venerdì 27 maggio 2011

ALLA BRACE!

Con un'ironia tutta americana si segnala un video tratto da CollegeHumor in cui Facebook è deriso in maniera pubblica dai suoi concorrenti diretti e indiretti (Google in testa) e in generale dalle grandi realtà di Internet. The Roast of Facebook, tra una battuta e l'altra, cerca di puntare il dito contro i piccoli e grandi difetti del vostro social network preferito, anche se alla fine l'ironia della scenetta è tutta destinata al ruolo da perdente di lusso che risponde al nome di My_____ (Myspace, per intenderci). Buona visione!

mercoledì 25 maggio 2011

A BRAND: PROUDLY SPONSORED BY...

Poco da fare: sotto i riflettori in questi ultimi tempi c'è il tanto amato e odiato tasto like, proprio quello che vi spia  più di qualsiasi altra cosa e/o persona. Il fine ultimo? Ovviamente quello di far soldi grazie a voi, con il vostro esplicito consenso. E mettendo anche la vostra faccia, se necessario. Qualche dato aggiuntivo? Secondo una notizia apparsa su Business Magazine, sono ben 50 milioni al giorno i mi piace associati a ditte e marchi commerciali. Al giorno, eh. Ma c'è di più: per tirare al massimo la corda ed ottimizzare il rapporto tra identità e marchio, FB ha introdotto le cosiddette Sponsored Stories, cioè il modo perfetto per trasformare ogni opinione personale in una pubblicità (guardare per credere). Insomma, i grandi brand ringraziano per la pubblicità gratuita ricevuta: che controsenso. Il risultato? Per tutto questo a voi zero, a loro un paccone di euro. Roba da neuro.

martedì 24 maggio 2011

ROBE CARTESIANE

Spiegare un fenomeno social come Facebook in maniera razionale è come cercare il classico ago nel pagliaio. Tuttavia, dopo aver spiegato che il fatterello-quotidiano-altrui si può spiegare con una regola matematica, ecco un video che spiega in maniera assolutamente precisa alcuni comportamenti tipici del vostro social network preferito. Quella più vera? Il sottile confine tra le cose comprensibili e le politiche sulla privacy di Facebook. La migliore? Il rapporto morboso della gente con il tasto F5. Ma per tutto il resto c'è il video: buona visione.





Facile, no?

giovedì 19 maggio 2011

SPIA E LASCIA CHE TI SPIINO

Facebook come strumento per farsi i fatti altrui è da considerarsi una prassi ormai assodata. Capita anche che il controllo sia su di voi, ci avete mai pensato? Evidentemente no, ma non è questo il punto. Il punto vero è che spesso siete proprio voi a volere tutto questo. Come? E' notizia recente che il vostro amato pulsante like tracci la navigazione Web degli utenti (i "danni" di questa funzione stanno aumentando progressivamente. Fact). D'accordo, dov'è la novità, dirà qualcuno? Beh, il problemino (comune anche ai cinguettii di Twitter) sta nel fatto che l'elemento di condivisione o gradimento di determinati elementi svolge il suo sporco lavoro anche se non si è connessi a Facebook, e rimane lì a fare il suo sporco lavoro (non tanto sporco per gli inserzionisti, che si fregano le mani grazie a voi). Non so se è stata resa l'idea. Evidentemente no, visto che l'articolo originale apparso sul Wall Street Journal è contornato da un migliaio di gradimenti (guardare per credere, e il numero potrebbe ovviamente aumentare). Allora è vero che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire...

mercoledì 18 maggio 2011

MY NAME AIN'T LIKE YOURS

Di nomi "esotici", per così dire, pullula la società moderna. Scelta giusta o sbagliata che sia, ci si trova a commentare appellativi quantomeno non convenzionali. Dopo il pargolo chiamato Facebook dai propri genitori (scelta che ha comunque delle ragioni fondate alla base) eccone un altro: una coppia israeliana amante dei nomi particolari ha chiamato il proprio nascituro Like. No, sul serio anche stavolta. Che dire? Beh, che il corredino è già pronto, anche se probabilmente qualche parente più tradizionalista non sarà contento!

domenica 15 maggio 2011

THE IMPORTANCE OF BEING MARK

Tra le varie beffe delle beffe non solo vi è quella di utilizzare dei sistemi che in un modo o nell'altro ti pugnalano alle spalle (e il vostro social network preferito non fa eccezione), ma c'è anche il rammarico di dover essere sbeffeggiati dal destino, e la cosa più triste è che contro cose più grandi di te, c'è poco da fare. Il destino ha un nome e un cognome: Mark Zuckerberg. Automaticamente il pensiero va proprio a lui, a Mr. Facebook in persona, e invece se bazzicaste nel campo di cause di fallimento e foste dalle parti dell'Indiana magari pensereste ad un altro Mark. Già, perché il signor Mark Zuckerberg ha la sfortuna di chiamarsi come il ben più noto fondatore di Facebook, e - udite udite - per un po' di tempo è stato anche espulso dal social network, accusato di furto d'identità, perché per definizione non si può avere lo stesso nome di una persona famosa. Il signor Mark Zuckerberg, quello povero per definizione, ha dovuto aprire un suo sito personale con tanto di enfasi (una scelta che approvo) specificando attività e diversità dal suo omonimo ricco e famoso per evitare qualsiasi problema. Povero signor Zuckerberg, la sua sfortuna è stata solo quella di avere nome e cognome sbagliati. La vicenda mi ricorda una situazione molto simile avvenuta in Italia con il signor Armani, in cui il debole di turno si è visto scavalcare da cose, eventi o persone più forti di lui. Robe da matti...appunto!

sabato 14 maggio 2011

ACCIDENTI!

Lo dice uno stimato dizionario, mica io. E lo dice anche il blog di Symantec, azienda leader nel campo della sicurezza informatica. Accidentalmente si è verificata una continua perdita di dati sensibili a causa delle numerose applicazioni esterne che si interfacciano con Facebook, Farmville in testa. E - accidenti - questi dati (compresi soprattutto i vostri gusti, quindi diciamo un'identità piuttosto verosimile e completa del vostro io, e non solo virtuale) sono finiti dritti dritti nelle banche dati degli inserzionisti pubblicitari e chissà di quale altro manipolatore di dati. Sempre accidentalmente - riferiscono gli esperti - possono sorgere alcune problematiche relative alla privacy degli utenti del vostro social network preferito. D'altronde non è la prima volta che Facebook è costretta far fronte a fughe di dati dei propri utenti, ma evidentemente il richiamo del luccichio di like e status update è troppo forte per poter lucidamente pensare anche solo accidentalmente a queste questioni. Ma figuratevi, dai piani alti arriverà una secca smentita: "Noi ci teniamo ai dati degli utenti, accidenti se ci teniamo". Accidenti? 'Acci tua!

CREDI CHE SCREDITI?

Le prime donne, si sa, vogliono un faro esclusivo puntato sempre e solo su se stesse: intorno, solo ombra. Capita allora che i grandi protagonisti del Web non guardino di buon occhio l'intrusione di potenziali concorrenti, e quindi cerchino in un modo o nell'altro di gettar fango senza fondate ragioni per farlo, sperando che il pubblico ci caschi e preferisca il prodotto "buono". Se si pensa al concorrente par excellence di Facebook è quasi automatico che si pensi a Google. Chissà perché, poi: forse per fama del marchio, forse per traffico o numero di pagine visitate, ma le due aziende - continuo a sostenerlo in maniera abbastanza convinta - forniscono servizi diversi. Certo, visto il recente trend del Web verso un'impostazione più social, anche Big G ha deciso di aprirsi alle funzioni di networking sociale, ma in buona sostanza Google funziona (bene e meglio, aggiungo) anche senza questi dettagli aggiuntivi. Ma dalle parti di Facebook hanno forse pensato bene di partire con un attacco preventivo, innescando una campagna volta a screditare il grande concorrente. Per farlo si sono rivolti ad un'agenzia di pubbliche relazioni il cui compito è stato quello di assoldare persone (giornalisti, soprattutto) disposte a parlar male di Google soprattutto per ciò che riguarda l'aspetto privacy (detto da Facebook la cosa fa abbastanza ridere). Risultato? La campagna stava per andare in porto, ma per fortuna qualcuno onesto è rimasto a questo mondo, e la bufala è stata prontamente smascherata. Facile l'effetto-boomerang della questione, visto che Facebook è dovuta ufficialmente intervenire per rispondere (debolmente) a queste accuse, per poi finalmente ammettere la colpa. Semplice dispetto nei confronti di un concorrente scomodo oppure tutto è concesso nella lotta fra giganti? A meno che non sia solo un puro, semplice timore...

venerdì 13 maggio 2011

IN MISSIONE

Spopola in questi giorni uno splendido video virale intitolato Mission: Facebook, realizzato da The Jackal e che ovviamente suscita molto più di una risata. Ma si sa, ridendo e scherzando si dicono tante verità, dunque guardate il video e poi pensate: oimè, quanto somiglia al tuo costume il mio? E voi, nella sua situazione, come vi comportereste? Come reagireste? Davvero un link su Facebook (molto ideologicamente connotato e che quindi può creare spaccature tra i vostri amici) può cambiare la vostra vita? Fatevi queste domande e provate a rispondervi: evidentemente se si arriva a questo punto (e dire che sono azioni teoricamente solo digital-virtuali), c'è del marcio in una parte della Rete. Buona visione...

lunedì 9 maggio 2011

DIRTY CASH*

Il crimine non paga, Facebook sì. L'ultima trovata di Mr. Facebook? Pagare i propri utenti (solo briciole in realtà, visto che sono in realtà gli utenti a vender....ehm, a generare moneta sonante nelle casse di Facebook). In cambio vi si chiede una cosa semplice semplice, che è in realtà alla base della digital economy: visualizzare dei brevi messaggi pubblicitari. D'altronde il fenomeno degli ads è in continua crescita sul "sito blu", tanto da risultare il canale principale per il mercato statunitense. E così basterà guardare una pubblicità tra uno status update e un like per guadagnare denaro. Fermi, fermi: prima di correre ad iscrivervi in massa (qualora foste ancora pazzi abbastanza da star fuori da FB) occorre dire un paio di cose, come ad esempio il fatto che i crediti saranno solo virtuali, cioè serviranno per acquistare beni e servizi sul vostro social network preferito, come ad esempio quella mucca pezzata che farebbe un figurone nella vostra stalla di Farmville e cose affini. In altre parole, con la pubblicità che luccica il business è completo. Facebook paga, eppure c'è chi continua - al contrario - a considerarlo un sito a pagamento. Perché, pensavate che Facebook fosse gratis?

*: che ricordi...anche attuali!

venerdì 6 maggio 2011

ABUSO...IN UFFICIO

Peculato: una parola oscura, misteriosa, minacciosa. Cos'è, una cosa che si mangia? Non proprio. Rischia però di "mangiare" tutti quelli che (anche) sul luogo di lavoro non riescono a fare a meno di sbirciare le bacheche altrui sul vostro social network preferito. La legge, si sa, non ammette ignoranza, ma è pur vero che le varie interpretazioni di una norma spesso varcano confini non sempre definiti o definitivamente definibili, senza contare che "nuovi casi" creano (a questo punto pericolosi) precedenti e aprono la strada ad una serie concatenata di applicazioni simili. Sentite qua: a cinque impiegati del comune di Bertinoro è stato contestato il reato di peculato (quella parola all'inizio del post, insomma) e di abuso d'ufficio (quel giochino di parole che fa da titolo al post, insomma). Il motivo? Al di là di download poco ortodossi, è stata contestata anche la navigazione su Facebook, vuoi per un giochino di troppo, vuoi per un mi piace in eccesso. Se tanto mi dà tanto, tutti (o quasi) condannati in Italia, dunque? Onestamente, sembra un tantinello eccessivo. Basta solo un po' di buon senso e di rispetto, sia virtuale che (soprattutto) reale.

giovedì 5 maggio 2011

UN ASSANGE DI VERITA'

Che Facebook vi spii o venga utilizzato per spiare è cosa abbastanza nota (e a questo punto normale, aggiungo cinicamente): volete una riprova? La dichiarazione è di uno che per queste cose ha una certa praticaccia: Mr. Wikileaks, anche noto come Julian Assange, ha recentemente dichiarato che Facebook è semplicemente lo strumento che i governi usano più facilmente per spiare i cittadini, poiché fornisce tutte quelle informazioni in grado di poter localizzare e riconoscere (dal punto di vista di identità e relazioni) una persona. Ad ogni aggiunta di un amico - spiega Assange - si lavora gratis per i Servizi Segreti (degli USA in special modo, puntualizza). D'accordo, è possibile che in queste dichiarazioni ci sia un pizzico di risentimento per via di un riconoscimento mancato e d'accordo, il discorso della rintracciabilità su Internet è un tema che riguarda anche motori di ricerca e affini (ma continuo a ribadire che si tratta di piani diversi, poiché contenuti cercati e identità fisiche sono su due piani diversi), però magari Assange non mi pare sia andato troppo lontano dalla verità. O si sbaglia? Tanto per dirne una, aprendo il sito del Sun stamane ci si imbatte su una notizia parecchio correlata alla questione (e con che titolo, poi...). Niente niente Mr. Wikileaks ha centrato l'ennesimo bersaglio?

domenica 1 maggio 2011

UN BANDITO TRA NOI

L'umanità spesso si pone domande a cui è difficile dare una risposta oggettiva: è nato prima l'uovo o la gallina? Qual è il segreto della felicità? Facebook sul luogo di lavoro è da proibire o da incentivare? Sulle prime due questioni non saprei fornire una risposta logica: sulla terza, mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Tuttavia, se si pensa che il rapporto tra il vostro social network preferito e la produttività sembra essere inversamente proporzionale, il problema riguarda più una questione di educazione, di responsabilità e di mania da gossip. L'ultima notizia a tal riguardo interessa i dipendenti pubblici sparsi in Puglia: sono sempre più, infatti, le istituzioni che stanno impedendo ai dipendenti l'accesso a Facebook. La motivazione ufficiale? Questioni di sicurezza. La motivazione facilmente intuibile? Facebook è veicolo di distrazione. Giusta o sbagliata questa tolleranza zero? Come al solito probabilmente la verità sta nel mezzo: le istituzioni possono anche usare i social come strumento-vetrina per interfacciarsi con i cittadini, così come fa il Sindaco Facebook (già, ma anche lui a volte varca certi confini e dimentica che è la Rete ad essere uno strumento straordinario, non un "semplice" sito non istituzionale che si appropria dei dati altrui), senza contare che su Internet di siti per "distrarsi" ce ne sono a bizzeffe (e qui si ritorna al principio di responsabilità di ognuno di noi). Il problema è sempre quello: perché alla fine del gioco si parla sempre e solo di Facebook oscurato? Ecco, forse la risposta al quesito esistenziale è un po' più chiara.