofisticato cerca di riconnettere i tratti unitari fra le informazioni, alla continua ricerca di un senso logico.
Già, un senso: fornire un significato, un'associazione logica, un filo connettore fra informazioni apparentemente diverse, cercando di intrecciare i dati per poter creare una trama così fitta da superare qualsiasi scenario da film fantascientifico. Questo è il sogno neanche troppo proibito di due categorie abbastanza antitetiche tra loro ma che non è affatto detto che non debbano mai rimanere distinte: da una parte ci sono i "divoratori" di dati come i proprietari dei social network - ma anche gli enti governativi, a quanto pare - che mirano appunto ad intercettare tutti i dati per la profilazione più accurata possibile di utenti e utilizzatori di dati digitali. Dall'altra parte, invece, ci sono gli studiosi di questi sistemi, a metà tra menti matematiche e linguistiche, il cui obiettivo è quello di dar vita una volta per tutte alla nuova versione del Web, da chiamare 3.0 o se preferite Web Semantico.
Siamo ormai da un po' nell'era delle informazioni stabili, digitali, veloci, abbondanti: la conoscenza (a vari livelli) si sta sempre di più riversando in Rete, e proprio per questo il potenziale testuale e multimediale (leggi: linguistico) è totalmente sfruttabile, oggi più che mai - e domani più di oggi. Il sogno di far ragionare una fredda macchina è una delle sfide che i linguisti computazionali sperano un giorno di vincere a loro favore: attualmente l'intelligenza artificiale è in grado di fornire livelli più che soddisfacenti in vari campi, ma per gli entusiasti della disciplina non basta. Insomma, il sogno e l'obiettivo è quello di raggiungere il livello del Test di Turing, e se non si arriverà a quel livello non si sentiranno mai soddisfatti a pieno. Solo immagazzinando dati si può "alimentare" il cervello di una macchina o di un algoritmo: ecco perché il Web Semantico si prefigge di andare nella stessa direzione, ossia quello di incrociare dati su dati esattamente come fa il cervello umano nella naturale associazione di idee derivanti da esperienza, memoria e conoscenza. Per fare questo occorre che tutte le informazioni siano legate, ma anche contrassegnate da una serie di attributi tali che possano diramarsi in una schiera pressoché infinita di relazioni, una sorta di incastro ben definito. Ecco perché i social network, pur occupando una piccola (ma significativa per i motivi sopra enunciati) porzione del Web sono il terreno perfetto per provare a sfruttare queste interconnessioni digitali: motivo per cui il progetto Graph Search di Facebook è un tentativo di implementare il Web Semantico, poiché la macchina interpreta la ricerca e fornisce risultati più o meno "ragionati", ma altro non è che il frutto dello sfruttamento dei (numerosi) dati personali degli utenti già preesistenti. E, data questa mole corposa di dati associabili e incrociabili, è abbastanza semplice per Facebook provare a fornire risposte utili agli utenti e anche a se stessa, per i suoi fini. Insomma, mancano solo le impronte digital-digitali e poi la schedatura è davvero compl...hmm ok, meglio soprassedere qui. Magari lo scenario descritto è un po' complottista e un po' apocalittico, ma queste sono o dovrebbero essere le direzioni verso cui va la ricerca della linguistica computazionale. Il punto è sempre lo stesso: con che spirito si sfruttano queste informazioni? Ricerca o speculazione? Interrogativi importanti, ma che vanno entrambi nello stesso...senso.

(Immagini via)

domenica 8 settembre 2013

CANDY "CRASH"

L'industria videoludica è tra i settori più fiorenti legati all'intrattenimento digitale degli ultimi anni. Nonostante il giro di affari abbia leggermente rallentato negli ultimi tempi (la crisi generale si ripercuote anche e soprattutto su tutte le necessità secondarie, di fatto), sono due i fattori legati a tale espansione. La prima è data dalla "riorganizzazione" del comparto ludico attraverso nuove forme di intrattenimento; in altre parole, il concetto di gioco - o videogioco - non è più legato alla sola immagine del computer o della console domestica, ma a dispositivi più piccoli, meno potenti, più portatili. Questo comporta una perdita di qualità oggettiva in termini di complessità dell'oggetto gioco in favore di una più ampia fruibilità del prodotto: ecco perché (ed è il secondo fattore) la base di utenza si è nettamente allargata, facendo dei giochi un prodotto non esclusivamente utilizzato dalle fasce d'età che hanno contraddistinto il mercato per anni. Insomma, in metro o per strada è facile imbattersi in un distinto signore che gioca amabilmente sul suo cellulare tentando di abbattere uccellacci, di comporre parole il più velocemente possibile e, ultimamente, di far scoppiare caramelle e dolciumi vari.
Non ci si soffermerà in questa sede sui potenziali "pericoli" derivanti dall'installazione di mini-giochi sui dispositivi mobili o su piattaforme online: basti dire in poche parole che a fronte dell'esperienza di gioco gratuita occorre autorizzare spesso l'applicazione all'accesso - spesso ingiustificato - di parecchi dati personali. Questo ovviamente rappresenta un campanello d'allarme per chi ha a cuore le sorti della propria privacy, mentre altri potenziali pericoli derivano dal fattore distrazione e dal possibile carattere compulsivo derivato dall'uso eccessivo di questi giochi. Sarebbe bello parlarne diffusamente, ma è bene solo accennare che l'utilizzo di questi giochi nella propria "casa" virtuale rappresentata da Facebook ha aperto i soliti annosi problemi riguardante lo sfruttamento commerciale dei dati acquisiti da parte di applicazioni terze. I videogiochi sono dei veri e propri tormentoni, e come tali si esauriscono, spesso anche in fretta: al tramonto di un gioco ne segue spesso l'alba di un altro, e così via. Sul vostro social network preferito è già successo con Farmville, mentre adesso sembra proprio il momento di Candy Crush, un giochino - è proprio il caso di dirlo - che spopola sui moderni smartphone e che da poco è approdato anche su Facebook, mandando letteralmente in tilt l'algoritmo alla base dell'analisi dei dati raccolti dalle esperienze di gioco sulla piattaforma in blu. Anche qui si potrebbe indagare a fondo sui motivi per cui questo gioco piace tanto e su tutti i dispositivi digitali: alla base ci sono gli ingredienti grafici e ludici tipici del gioco "facile" che piace a tutti (beh, quasi a tutti), senza contare che c'è anche un'operazione di marketing e di promozione del brand audace e che evidentemente ha prodotto i suoi risultati (una su tutti una campagna in tv di promozione dell'applicazione, cosa rarissima a vedersi perché la televisione non è affatto il miglior canale pubblicitario per prodotti digitali). Insomma, per un po' di tempo su Facebook prolifereranno caramelle e colori sgargianti: la speranza (spesso vana, tuttavia) è che dietro questi apparentemente innocui giochi non ci sia un'analisi profilata dei dati personali mentre fate scoppiare i cioccolatini. In sostanza: speriamo che dietro il dolcetto non ci sia lo scherzetto.

martedì 3 settembre 2013

NATI(VI) DIGITALI, 2.0

Non è per fare giornalismo di precisione (non mi ritrovo in nessuna delle due parole, soprattutto una) ma ci sono due dati che fanno riflettere almeno un pochino e che riguardano i "futuri" - forse, ma forse no - utenti del vostro social network preferito. Il primo dato mette a confronto il numero di nuovi iscritti a Facebook ogni secondo con il numero di nuovi iscritti all'ordine della vita: ebbene, vince la controparte digitale della Creazione per 5 a 4,5 (il mezzo bambino che nasce lo voglio vedere, eh!). E ma forse c'è un perché a questo dato (no, non a quello 0,5 mancante): per carità, è intuibile la portata emotiva di un evento del genere, ma tale comportamento è dipeso dal fatto che dopo pochi minuti - meno di un'ora! - i neonati sono già su Facebook, pronti a ricevere commenti e like a tutto spiano. E molti di loro, in barba a limiti di età e consenso per la creazione dell'account, hanno un profilo tutto loro. Insomma, pare che i nascituri reali dopo essere venuti alla luce devono sorbirsi la luce dei flash di fotocamere e smartphone.

lunedì 26 agosto 2013

MAL(WARE) COMUNE...

Il brutto e il bello di avere una comunità interconnessa composta da un miliardo e passa di persone è che tutto - ma proprio tutto - si può condividere, anche per fini poco benevoli. Insomma, quale miglior mezzo per diffondere un bel virus se non attraverso il vostro social network preferito? Capita dunque che in molti, vedendosi taggati da qualche amico o presunto tale, abbiano cliccato su un link malevolo che comporta l'installazione di un malware il cui obiettivo è quello di provare a intrufolarsi nei computer degli ignari utenti, la cui colpa è stata "solo" quella di credere di aver ricevuto un messaggio da uno dei propri contatti. Facile dire "ma si vede lontano un miglio che era un link fasullo": vero, ma non è vero in toto, dato che questa apertura verso i sistemi digitali a tutti - ma proprio a tutti - ha giocoforza abbassato la competenza media nei confronti della gestione di prodotti informatici e dintorni. Insomma, anche uno su un milione può aver cliccato su quel link: amplificate la proporzione fino ad arrivare a un miliardo (e più, visto che anche Twitter e tutte le reti sociali sono terreno potenzialmente fertile per la diffusione di questi virus), capirete allora quel brutto e bello di far parte di una grande famiglia pronta, suo malgrado, a complicarvi la vita digitale.

venerdì 23 agosto 2013

CHE D(I)RITTO!*

Con che diritto si può dire che Internet è un diritto? Beninteso, parliamo di una delle più grandi rivoluzioni del mondo moderno, di un mezzo indispensabile, di una risorsa senza la quale molti di noi si sentirebbero assolutamente persi, di una tecnologia che anche inconsapevolmente è spesso parte della nostra vita e delle nostre vite (digitali e non). Il punto è anche chi afferma che Internet debba essere considerato un diritto dell'umanità: detto da qualche persona ben nota per le azioni filantropiche è un conto, se invece è detto da chi grazie a Internet ha un conto a nove (ma perché no, anche 10 o 11) zeri, beh, allora l'affermazione potrebbe celare qualche non-troppo-celato interesse.
Capita dunque che a capo dell'iniziativa Internet.org ci siano una serie di importanti multinazionali che grazie ad Internet - in maniera diretta grazie a servizi, in maniera indiretta grazie a dispositivi che garantiscono la connessione - hanno fatto e fanno una fortuna. Non può certo mancare all'appello sua maestà Mr. Facebook: d'altronde, il vostro social network preferito non può che combaciare nell'immaginario collettivo con l'idea stessa di Internet (ahinoi). Insomma, se l'obiettivo dell'iniziativa è quello di connettere tutti con tutti, ovunque e senza soluzione di continuità (in alcuni casi una minaccia, più che una risorsa), allora Facebook proprio non poteva mancare. Il punto è capire se dietro questa iniziativa ci sia la volontà di fare davvero del bene o semplicemente quella di far sì che tutti possano fruire di un servizio che genera (tanto) denaro nelle tasche dei soliti noti. Considerando chi si erge a paladino di questo "nuovo diritto" il legittimo sospetto nasce quantomeno spontaneo.

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martedì 20 agosto 2013

VIOLAZIONE DI 'DOMICILIO'

Cosa succede quando si bussa ad una porta armati di buonissime intenzioni e nessuno ti apre? E tu - sempre armato di buone, buonissime intenzioni - ci riprovi sapendo che hai bussato ad una porta che ospita un condominio da un miliardo (e passa) di persone, ma continui a non ricevere risposta alcuna? Finisci che provi a lasciare un messaggio all'amministratore, e in mancanza di una casella di lettere provi ad attaccare un messaggino alla sua porta. Di tutta risposta il pacifico tentativo si rivela una vera e propria intrusione, con tanto di conseguenze da pagare. Ora, non ci sono porte fisiche e non esistono veri condomini (e condòmini) così grandi: basta spostarsi nella terra del virtuale, e nello specifico tra le pagine e bacheche del vostro social network preferito per avere la storia di uno sviluppatore informatico palestinese che ha individuato un bug in Facebook e l'ha segnalato al team preposto per questo genere di inconvenienti. Non si tratta di solo amore per la propria privacy (e per quella altrui), visto che per l'individuazione di falle in FB è previsto anche un piccolo premio in denaro: tuttavia, queste segnalazioni sono state ignorate dagli sviluppatori del sito. Per provare la bontà della sua scoperta, il ragazzo ha così "osato" scrivere sulla bacheca di Mr. Facebook in persona, pur non avendo le necessarie autorizzazioni per farlo. Apriti cielo: in poch(issim)i minuti lo sviluppatore ha ricevuto in dono un ban (temporaneo) da Facebook per aver violato i termini e le condizioni di utilizzo. E ma d'altronde non si può mica scrivere al "grande capo" per segnalargli delle cose che non vanno: la bacheca è solo 'sua' (e ci pensa lui a scrivere cose sconvenienti), ed è vietato bussare.

giovedì 15 agosto 2013

UNA "STORIA" ALTERNATIVA

Chissà come la prenderà il Signor Facebook se dovesse scoprire la presenza di questi account fasulli, ma l'idea di per sé è geniale, va detto. E chissà, è possibile che si possa trattare di un nuovo modo per fare didattica e (ri)avvicinare gli studenti a materie da odio/amore come la Storia. Fatto sta che alcuni eventi mitico-storici del nostro passato sono stati rivisitati secondo la logica del vostro social network preferito, tra status update, like, botta e risposta e eventi improbabili. In realtà già si è parlato di una ricostruzione del genere, ma qui e lì per la Rete si trovano altri esempi assolutamente godibili, dalla preistoria agli eventi più recenti. Ma la ricostruzione degli eventi della Seconda Guerra Mondiale (via Corriere), beh, li supera tutti. Di sicuro farà storia.

lunedì 12 agosto 2013

E SENTIRNE LA "VACANZA"

Cosa accomuna un bagnante sott'acqua (beh, facciamo sotto l'ombrellone) e uno scalatore sulla cima di una vetta? Semplice: il desiderio di voler (dover) condividere tutto quel che si fa con la più vasta base di amici. Già, perché si chiamerà anche vacanza, ma proprio non ci si riesce a staccare da computer e telefoni per connettersi a social network e affini. Certo, i tempi sono cambiati e gli strumenti digitali sono diventati una naturale appendice del nostro ego: ma, come al solito, resta da capire in che misura questi siano strumento utile o dispositivo per rimanere ossessivamente connessi con la socialità virtuale. E quindi si scopre che la connessione alle agorà virtuali (con il vostro social network preferito in testa, ovviamente) avviene perché si avverte una sorta di paura digitalmente atavica - il cosiddetto FOMO -, senza contare che per molti la condivisione delle proprie attività (ma proprio di tutte le proprie attività) è tradotta con il termine smoasting, ossia il vantarsi dei posti in cui ci si trova o delle cose che si fanno - e solo per ricevere poco utili (e spesso molto ipocriti) pubblici commenti di amici di amici di amici, con il rischio addirittura di risultare antipatico.
Insomma, non si riesce proprio a staccare la spina neanche a ridosso di Ferragosto: troppo importante l'attività di pubblicazione di status update scintillanti che rispondono fin troppo bene alla domanda Cosa stai facendo?. Se proprio non si riesce a fare a meno dei social, almeno in vacanza si spera che si possano usare di meno...

venerdì 9 agosto 2013

LA CONDIVISIONE? NON "PAGA"

C'è poco da fare: in alcuni - in molti ormai, invero - la mania di condividere tutto a tutti travalica i confini di ogni buon senso e logica. Questione anche di genoma o di evoluzione (?) della specie umana, probabilmente. Ché condividere le cose farebbe anche bene, ma occorre criterio di scelta di contenuti e destinatari, altrimenti si rischia di sfociare nella banalità e nella pochezza, oltre che di subire conseguenze anche gravi. Il rapporto con il mondo di lavoro, ad esempio, è un esempio lampante: già in passato si è parlato di licenziamenti dovuti ad inadempienze correlate alle attività digitali dei lavoratori o addirittura di episodi in cui il vostro social network preferito diventa canale "ufficiale" per l'interruzione del rapporto di lavoro. E la condivisione di dati sensibili o di episodi lavorativi divertenti può essere fatta con tutte le buoni intenzioni di questo mondo, ma dall'altra parte dello schermo ci può essere qualcuno che non condivide - nel senso che non approva - la scelta e, con il coltello dalla parte del manico e un'inadempienza contrattuale da rivendicare, è pronto a citare un post o un'immagine per licenziare il lavoratore o la lavoratrice di turno. Due gli episodi accaduti negli ultimi giorni: il primo racconta di un impiegato di un noto negozio di New York che, evidentemente non pago della sua situazione, ha pubblicato su Instagram la foto della sua busta paga (ma con effetto artistico, altrimenti che la posti a fare?). Risultato? La foto del cedolino è arrivata dritta dritta sulla scrivania del responsabile delle risorse umane, il quale ha dovuto constatare l'inadempienza dell'impiegato in materia di divulgazione di informazioni aziendali. Nonostante si trattasse di un profilo privato, evidentemente l'uomo non ha privato dell'amicizia su Instagram qualche collega o superiore, e così è arrivato il licenziamento.
Il secondo episodio narra di un licenziamento duplice per via di un gruppo Facebook in cui gli addetti alle vendite raccontavano episodi divertenti relativi al (sempre particolare) rapporto con i clienti. Anche questa pagina è arrivata agli occhi del responsabile di turno che ha poi convocato gli amministratori del gruppo per comunicare loro l'interruzione del rapporto di lavoro. In realtà sembra misura troppo severa, soprattutto se gli episodi narrati non divulgano foto di persone ritratte senza autorizzazione o dati sensibili come nomi e cognomi. Ma tant'è, evidentemente il capo non ha tollerato certi atteggiamenti e le persone in questione hanno imparato la lezione a caro prezzo. Anche se, va detto, la loro frustrazione è quantomeno...condivisibile.

giovedì 8 agosto 2013

IL GIOCO PIU' BELLO DEL MONDO

Non c'è oggetto che richiami o che faccia riferimento al vostro social network preferito. Già, perché creare qualcosa con le sembianze o le effigi di Facebook è non solo una moda, ma con tutta probabilità anche un lucroso business. E pazienza se si tratti di un prodotto ufficiale o meno, o se si tratti di una tenda da bagno, di un letto, di una "semplice" maglietta o persino di una macchina: un pollice alzato o una "f" blu e il richiamo è immediato.
Cosa manca? Beh, un'alternativa ce la fornisce un designer, Pat C. Klein, il quale ha creato la replica in salsa Facebook del gioco da tavolo più popolare (e bello, ma questa è dichiarazione a Risiko) del mondo contemporaneo, ossia il buon vecchio Monopoly. Ne vien fuori un gioco in cui non ci si barcamena più tra Vicoli Stretti e Parchi della Vittoria, ma tra sospensioni di account, gli immancabili like e richieste (o cancellazioni) di amicizia. Obiettivo del gioco? Quasi una provocazione, ossia quella di "spingere" alla socializzazione vis-à-vis, anziché quella virtuale. E questa, forse, la possono dare solo i vecchi giochi da tavola, nonostante i richiami a FB.

giovedì 25 luglio 2013

IL DECRETO DEL FARE (A MENO...)

Sono giorni importanti - ma è frase che si dice da un po' di tempo - per la politica nostrana, alle prese con l'approvazione di misure per rilanciare l'economia e la società del Bel Paese. In uno degli ultimi discorsi dell'attuale Premier di governo è balzata però una dichiarazione abbastanza "forte", se non altro per il riferimento mediatico esplicito. Il Primo Ministro, spiegando l'azione del governo attuale e l'iter che sta compiendo per (ri)portare il paese alle urne in condizioni più stabili, e soprattutto riferendosi alla mania dei politici di opposte fazioni di fare proclami a destra e a manca in maniera un po' troppo "facile", ha dichiarato che "cercare l'applauso individuale con un tweet o su Facebook non basta più", che è pratica troppo semplicistica e anche "da fighetti" (espressione splendida, peraltro). Vista - anzi, Letta (double pun inTended) da questa prospettiva la dichiarazione avrà fatto sicuramente fischiare le orecchie di ben più di un esponente politico. Al di là che il governo abbia prodotto risultati o meno (non è decisamente questa la sede per parlarne), resta questa frase per far capire quale siano le piattaforme migliori per fare un po' di chiasso, un po' di proseliti, un po' di scrittura vuota. E se è vero che la politica è lo specchio della società, beh, allora facile intuire come a livelli diversi la propagazione dei discorsi vacui sia un po' la caratteristica comune del governatore e del cittadino allo stesso tempo. Insomma, a conti fatti nel Decreto del Fare c'è un emendamento in più: provare a Fare un po' a meno dei social network per chiacchiere da bar e promesse da non mantenere.

mercoledì 17 luglio 2013

TECNOLOGIE SICURE

Gli ultimi fatti di cronaca hanno allertato il mondo intero a proposito del fatto che ormai tutte le comunicazioni digitali, in un modo o nell'altro, sono rintracciabili e contro-rintracciabili. Bisognerebbe trovare qualche tecnologia sicura e a prova di intercettazione ma si sa, una sequenza di 0 e 1 si può decriptare con una sequenza di 1 e 0: forse allora per evitare qualsiasi problema bisogna escogitare qualche "piano B" per sfuggire a controlli più o meno approfonditi. Historia magistra vitae, diceva qualcuno più erudito del sottoscritto: e in effetti in un'era in cui la tecnologia avanza a passi da gigante, il passato può regalare inaspettati porti sicuri. La notizia ha dell'incredibile, dell'anacronistico e onestamente puzza anche un po' di fake, ma pare che il Cremlino abbia deciso di ovviare al problema di possibili spie comprando il meglio dei ritrovati tecnologici attualmente disponibili sul mercato: delle macchine da scrivere. Sì, delle macchine da scrivere: non ci sono motivazioni ufficiali a riguardo, ma la solita fonte bene informata ha dichiarato che la spesa pari a circa 10 mila Euro in questi dispositivi sia da attribuire all'impossibilità, attraverso questa tecnica, di poter ricavare dati digitali in modo fraudolento. Insomma, si torna alla buona vecchia carta e al passato, e visto il protagonista della vicenda, questa motivazione fa riaffiorare vecchi ricordi non ancora sopiti. Il problema sarà probabilmente quello di assoldare degli stenografi abbastanza rapidi, vista la mole di dati che circola oggigiorno. Chissà, magari è un primo piccolo segno di ritorno a vecchie abitudini, dopo essere arrivati allo sdoganamento più totale della scrittura (!) attraverso social network e affini, Facebook in testa. Magari in futuro ci saranno meno diari e più diari, e la propria giornata non sarà scandita da 22 post ma da una Lettera22.

lunedì 15 luglio 2013

L'AMMINISTRAZIONE? PUBBLICA (SOLO IN BACHECA)

Il problema - se così lo si vuol definire - è arrivare a presentare i risultati di uno studio relativo alla presenza degli enti amministrativi su Facebook. Che, beninteso, non è affatto un problema, nel senso che queste iniziative sono sempre lodevoli: nell'ottica dell'istituzione al servizio del cittadino e nella prospettiva della trasparenza degli organismi statali, ben vengano queste analisi, sempre. Il punto è capire perché si arrivi a dover considerare Facebook come interfaccia principe nel rapporto tra utenti e istituzioni. Il lavoro è fatto benissimo e si può intuire come Comuni, Province e Regioni siano presenti o meno sul vostro social network preferito e che tipo di interazione o attività svolgano; d'altronde, la cronaca ha già presentato casi in cui amministratori comunali facciano di Facebook una sorta di attività obbligatoria che rientra nelle mansioni civiche, o di bacheche digitali utilizzate per segnalare disservizi e mancanze. Ma in un paese dall'età media abbastanza elevata e un numero rilevante di tardivi digitali, e soprattutto in un paese in cui l'iscrizione a Facebook non è (ancora?) obbligatoria, come può un'analisi del genere spiegare davvero la rappresentatività dello Stato e il suo rapporto con il dêmos? Perché non scoprire la presenza (o assenza, fate voi) di siti istituzionali e la loro frequenza di aggiornamento, di trasparenza dei dati, di risposta alle richieste del cittadino? Perché non analizzare come i social network possano essere un'ottima integrazione agli strumenti "liberi" e ufficiali, e non unici veicoli di informazione? Ecco, con queste variabili si potrebbe avere un quadro più completo del processo di digitalizzazione - siamo pur sempre nel 2013, eh! - e di interazione con l'utenza non-solo-virtuale: ai cittadini piace (anche) così, e non parliamo di like virtuali.

giovedì 11 luglio 2013

L'ANIMA(IL) DEL COMMERCIO

Internet vuol dire tante cose, ma tra le tante virtù che ha portato alle nostre società c'è quella di aver abbattuto i confini di spazio e tempo. In ottica commerciale, questo vuol dire che attraverso il Web è possibile mettersi in contatto con venditori di tutto il mondo: esistono piattaforme dedicate al commercio di largo consumo ed esistono i siti dei piccoli artigiani, grandi marketplace e siti per oggetti elitari, e così via. Insomma, in periodi di crisi il settore dell'e-commerce segna percentuali di crescita continui, perché davvero si può trovare di tutto e per tutte le tasche. Va da sé che anche le strategie di marketing connesse all'acquisto a distanza si siano per forza di cose dovute allontanare dalle politiche tradizionali: ed è pur vero che con l'esplosione dei social network si è verificata una vera e propria democratizzazione della proposizione di contenuti, beni e servizi. Insomma, si può vendere su Facebook, ma soprattutto si può promuovere il proprio brand su bacheche (altrui) e dintorni.
Tuttavia, come tutte le politiche e le strategie commerciali, bisogna sapere anche come vendere: in effetti non basta "essere" sui principali social per poter affermare di saper utilizzare quel canale per la promozione. Ci vogliono tempi e modi giusti, e questo vale per realtà piccole e grandi; il rischio è quello di trasformarsi in spammer. Ma anche l'offerta giusta sul vostro social network preferito potrebbe non bastare.
Una ricerca condotta su decine di milioni di clienti ha (sorprendentemente, ma non troppo) stabilito che non sono i social network a fornire il valore ROI più elevato: il trono (ahah) in questo senso spetta alla cara, vecchia email. Sono dunque le storiche newsletter, insieme all'esplorazione generica sui motori di ricerca, a smuovere davvero il redditizio mondo del commercio elettronico. I social network, dunque, restano un territorio ancora tutto da esplorare, o forse non sono davvero quel che serve per vendere. Alla base del commercio - anche e soprattutto in questa forma - ci dev'essere la fiducia e una certa rappresentatività della veri(dici)tà di un'azienda. Cose che evidentemente (ancora?) non si possono trovare su Facebook e dintorni. Insomma, gli e-sercenti preferiscono gli @cquirenti.

venerdì 5 luglio 2013

ABITU...DIARIO

Corriere.it pubblica una lista di 24 abitudini perse o trasformate grazie ai (o per colpa dei) social network, Facebook in testa (e anche un po' Twitter, come recita la descrizione dell'articolo). Probabilmente ci si ritrova un po' tutti in questa lista, non foss'altro perché i più hanno sempre detestato l'obbligatoria sessione di visione foto della vacanza delle proprie zie (abitudine 1) o perché ai più davvero non interessa nulla del cibo preparato da questo o quell'amico, ché tanto è solo un'immagine (10). E se già il vecchio SMS ha sotterrato la pratica della chiamata d'auguri (12), d'altra parte i social hanno dato a tutti - ma proprio a tutti (21) la possibilità di manifestare la propria opinione, anche se questa è poco fondata su principi scientifici (23): per fortuna, va aggiunto che spesso sui social (Twitter e Youtube su tutti, vien da dire) si trovano commenti di persone senza identità precisa - e forse è proprio questo il bello - di una genialità disarmante (24). C'è però un'abitudine abbastanza particolare che forse fa capire davvero come sia cambiato il modo di fare e ricevere informazione nel giro di pochissimi anni: quella di affidarsi a Facebook, e in particolare al flusso di notizie riportate dagli amici, per aggiornarsi sugli eventi di attualità. Una volta (14) tutto passava dai siti web tradizionali di testate giornalistiche, agenzie di stampa, blog specializzati in questo o quel settore, e sui siti ci si finiva per davvero: adesso pare che la tendenza sia quella "accontentarsi" delle condivisioni altrui, e molto spesso provenienti dalla sola pagina social di un sito. Forse è anche per questo che Facebook stia pensando ad un'applicazione specifica per le notizie (quanto imparziale non si sa, visto che Mr. Facebook ha comunque palesato una certa tendenza ideologica). Insomma, "vecchia" informazione digitale o "nuovo" feed da bacheca? Il popolo della Rete si (con)divide.

martedì 2 luglio 2013

PAGINE BIANCHE SULLE PAGINE IN BLU

Avete presente le bacheche? No, non quelle del vostro social network preferito, a quelle ci si arriva tra un pochino: stavolta si intende quelle tradizionali, offline, quelle su cui pubblicare annunci - all'università, ad esempio. Campeggia spesso un dato sensibile, un dato molto personale, vale a dire il numero di telefono o l'indirizzo email; soprattutto nel primo caso si tratta di un'informazione davvero personale, uno di quei dati da non rivelare proprio ai quattro venti. E infatti la "logica" della bacheca (sì, sempre quella tradizionale, quella offline) vuole che quel numero venga presto dimenticato, vuoi per la pulizia abitudinaria degli spazi per gli annunci oppure perché quel vendo/cerco passerà presto in secondo piano sotto un'altra richiesta o offerta più recente. Ma con le bacheche digitali (stavolta sì, quelle di Facebook e affini) il rischio di non poter finire mai in background può generare grossi problemi di privacy - e in questo caso è soprattutto l'email a far gola, dato il volume generato quotidianamente da spam e simili. Si parla tanto di protezione e trattamento dei dati, e poi si finisce col leggere che nel giro di pochi giorni Facebook ha reso pubblici 6 milioni (non saranno tantissimi rispetto al miliardo e passa di iscritti, ma il numero è comunque importante) di indirizzi email e numeri di telefono per colpa di una falla; e sempre per via di un bug un utente è riuscito, tramite procedura di acquisizione automatica di dati, a rastrellare 2 milioni di numeri di telefono di iscritti a Facebook. Insomma, c'è di che riempirsi l'agendina: l'obiettivo era però solo quello benevolo di informare il Quartier Generale di FB per segnalare l'anomalia. Di tutta risposta però lo sviluppatore in questione ha ricevuto un messaggio di diffida per una sorta di appropriazione indebita di dati attraverso procedura automatica di acquisizione di informazioni: insomma, oltre al danno la beffa, come spesso accade. Roba da cancellarli dall'elenco.

domenica 30 giugno 2013

"IP IP", URRA'!

Non si accenna a placare il caso mediatico degli ultimi tempi che vede come protagonista un ragazzo(-uomo) che ha fatto sapere al mondo una notizia sconvolgente, ossia che le nostre comunicazioni sono spiate dai governi potenti. Fermo restando che l'accaduto può stupire solo chi non ha ancora capito i pro e i contro della Rete, non passa giorno in cui non vi sia l'aggiunta un dettaglio sulla vicenda, poco importa se riguardi le vicissitudini sull'asilo del fuggitivo o aggiornamenti sui modi e tempi del "controllo" dei dati altrui. A finire al setaccio delle investigazioni sovrastrutturali è finita addirittura la cara, vecchia mail: evidentemente le comunicazioni vecchio stile hanno ancora il loro potenziale di comunicazione, anche se da qui a dire che il controllo delle email possa risolvere il problema della sicurezza delle popolazioni del mondo ce ne passa, visto che probabilmente chi ha intenzioni malvagie non usa certo i sistemi più comuni; questo è abbastanza ovvio.
Quel che dovrebbe destare attenzione nell'opinione pubblica è - come sempre - la facilità di trattamento delle informazioni. Non è tanto il contenuto in sé di un'email a destare sospetti e allarmi, quanto la concomitanza di più fattori, soprattutto in tutto ciò che c'è dietro una comunicazione digitale. E qui entrano in gioco i cosiddetti metadati, vale a dire delle informazioni "nascoste" che sono perfette per l'archiviazione e la ricerca delle informazioni. Tra questi un metadato importante per poter stabilire se un'informazione è da "controllare" o meno è rappresentato dall'indirizzo IP, in grado di stabilire la provenienza geografica dell'informazione - di riflesso, del mittente. Facile dunque intuire come i metadati servano letteralmente a "schedare" le basi di dati, pur non riuscendo spesso ad attribuire un significato preciso a queste informazioni. Insomma, il metadato è solo un (buon) inizio, una specie di scaffale dove contenere una serie di folder personalizzati. Naturalmente l'archivio è da riempire, eppure un metodo per creare le cartelle personalizzate con informazioni ben dettagliate esiste. No, non è solo l'email. Nessun altra idea a riguardo?

lunedì 17 giugno 2013

MUSICA(L), MAESTRO!

There's no end / It's the Facebook way.
Quanta verità.

mercoledì 12 giugno 2013

IL CONTROLLO? E' "GARANTITO"

In giorni in cui è magicamente ri-esplosa la preoccupazione per la sorte dei nostri dati personali per via della scoperta di un programma tutto statunitense che controlla e incrocia le informazioni degli utenti della Rete, arrivano altri moniti abbastanza scontati, ma curiosi per via della tempistica. La (sempre troppo sottostimata) Autorità di Garanzia della Privacy ha stilato il consueto report sulle misure da attuare in materia di protezione dei dati personali, argomento in cui vi è una giungla di leggi poco chiare e interpretazioni conseguentemente nebulose. Ebbene, il sunto è che occorrerebbero delle norme più chiare per gestire il Web e i suoi sottoprodotti di interazione e produzione dei dati come blog e social network: la preoccupazione è per l'aumento della mole di dati (sensibili) disponibili che però è inversamente proporzionale al numero di entità (i cosiddetti Over the Top) che hanno il controllo diretto delle informazioni (pag. 13). Insomma: l'uso indebito di questi dati può andare avanti senza troppi ostacoli, pur essendo una questione che suscita non poche preoccupazioni. A distanza di anni la situazione di fatto non cambia, anzi: può solo prendere una piega sempre più tetra, almeno per quel che riguarda il discorso privacy. E per ogni persona non preoccupata dalla questione "tanto io non posto nulla di particolare, cosa vuoi che sappiano di me?" fa da contraltare la notizia secondo cui gli argomenti di cui più si parla sui social network sono i marchi commerciali e la politica. Ossia due ottimi soggetti da mettere nella cornice che riesce a costruire un quadro abbastanza veritiero di un utente. Cosa vuoi che sappiano di me. Magari il vicino di bacheca poco: di sicuro qualcuno all'ascolto e alla lettura "lì dietro" trova i suoi nessi. Garantito.

martedì 11 giugno 2013

UNA NO(TIF)I(C)A CONTINUA

Gestire tutta la mole di informazione proveniente dal Web sociale, Facebook in testa, diventa un'attività che può portar via un (bel) po' di tempo. Insomma, tra richieste, notizie e notifiche ci vorrebbe una seconda vita per la vostra seconda vita, quella digitale. E se tutte queste richieste si tramutassero in attività vere? Che considerazione avreste del vostro social network preferito, a quel punto? Un video prova a figurare la vita con Facebook nella vita di tutti i giorni. Dopo il video segnalato qualche anno fa, è il momento di qualche altro momento per sorridere. E magari di qualche altro momento per riflettere un minimo. Buona visione!

lunedì 10 giugno 2013

PRI(S)M-A CHE SIA TROPPO TARDI...

Il mondo dell'informazione internazionale ha avuto di che parlare in quest'ultimo weekend: all'orizzonte si è profilato un caso - ma che dico, uno scandalo! - di proporzioni mastodontiche, che fan fatica a star dentro i confini terrestri. Sì, perché se gli alieni avessero un cellulare o un profilo Facebook ci sarebbero dentro anche loro, e fino al collo. La notizia? La notizia è che il governo statunitense ha un programma in grado di accedere ai server dei più grandi colossi di comunicazione telefonica e del Web. Insomma, gli USA ci spiano, e la cosa non riguarda solo i cittadini sul suolo a stelle e strisce ma ovviamente anche e potenzialmente tutti gli abitanti di questa terra (anche se gli alieni...). Tutto nasce da una fuoriuscita di informazioni riservate per mezzo di una "gola profonda", ex-tecnico dell'agenzia di Intelligence statunitense, il quale ha spiegato quando, come e con che mezzi questo programma sia in grado di accedere, processare e interpretare tutti i dati scambiati tra persone. E, per quanto riguarda la trasmissione e la condivisione di dati digitali, è molto semplice indovinare quali siano le aziende coinvolte in questa "donazione spontanea" di dati sensibili. Facile capire anche quali aziende meglio si prestino alla fornitura di dati sensati, ossia quelli in grado di poter associare ad ogni dato scambiato anche un'identità (più o meno) precisa.
Detto questo, l'interrogativo vero è e resta uno solo: dov'è la notizia? Per carità, scoprire che effettivamente i nostri dati sono controllati in maniera più o meno capillare fa sempre scena, ma non deve - e non può - stupire. Perché il dato digitale e online ha un potenziale infinito in senso positivo e in senso negativo, senza vie di mezzo: pensando in maniera abbastanza razionale è facile intuire come tutto ciò che ci vien dato, ossia la possibilità di fare rete e di essere in Rete, ha un prezzo più o meno salato da pagare, e non inteso come costo di connessione. C'è chi pensa che il vostro social network preferito sia stato creato apposta per uno spionaggio "comodo" (e c'è chi non lo pensa), ma il punto è che probabilmente la mole di dati che circola nel mondo crea anche molta "carne al fuoco", e quindi uno chef in grado di controllare la cottura forse era ed è da mettere in conto. Dicono i saggi: su Facebook la gente non si fa i fatti degli altri, ma si fa i fatti che la gente vuole che si facciano. Ecco, aggiungete da oggi anche un lettore in più. Magari la prossima volta prima di condividere determinate informazioni pensateci. Pri(s)ma che sia troppo tardi.

martedì 4 giugno 2013

(AMNI)STIA IN GUARDIA...

Quando si posta un contenuto - una foto, un commento, uno status, un post - si pensa mai alle conseguenze che questo può generare? E non solo per un eventuale destinatario del messaggio (si sa, l'offesa è sempre dietro l'angolo, e spesso non vera), ma anche per le ripercussioni sul proprio ego, digitale e non. Il diario degli eventi passa e dimentica tutto, ma la Rete (spesso) no. E allora un messaggio dell'ultimo minuto o di qualche anno fa non fa differenza, se questo può comportare delle conseguenze anche gravi. Naturalmente la geografia crea i suoi bravi distinguo, nel senso che ci sono paesi in cui una cosa detta e/o fatta può far passare dei momenti di tensione, addirittura tragici. Insomma, in Italia (o in molti paesi occidentali) c'è una libertà di espressione (anche digitale) che altre nazioni possono solo sognare: anzi, neanche quest'ultima, perché abituati dalle legislazioni di quei paesi a ragionare solo in un determinato modo. Per provare a vedere (di nascosto) l'effetto che fa Amnesty International, famosa per la sua battaglia per la difesa dei diritti umani, ha creato Trial by Timeline, ossia una sorta di simulazione di possibili reati in base ai contenuti presenti sulle vostre bacheche. Avete "osato" dire la vostra a riguardo dell'ultima tassa introdotta dal Governo? Beh, sappiate che in Vattelappeschistan potreste essere processati sommariamente in pubblica piazza. Avete nominato un concetto "scomodo"? Beh, probabilmente a Trenetta & Tabacco la cosa vi potrebbe costare la pena di morte (Disclaimer: gli esempi potrebbero non essere reali). Insomma, l'applicazione scansiona i vostri contenuti e vi dice cosa rischiereste in determinati paesi in cui il concetto di democrazia è una lontana utopia. Resta solo un interrogativo: che pena c'è per i contenuti qualitativamente poveri? Rischierebbero in molti (me compreso, ovviamente).

lunedì 3 giugno 2013

DIGITO "ERDO" SUM

Concedere la piena libertà di espressione al popolo, soprattutto in quest'Era Digitale, può incontrare il favore della maggior parte delle persone, ma questo può mandare a monte dei piani costruiti passo dopo passo su scala nazionale. Prendete i paesi con un tasso di democrazia pari a quello del sex-appeal di un bradipo: è chiaro che qui i social media fanno un po' a pugni con i programmi di accentramento dell'opinione pubblica e della propaganda nazionale di alcuni leader "accentratori" di potere sparsi un po' per tutto il globo. Già qualche anno fa si era parlato del rischio che un capo di Stato orientale aveva intuito a ridosso delle elezioni, in cui i social potevano rappresentare una forma di opposizione non da poco per ostruire il piano di continuità alla brama di potere. Altro esempio è rappresentato dall'uso dei social da parte di un'intera popolazione per dire basta alla tirannia e scendere in piazza (sul serio!) utilizzando Facebook e compagni come cassa di risonanza per i messaggi di democrazia. Ultima della serie è una dichiarazione del Primo Ministro turco, al quale è stata prontamente affibbiata la nomea di (ma a questo punto si può dire che è stato "taggato come") dittatore a seguito degli eventi drammatici che stanno scuotendo la capitale del paese. Insomma, altro giro altra piazza da riempire, e sicuramente anche stavolta i social network si stanno rivelando strumento utile per aggregare, informare, colpire: insomma, sono usati per fini più che legittimi. Non è tardata la reazione istituzionale, ovviamente. Il Primo Ministro ha infatti dichiarato che Twitter è "la peggior minaccia alla società" e/o "un pericolo per la democrazia", poiché tante, troppe sono le menzogne che girano in soli 140 caratteri o in status update. Ovviamente la dichiarazione sembra più un tentativo di arrampicarsi sugli specchi piuttosto che una presa di posizione a cui credere, ma....ma è pur vero che esulando da questo caso specifico, Twitter e compagnia bella (ma anche i blog e in generale tutti gli UCG, per carità) possono essere ricettacolo di non-verità, di passaparola nati dal nulla e che possono avere conseguenze gravi, in molti campi. D'altronde, quante volte si sono sparse notizie false solo perché provenienti da tweet letti ma creati da chissà dove e non verificati? Ancora una volta il problema non è il mezzo, ma l'uso che se ne fa: e qui non c'è rivoluzione che tenga, poiché in alcuni casi è proprio il popolo che deve essere educato alla libertà di espressione.