tag:blogger.com,1999:blog-23030572164054840312024-02-08T00:23:08.220+01:00QUANTO ODIO FACEBOOKPer tutti quelli che odiano Facebook...soprattutto quelli che sono iscritti!kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.comBlogger611125tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-44861912444786340752014-11-29T18:11:00.000+01:002014-11-29T18:14:30.375+01:00IL GALATEO DA STAMPA...RSI IN TESTALa questione relativa al buon comportamento in una comunità non nasce certo oggi, e non finirà - si spera - certo domani: quel che è cambiata, negli ultimi anni, è l'applicazione di determinate forme di comportamento non solo tra persone <i>vere</i>, ma anche in <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2010/02/galateo-20.html" target="_blank">comunità virtuali</a>. I social network hanno senza dubbio dato grandi opportunità a tutti, e la loro sostanziale assenza di regole, o meglio, la libertà individuale di creazione di contenuti ha fatto sì che le questioni di filtraggio di opinioni si annullassero quasi totalmente, dando adito ad un'assenza di <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2011/06/le-buone-maniere-digitali.html" target="_blank">buone maniere digitali</a> spesso opzionale, che scatena la parte peggiore delle persone solo perché <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2014/01/attacchi-indifendibili.html" target="_blank">"nascoste" da una identità virtuale</a> o dalla mancata comunicazione di persona. Certo non è un obbligo, ma una buona educazione alla Rete dovrebbe essere qualcosa da prendere in considerazione anche nel prossimo futuro, per spronare ad un comportamento civile le nuove generazioni (e anche le non più giovani, a dire il vero).<br />
Occorre qualcuno che ci "prenda per mano" e che quantomeno, attraverso i propri canali e i propri spazi, possa fare questa attività fondamentale di cultura. Due gli eventi che mi sono capitati in questi giorni, e che in un certo modo sono collegati fra loro. Il primo è uno spot trasmesso in questi giorni <a href="http://www.socialmedialife.it/news-primo-piano/stop-hate-speech-no-allodio-no-allintolleranza-sul-web/" target="_blank">in TV e che fa riferimento ad un movimento istituzionale</a> che mira ad abolire ogni forma di odio e intolleranza in Rete, sia questa - che so - di carattere etico, religioso, politico o calcistico. Il<i> <a href="http://www.nohatespeechmovement.org/" target="_blank">No Hate Speech Movement</a> </i>è promosso dal <a href="http://www.coe.int/it/" target="_blank">Consiglio d'Europa</a> ed è solo una delle tantissime iniziative promosse dalle sovrastrutture europee per farci essere più popolo e meno individui, anche in Rete. E che merita ogni plauso e diffusione del caso. Il secondo, invece, è una nuova iniziativa del <a href="http://www.lastampa.it/2014/11/26/societa/il-nuovo-galateo-de-la-stampa-su-facebook-ERcuqdb0qksYr8onxjWfbJ/pagina.html" target="_blank">quotidiano </a><i><a href="http://www.lastampa.it/2014/11/26/societa/il-nuovo-galateo-de-la-stampa-su-facebook-ERcuqdb0qksYr8onxjWfbJ/pagina.html" target="_blank">La Stampa</a> </i>intitolato <i><a href="https://www.facebook.com/lastampa.it/app_908746322470172" target="_blank">Il Galateo Facebook de La Stampa</a></i>: si tratta delle (semplici) regole da seguire per interagire attraverso <i>il vostro social network preferito</i> sulle social-pagine della nota testata torinese. A parte alcuni <a href="http://www.lastampa.it/cultura/opinioni/buongiorno" target="_blank">editoriali</a>, se si vuol dire la propria tocca andare sulle pagine FB del quotidiano e dire la propria: beh, ammesso che si rispettino le regole imposte. Va detto che il quotidiano utilizza il social in modo intelligente: fa rimbalzare i propri articoli per riportare flussi di clic alle proprie pagine; attira, propone e incita alla discussione; e poi ovviamente modera secondo le proprie regole. Ché in fondo, in quegli spazi si è come in casa altrui, anche se "affittuari" poiché si tratta comunque di uno spazio terzo. Ben vengano queste iniziative, sempre: se non c'è educazione di fondo non c'è <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/search/label/netiquette" target="_blank">netiquette</a>. Ma forse, grazie a questi piccoli gesti, può succedere il contrario.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-68756669219098979112014-11-16T13:50:00.000+01:002014-11-16T14:03:41.396+01:00QUESTO O QU...ELLOUna premessa, tanto per cominciare: per fare un post del genere ho potuto scegliere tra mille (numero non necessariamente veritiero) titoli papabili. Tipo: <i>Ello world; Finalmente un social b-ello; Design ridotto e poca pubblicità: ecco il social sn/ello; L'alternativa a FB che fa il gesto dell'ombr...ello; Un altro social all'appEllo; Un social che è un gioiello. </i>Davvero, me ne son passate tante per la testa, ma alla fine ho scelto il primo che mi venne in mente. Era doverosa come premessa, anche se non interessa a nessuno. Ma tant'è, ci tenevo a precisarlo. E poi la notizia, ahimè, è già vecchia.<br />
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Sì è vecchia, perché di <i><a href="https://ello.co/beta-public-profiles" target="_blank">Ello</a></i> - l'ennesimo social network che prova a presentarsi come <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2010/05/la-diaspora.html" target="_blank">l'(impossibile?)alternativa</a> a Facebook in nome di una <a href="http://www.rivistastudio.com/editoriali/media-innovazione/ello-e-il-dopo-facebook/" target="_blank">trasparenza maggiore</a> nei confronti del trattamento dei dati degli utenti - già non si parla più, o quantomeno non se ne parla come sarebbero le sue intenzioni, vale a dire una nuova community/base-di-dati-personali che scalza Facebook dalla bocca di tutti (facciamo di molti, va'). E' impossibile (per ora) scalzare Facebook dall'immaginario collettivo dello strumento più immediato e accessibile per raggiungere contatti, per ricevere informazioni (della vicina di casa o della vicenda curiosa capitata agli antipodi del globo: per gli eventi extraterrestri, invece, rivolgersi <a href="https://twitter.com/philae2014" target="_blank">altrove</a>), per restare in contatto con <i>tutti</i>. E' una sorta di <a href="http://www.ilpost.it/2014/10/02/ello/" target="_blank">obbligo sociale</a>, e con più di un miliardo di utenti, resterà così per molto tempo. Meglio che Ello se ne faccia una ragione: <a href="http://www.ilpost.it/2014/11/04/social-network-alternativi-facebook/" target="_blank">i suoi numeri li ha, ma non è detto che faccia il <i>boom</i>, anzi</a>. E pazienza se l'alternativa "etica" a Facebook alla fine potrebbe <a href="http://www.vox.com/2014/9/26/6844633/what-is-ello-should-i-care" target="_blank">trattare i dati come il suo cugino maggiore</a>: è la natura dei <i>social</i>, in fondo.<br />
Ora se di Ello si parla è perché ha già l'etichetta del <a href="http://www.stableytimes.com/news/ello-flops-pushes-facebook-change-fake-name-policy/21209/" target="_blank"><i>mezzo</i> <i>flop</i></a> e, dal primo manifesto che in aperta polemica con le <i>policy </i>del <i>vostro social network preferito </i>si prefigurava come una via di fuga da esso, si è passati ora ad essere una "semplice" alternativa etica, una piattaforma su cui fare altro, su cui fare community in maniera differente. In altre parole, <a href="http://www.wired.it/internet/social-network/2014/11/11/ti-ricordi-di-ello/" target="_blank">Ello non è per tutti</a>. Ma d'altronde la volpe, non riuscendo ad arrivare all'uva, <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/La_volpe_e_l'uva" target="_blank">diceva più o meno la stessa cosa</a>. Chissà se anche lei è finita su Ello.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-28068041570412620352014-10-10T16:59:00.001+02:002014-10-12T12:15:28.385+02:00CHI HA NOMINATO L'ANONIMATO?<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Rete_sociale#Le_reti_sociali_su_Internet" target="_blank">Reti sociali</a>, che passione. Per molti utenti, la rete altro non è che una connessione continua con i propri contatti, una condivisione imperitura di contenuti da <i>dover </i>mostrare a tutti i costi, quasi fosse un tentativo di mostrarsi e mostrare la propria presenza digitale, con le conseguenti ripercussioni sull'esistenza reale. E quale miglior mezzo per farlo se non Facebook? Intendiamoci: il concetto di <i>social network </i>è quasi preistorico, e di fatto nasce con l'uomo. Semplicemente, oggi crearsi una rete di interazioni è decisamente più facile: forse è meno densa di valore, ma è senz'altro meno complicata. E Facebook - ce lo dicono loro stessi - è una comunità sicura, poiché "<a href="https://it-it.facebook.com/help/405674989468892/" target="_blank">le persone usano le proprie identità <i>autentiche</i>, [...] in modo che tutti sappiano sempre con chi si stanno connettendo</a>" (<i>mia enfasi, </i>autocit.). Nessun problema dunque: luogo sicuro, persone sicure. Lo dicono loro.<br />
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E invece.
E invece capita che da qualche giorno svolazzino delle voci di corridoio che parlano di <a href="http://www.ilpost.it/2014/10/08/facebook-applicazione-anonimato/" target="_blank">un'applicazione Facebook in grado di garantire l'anonimato ai suoi utenti</a> per permettere loro di dialogare liberamente, senza alcuna costrizione legata al problema di doversi rivelare pubblicamente: insomma, esporre senza esporsi. Quindi? Quindi il <i>sicuro</i> social network identitario invita i propri utenti a "<a href="http://www.lastampa.it/2014/10/08/tecnologia/facebook-lavora-a-unapp-per-lanonimato-FfI6UMIlMI18d2vjBbxfdI/pagina.html" target="_blank">nascondersi</a>", in qualche modo: un po' come nei vecchi forum o nei gruppi di discussione in cui si discuteva -<a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/10/ha-cacciato-la-scienza.html" target="_blank">spesso con cognizione di causa</a>- senza doversi per forza conoscere di persona. Questa nuova politica non fa un po' a pugni con il credo del <i>vostro social network preferito</i>? Forse no o molto più probabilmente sì, ma tant'è. E non è tutto: già da qualche tempo si parla anche di post personali "a tempo", ossia che hanno una validità temporale e poi <a href="http://www.nuovasocieta.it/hi-tech/facebook-come-snapchat-i-post-che-si-autoeliminano/" target="_blank">svaniscono nel nulla</a>. Mossa interessante: la gente crederà che mettendo un timer ad uno status update possa giustificarsi dicendo di non avere mai scritto questa o quella frase "particolare", pensando probabilmente alla favoletta secondo cui su Internet è possibile far sparire le cose, come con un cilindro magico. Tirare il sasso e nascondere la mano, ma ripresi in mondovisione: l'immagine è più o meno questa.
Insomma, perché Facebook di colpo adotta questa nuova strategia? E' probabile che sia il "mercato" ad imporlo. Alcuni dei popolari concorrenti di FB come Twitter stanno riscuotendo un discreto successo che piano piano logora il dominio fin qui incontrastato dell'imperatore dei <i>social</i>. I dati sembrano confermare questa "fuga da Facebook", soprattutto relativamente ad una fascia d'età critica, <a href="http://www.ilpost.it/2014/10/09/facebook-fuori-moda/" target="_blank">quella dei teenager</a> (in termini di marketing e generazione di profitti, una vera manna). Forse il desiderio di non esporsi più così pubblicamente o forse la necessità di scappare da una gabbia di contatti noti è la tendenza che si propone nuovamente, facendo sì che nell'universo di Internet si torni a puntare sulla qualità del contenuto generato e non sull'identità legata ad esso. E allora via all'introduzione di queste nuove caratteristiche: identificatevi o no, basta che restate sul nostro sito. Dev'essere questo il concetto di fondo che anima Facebook: d'altronde, bisogna accontentare tutti, ma proprio tutti. All'orizzonte c'è una nuova, forse definitiva espansione verso gli ultimi <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/08/che-diritto.html" target="_blank">bacini sociali rimanenti</a>, e per farlo bisogna portare avanti sottotraccia il progetto per portare Internet (e Facebook) <a href="http://www.ilpost.it/carlopizzati/2014/10/10/facebook-cibo-acqua-vespasiani-indiani/" target="_blank">all'umanità intera</a>. D'altronde, lo si fa solo per il nostro bene, (a)no(nimo)?
kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-38559808511147659592014-07-14T21:17:00.000+02:002014-07-14T21:17:37.953+02:00TU CHIAMALE SE VUOI, EMOZIONI (ALTERATE)Questa è la storia di un <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/search/label/inganno" target="_blank">inganno</a> bello e buono. Sissignori, non chiamatelo esperimento - tantomeno aggiungendoci l'aggettivo <i>scientifico -</i>, non chiamatelo un tentativo, una prova, una cosa "solo per vedere di nascosto l'effetto che fa (cit.)": no, questo è un inganno sulla pelle della gente, anzi, sulle bacheche dei profili degli utenti.<br />
Di <i>tanti,</i> utenti. Provate a dirlo tutto d'un fiato: set-te-cen-to-mi-la. (Ok, così non è tutto d'un fiato, ma forse rende l'idea) Questo è il numero ufficiale stimato degli utenti Facebook sottoposti a, come dire, un esperimento - ma non dovevamo chiamarlo così, ricordate? - condotto attraverso <i>il vostro social network preferito</i> e pubblicato addirittura su una <a href="http://www.pnas.org/content/111/24/8788.full.pdf" target="_blank">rivista scientifica</a>. Settecentomila utenti: non sette, non settanta, non settecento. Qui si parla di intere città, di mini-metropoli, non di quattro gatti; <i>pardon</i>, utenti. L'obiettivo? Cercare di capire se i social network sono in grado di manipolare le emozioni e le reazioni emotive della comunità di utenti più grande che sia stata mai riunita. Intento nobile, non c'è che dire. Per raggiungere l'altissimo scopo alle centinaia di migliaia di iscritti a FB è stato <a href="http://www.ilpost.it/2014/06/29/facebook-ricerche-utenti/" target="_blank">centellinato, o comunque alterato, il flusso di notizie che appare nella propria bacheca</a>. Ovviamente questa nuova "fruizione" dei contenuti rispondeva ad un algoritmo preciso, modellato sulla prosodia delle parole-chiave, ovverosia sul suo contenuto tendenzialmente positivo o negativo. Va da sé che un'alterazione di questo tipo risulti nella "selezione" di notizie a piacimento: e no, qui non si parla di notizie vere o false (almeno quello...), ma di notizie "brutte & buone" <i>sapientemente</i> portate sulle bacheche degli utenti-cavia per carpirne emozioni presumibilmente sotto forma di status e/o commenti. Al diavolo la <i><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Sentiment_analysis" target="_blank">sentiment analysis</a> </i>fondata sull'oggettività, insomma. In altre parole, estremizzando: se vivo ad Amburgo e mi vien bloccata la possibilità di fruire di notizie relative ai recenti eventi in <a href="http://www.internazionale.it/tag/medio-oriente/" target="_blank">Medio Oriente</a> e mi si propinano solo notizie relative alla recente vittoria della <a href="http://www.lastampa.it/2014/07/13/sport/speciali/mondiali-di-calcio-2014/un-gol-di-goetze-stende-largentina-la-germania-campione-del-mondo-Tg5xvnM9IGDYzghuQI5EaN/pagina.html" target="_blank">Germania alla Coppa del Mondo di calcio</a> beh, è facile star allegri. Viceversa, se la <i>scientifica </i>selezione dell'algoritmo propenderà verso la condivisione di meno <i>meme</i> e più notizie "serie", lo stato emotivo del fruitore tenderà ad essere con un <i>mood </i>più negativo.<br />
Non è inganno questo? E nonostante ci sia il consenso degli utenti - volontario o involontario, visto che al momento dell'iscrizione al network si accettano i termini e le condizioni che non stan proprio tutti lì a leggere per filo e per segno - di fatto qui si parla di un'alterazione del "normale" utilizzo della piattaforma. E stiamo parlando del sito Web più celebre e influente della storia di Internet, non di un forum per sfigati. Oggi son settecentomila, e domani? E chi ci garantisce che non siano stati condotti altri studi "mirati", o che FB stesso non sia tutto impostato per manipolare il flusso dell'informazione e dell'emotività reattiva che ne consegue, con risultati facilmente immaginabili, visto che si parla di oltre un miliardo di utenti? Insomma, i "soliti" discorsi, da cui si possono trarre delle <a href="http://www.wired.it/attualita/media/2014/07/03/cosa-ho-imparato-dal-dibattito-su-facebook-che-manipola-le-emozioni/" target="_blank">logiche conclusioni</a>. E ben vengano, a questo punto, le inchieste delle <a href="http://www.lettera43.it/cronaca/test-facebook-su-emozioni-in-gran-bretagna-aperta-un-inchiesta_43675134035.htm" target="_blank">autorità competenti </a>per cercare di stabilire una verità. <i>Un'altra</i> verità, probabilmente: ne circolano altre, qui in Rete, influenzate da un algoritmo e qualche eminenza grigia. Sulla pagina principale di Facebook, quella di login, campeggia la frase "è gratis e lo sarà sempre". Sicuri che non si stia pagando comunque un certo prezzo?kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-3593593402334653562014-06-17T00:16:00.001+02:002014-06-17T00:19:59.539+02:00PERSONALITA' (TROPPO) PUBBLICHEIndividuare il carattere di una persona "solamente" dal proprio profilo Facebook? Una questione di <i>carattere</i> piuttosto semplice: basta incrociare <i>un paio</i> di dati e il gioco è fatto. Potenza delle informazioni digitali, della capacità di aggregazione e categorizzazione dei <i>big data</i>, un paio di algoritmi sparsi qui e lì ed è - meglio, <i>può essere</i> - piuttosto semplice scoprire tutto o quasi di una persona - meglio, di un profilo.<br />
Quale sarà l'oscura magia che può far sì che una macchina possa scovare i tratti della personalità di una persona? Niente di più semplice: bastano i dati che <i>volontariamente</i> gli utenti scrivono sul <i>vostro social newtork preferito</i>. L'applicazione, realizzata dalla società <i>Five Labs</i>, <a href="http://www.huffingtonpost.it/2014/06/13/facebook-five-labs-start-up-analizza-personalita_n_5490931.html?utm_hp_ref=italy" target="_blank">scandaglia tutti i post di un utente</a>, analizzando le semplici parole del vostro periodare: alcune saranno semanticamente più rilevanti di altre e verranno associate a uno dei cinque grandi tratti della personalità descritti da qualche luminare e impressi su qualche libro. A quel punto, è facile aggregare tutte le parole appartenenti ai vari gruppi, confrontare le frequenze assolute delle parole e quelle relative ai vari gruppi e <i>voilà</i>, in un attimo il programma sforna per voi il profilo caratteriale con tanto di percentuale/propensione verso un tratto o un altro. Di per sé un'idea semplicissima che crea un connubio perfetto tra potenza delle parole in libertà e la rigidità della frequenza matematica. In più, è possibile poi effettuare un confronto tra il proprio profilo e quello dei propri <i>amici </i>e -udite, udite - quello di importanti personalità (Occhio: pare funzioni solo in inglese. E <i>just in case</i>, funzionerebbe solo purché i propri post siano scritti in una lingua corretta, senza obbrobri grammaticali e/ortografici!): come se il presidente degli Stati Uniti si sia messo a fare anche lui il giochino della personalità, vabbè.<br />
Insomma, l'ennesima dimostrazione che il potenziale linguistico <i>gentilmente </i>offerto dagli utenti FB è lì, pronto per essere sfruttato a proprio piacimento da altri. E, come se non bastasse, sulle capacità di carpire le informazioni è notizia recente la scelta, da parte di Facebook, di proporre inserzioni pubblicitarie attingendo dalle ricerche web effettuate da un utente sul proprio o sui propri dispositivi. In altre parole, le pubblicità che appariranno su FB <a href="http://www.hwupgrade.it/news/web/da-facebook-buone-e-cattive-notizie-per-gli-amanti-della-privacy_52779.html" target="_blank">saranno simili o correlate </a>alle ricerche effettuate su - per esempio - siti di e-commerce o semplici ricerche su motori di ricerca. Anche qui, sarà sufficiente da parte degli algoritmi FB "pescare" informazioni già preesistenti per proporre inserzioni sulla stessa falsariga perché, a rigor di logica, ciò che si cerca è ciò che piace. Non è sempre vero ma ehi, la pubblicità è l'anima dell'economia. In realtà questo sistema di pubblicità mirata è un sistema dal meccanismo tanto semplice quanto non nuovo: è, in linea di massima, il sistema utilizzato da Google per far comparire su parecchi siti che concedono i propri spazi pubblicitari le ricerche da poco effettuate e rimaste memorizzate nelle memorie <i>cache</i> dei propri browser. Una tecnica piuttosto efficace, e di per sé non tanto invasiva: i dati memorizzati nei browser sono piuttosto semplici da eliminare, e cancellati quelli, non c'è possibilità che l'algoritmo possa ripescare la vostra ricerca di un auto o di un barbecue (suvvia, è quasi estate). Poco invasiva, appunto: quasi quasi stride con il modello Facebook. E forse qui casca l'asino. Perché la <i>ricerca </i>sui motori di <i>ricerca</i> è quasi esclusivamente anonima, mentre la stessa tecnica associata ad una profilazione già molto avviata può avere il suo perché, in termini commerciali. Insomma, se alla tecnica di ripescaggio informazioni si aggiunge l'analisi di informazioni personali, ecco che il prodotto è bello che servito. Pubblicità infallibili come risultato? Forse: ma è l'ulteriore prova che la pratica del <i>crossing the data</i> può arrivare nella parte più profonda di noi. O almeno, in quella digitalmente esposta di noi.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-44615919513914138722014-06-06T14:19:00.000+02:002014-06-17T00:17:18.544+02:00"CARTA" CANTA...Internet, la libertà. La libertà di dire ciò che si vuole - prendendosi le proprie responsabilità, valutando ciò che si scrive, pensando alle possibilità che possono scaturirne: ma questa è un'altra storia -, la libertà di poter condividere potenzialmente con il mondo intero le proprie cose. In un mondo ormai dominato dai social network, in cui grandi portali di <i>concessione</i> di un profilo, di un nome o di uno pseudonimo categorizzano e schedano le nostre identità, esistono anche casi spinosi in cui non è tanto la logica personale a prevalere quanto quella puramente commerciale. Ah, Internet esisterebbe anche per fare piccoli-grandi-affari con il globo, se si ha un po' di organizzazione, fortuna e entusiasmo, e non solo per comunicare con il vicino o lontano di casa. Solo che aprirsi una vetrina digitale dei propri prodotti non è procedura da sbrigare e inventarsi una mattina: esistono delle regole, esistono delle procedure, ed esisterebbero in teoria anche degli <a href="http://www.w3.org/Consortium/mission" target="_blank">organismi di controllo</a> della diffusione dei cosiddetti "nomi su internet"- ma non li conosce nessuno, e anche se fosse, <i>io voglio </i>quel <i>nome per il mio sito, punto</i>. Ché la Rete sarà anche anarchica, ma qualcuno a tirare i fili della faccenda c'è. C'è sempre.<br />
E c'è anche la solita faccenda dell'abuso di potere o di posizione superiore, e solo perché la legge del più forte di solito, vuoi o non vuoi, funziona sempre. <i>Only the strong survive</i>: in tempi digitali, si può dire che chi ha più <i>big data</i> ed è sulla bocca di più persone si può arrogare il diritto di non ascoltare gli altri e, in un certo senso, di infrangere le regole o considerarle solo quando fa più comodo.<br />
La storia è questa: in un mercato digitale ormai dominato dagli <i>store</i>, grandi mercati in cui è possibile acquistare software per i propri dispositivi elettronici come computer e (soprattutto) smartphone e tablet, si affaccia un bel giorno un'applicazione dal nome tanto semplice quanto efficace, soprattutto per chi mastica la lingua della "perfida Albione": <i>Paper</i>, uno strumento per tirar fuori la parte graficamente più artistica degli utenti. Libera <i>app</i> in libero <i>market</i>, verrebbe da dire: e infatti, l'applicazione è apprezzata tanto da vincere anche il premio come <a href="http://www.fiftythree.com/paper" target="_blank">miglior software-da-<i>melafonino </i>del 2012</a> e qualche altro riconoscimento qui e lì: non male, insomma; non l'ultimo dei software, ecco. E poi? E poi arriva Facebook, che nel corso del 2013 si inventa e lancia <i>Paper</i>, un'applicazione per condividere storie e notizie attraverso e grazie al <i>vostro social network preferito</i>. In un mondo normale no, le due applicazioni non dovrebbero avere lo stesso nome: possono anche avere obiettivi diversi, layout differenti, utenze agli antipodi ma no, in teoria il mercato su cui sono ospitate le applicazioni tende a differenziare i prodotti, quantomeno per ciò che riguarda la nomenclatura. Sicché, delle due l'una: <i>Paper</i> deve diventare in modo univoco il nome di una o dell'altra <i>app</i>. Vince la terza via, come spesso accade: <a href="http://www.hwupgrade.it/news/web/fiftythree-registra-il-marchio-paper-facebook-costretta-a-cambiare-nome-alla-sua-app_50857.html" target="_blank">Facebook si rifiuta di cambiare il nome al proprio prodotto</a> - d'altronde il nome è tremendamente efficace, vale la pena ripeterlo - <a href="http://www.idownloadblog.com/2014/02/03/facebook-paper-app-fifty-three/" target="_blank">nonostante sia arrivato dopo</a>, per cui varrebbe in teoria il principio del <i>first come, first served</i>, e non solo nel campo delle applicazioni digitali. E quindi <i>Paper</i> (quella di Facebook) <a href="https://itunes.apple.com/us/app/paper-stories-from-facebook/id794163692?mt=8" target="_blank">è ancora lì</a>, con il suo nome tremendamente efficace (già detto? Già detto): "l'altra" <i>Paper</i>, che poi sarebbe quella originale ma nell'immaginario collettivo magari no, continua a mantenere il suo nome ma ecco, c'è rimasta un tantino male ma è <a href="http://news.fiftythree.com/post/75486632209/every-story-has-a-name-fiftythrees-story-began" target="_blank">forse consapevole </a>che contro i giganti è dura lottare.<br />
La vicenda solleva il solito interrogativo, o quantomeno la riflessione secondo cui dove non arriva l'ingegno ci arrivano i <i>potenti </i>mezzi dell'essere <i>potenti</i>. L'episodio ricorda un po' la diatriba su un sito già legittimamente registrato ma <a href="http://www.cognomix.it/news-309-armani-gli-ruba-il-cognome-e-lui-vende-un-rene-per-denunciarlo.php" target="_blank">"rubato" letteralmente da un omonimo più famoso</a>. E ricorda che quando si è trattato di omonimia, <i>il Signor Facebook </i>ha già fatto <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2011/05/importance-of-being-mark.html" target="_blank">valere le sue forti ragioni</a>, anche per <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2010/11/in-your-face.html" target="_blank">l'azienda che dirige</a>. Che storia: da raccontare magari su <i>Paper</i>. L'altra, s'intende. Non quella originale.<br />
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<br />kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-61729814275539216242014-04-15T23:17:00.000+02:002014-04-15T23:18:32.067+02:00A(NON)BBBELLAAAAAA!Gli <i>immancabili </i>studi scientifici che coinvolgono Facebook e dintorni: nuovo capitolo. Stavolta si punta il dito contro l'impressione che le donne hanno di sé prima e dopo il trattamento con <i>il vostro social network preferito</i>. I risultati? Secondo la ricerca, le donne tendono a <a href="http://www.huffingtonpost.it/2014/04/12/facebook-donne-peggiora-percezione-corpo_n_5138406.html" target="_blank">percepire in modo peggiore il proprio corpo</a> dopo aver effettuato lo <i>scroll</i> di <i>status update</i>, aggiornamenti e foto del proprio network. I motivi sono abbastanza comprensibili: è evidente che la vetrina rappresentata dai social network come (non?)<a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2010/12/cosmesi-digitale.html" target="_blank">rappresentazione del proprio <i>ego</i></a> scatena una spirale di confronto da cui le donne tendono ad uscirne con un'immagine di sé più negativa, vuoi dopo aver visto le foto della vacanza paradisiaca di un'amica di un'amica di un'amica o per l'acquisto di chissà quale borsa o vestito da parte di qualche (lontano) conoscente. Il "ribaltone" è questione di un attimo: prima si sentono <i>fate</i>, poi Facebook, indirettamente, dice loro: <i>fate pietà!</i>kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-64336094377056836042014-04-08T00:47:00.002+02:002014-04-08T00:51:18.005+02:00LEGGERE COSE LEGGEREAll'accusa frequente secondo cui "Internet fa male", "La Rete fa solo danni", "Bisognerebbe chiudere o filtrare il Web" (accusa mossa soprattutto dalle generazioni meno propense ad utilizzare e conoscere questi strumenti), la risposta forse più corretta sarebbe <i>dipende</i>, senza per forza scadere in una replica attendista. Dipende, già, perché è un mezzo a disposizione di tutti, e come tale è come se esistessero miliardi di esperienze diverse, alla cui responsabilità fa capo ogni singolo utente. Poi c'è un'altra accusa piuttosto frequente mossa a chi "è sempre davanti al computer" (o al cellulare: insomma, quei dispositivi lì), ossia che con Internet si è perso il gusto e soprattutto l'abilità di leggere, in particolare i libri. Vero. Cioè, vero in parte: è sicuramente corretto dire che i lettori - nel senso più classico del termine - <a href="http://www.repubblica.it/la-repubblica-delle-idee/societa/2014/01/14/news/l_uomo_che_non_legge_i_libri_che_c_di_strano_mi_annoiano-75884226/" target="_blank">sono in costante diminuzione</a>, ma questo non vuol dire che leggano di meno. Forse leggono meno opere intere, di cui il feticcio libro è sicuramente l'emblema principale; allo stesso tempo, tuttavia, i nuovi strumenti digitali e quelli in Rete hanno cambiato <a href="http://www.lescienze.it/news/2012/11/27/news/lettura_scritura_alfabeto_ideogrammi_aree_cerebrali-1385663/" target="_blank">l'esperienza di lettura </a>in modo abbastanza radicale. Si legge meno in termini di quantità, ma forse si legge di più in termini di varietà e completezza delle informazioni, e poi grazie all'ipertestualità e alla multimedialità si <i>può</i> fare in modo da ricevere un'informazione chiara e precisa, con molteplici rimandi cognitivi (e anche sensoriali, perché no). Un video, un link (e un controlink), un'infografica, e anche un <i>tweet </i>e uno <i>status</i> fanno conoscenza, a loro modo. E qui torna la risposta iniziale: <i>dipende</i> dalla propria esperienza in Rete, cosa si va a cercare, quanto capillare è la ricerca, quanto varia è la stessa, quanto interesse si ha per determinati argomenti e così via. Non sarà un libro in più o in meno a fare la differenza, o almeno forse non la farà quanto la scoperta della Rete in tutto il suo <i>buon</i> potenziale. Insomma, si scopre anche che il nostro cervello si sta lentamente adattando a questa nuova esperienza di ricezione delle informazioni, per cui si scoprono dati secondo cui la lettura "digitale" <a href="http://www.ilpost.it/2014/04/07/leggere-online/" target="_blank">aumenta la distrazione</a> proprio in virtù di questa continua discontinuità di formati e testi; ciò è vero se rapportato con gli strumenti classici, per cui tornando al <a href="http://www.lastampa.it/2013/12/30/scienza/benessere/niente-di-meglio-per-il-cervello-che-la-lettura-di-un-buon-romanzo-Le4lAAGtL8BH6XiVsJ9K0H/pagina.html" target="_blank">vecchio libro</a> inconsciamente forse cerchiamo un link o un <i>like</i> da qualche parte. <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2012/10/stupidi-pazzi.html" target="_blank">E' l'evoluzione della specie</a>, che piaccia o non piaccia, che porti a miglioramenti o meno: <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2012/12/non-restare-chiuso-qui.html" target="_blank">penseremo in modo diverso</a>, ci distrarremo e non porteremo a termine le cose che facciamo, e se lo faremo sarà solo colpa-o-merito di Internet e dei suoi derivati. E se non sarete arrivati in fondo a questo articolo, non vi biasimo affat<span style="color: black;">to.</span>kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-14220892885074098752014-04-02T23:58:00.002+02:002014-04-06T13:24:40.988+02:00A PESCI (D'APRILE) IN FACCIAIl primo giorno di Aprile, da che mondo è mondo, è sinonimo di una cosa: il primo giorno del quarto mese dell'anno. No, scherzo. Appunto! Il pesce d'Aprile è proprio il giorno in cui ormai è sdoganata un po' dappertutto la pratica di fare scherzi a malcapitate vittime, e chissà perché poi. <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Pesce_d%27aprile" target="_blank">L'etimologia è incerta</a>, ma che importa: l'essenziale è ingegnarsi per architettare uno scherzo coi fiocchi e controfiocchi. E, da qualche anno, non bastano gli scherzi ad amici e parenti: il Web è diventato un vero e proprio strumento (nonché un archivio) di diffusione di scherzi di massa. La cosa divertente, sotto un certo aspetto, è proprio l'ingegno profuso da molti nel cercare lo scherzo più improbabile e dall'effetto sorpresa più vasto possibile, segno di riuscita sicura della burla. E quindi, puntuale, arrivano le rassegne degli <a href="http://www.repubblica.it/cronaca/2014/04/01/news/pesce_d_aprile-82439080/" target="_blank">scherzi più riusciti</a> trovati in giro per la Rete: dalle classiche funzionalità assurde di Google agli improbabili prodotti che non vedremo mai in circolazione, la lettura risulta sempre piacevole, almeno solo in quel giorno dell'anno. Insomma, è diventata una pratica abbastanza sdoganata, ma attenzione: l'effetto <i>boomerang </i>è sempre dietro l'angolo, soprattutto se si è un <i>brand</i> abbastanza diffuso e si fanno circolare certe notizie a mezzo social network, Facebook in particolare. E' un attimo: il popolo della Rete non perdona, che sia il primo di Aprile o Ferragosto.<br />
La notizia è questa: un noto marchio di telefonia mobile presente in Italia <a href="https://it-it.facebook.com/Wind/posts/766115730073840?stream_ref=10" target="_blank">annuncia il 31 marzo</a> che dal giorno successivo avrebbe <a href="http://www.agenziarepubblica.it/news/68bd3cde-004c-42ab-978a-9c29df68f72e/Wind-pesce-daprile-ai-fans-sulla-pagina-Facebook.aspx#.UzxG4qh_vkI" target="_blank">chiuso le pagine Facebook e Twitter dell'azienda</a>, pagine che - non ci sarebbe neanche bisogno di spiegarlo - fungono da canale promozionale ma che di fatto diventano anche e soprattutto <a href="http://www.lastampa.it/2014/04/06/tecnologia/twitter-e-facebook-lassistenza-clienti-sul-social-network-S1hIRZifQw71aFojXsS1hN/pagina.html" target="_blank">canali diretti di assistenza</a>: una sorta di <i>customer care</i> a portata di bacheca. Apriti cielo: i clienti si scagliano contro la decisione e, già che ci sono, sputano un po' di livore nei confronti dell'azienda, lamentando questo o quel disservizio. Il <i>day after</i> non è dei migliori: nonostante si svelasse l'arcano del <i><a href="https://www.facebook.com/photo.php?fbid=766166490068764&set=a.153727617979324.32472.142553345763418&type=1&stream_ref=10" target="_blank">pesce</a></i>, utenti & clienti continuano a prendere di mira l'azienda incuranti del messaggio iniziale, oppure parlando di tariffe gonfiate e disservizi come <i>pesci d'Aprile</i> non proprio graditissimi, ecco. Risultato? Non sono esperto di marketing (eh!) ma credo che la mossa si sia rivelata un <i>tantinello </i>controproducente, non foss'altro perché probabilmente hanno scelto il canale "peggiore" per poter veicolare il loro intento. Già, il popolo della Rete non perdona, ed è subito pronoa ad un (mediaticamente parlando) gol<i>pe sce</i>llerato.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-43340006156659457432014-03-28T23:17:00.001+01:002014-03-28T23:26:22.957+01:00PUGNO DI FERR(ARI)Strano rapporto, quello tra i <i>brand </i>e i social network, Facebook in particolare. Strano in senso positivo, perché è indubbio il ritorno economico e di immagine che questi possono avere affidando ad un sicuro canale di diffusione i propri contenuti. Strano in senso negativo, perché lo stesso bacino di utenza un giorno è fedele e segue pedissequamente i dettami di un marchio, ma - date le dinamiche delle (il)logiche di mercato - il giorno dopo potrebbe voltare le spalle, riversando la propria contrarietà sullo stesso canale che utilizzavano per tessere le lodi. E' il brutto e il bello del "potere" di scrittura dato a tutti, con tutto quel che consegue quando si parla di veri e propri fenomeni di massa.<br />
Nel rapporto tra marchio e clientela, dunque, bisogna considerare aspetti indubbiamente positivi e potenzialmente negativi, sperando che il bilancio penda da una parte per entrambe le componenti. Fidelizzazione e cura dei <i>fan</i> o semplice condivisione dei contenuti? E come comportarsi poi nei confronti della condivisione di contenuti soggetti a diritto d'autore? Tante sono le domande a riguardo e molto poche le risposte oggettive che si possono dare, proprio perché il <i>marketing</i> si è letteralmente spostato da canali tradizionali (in cui persino la pur recente - <a href="http://www.mercatoglobale.com/web-marketing/perche-lemail-newsletter-e-lo-strumento-di-marketing-piu-efficace" target="_blank">e sottostimata </a>- <i>newsletter</i> sembra roba di un secolo fa) ad altri dal <i>feedback </i>più immediato. Che, pare, sia la cosa che più conta.<br />
Insomma, tutto bene finché va bene, o finché non arrivano le prime grane. C'è un caso recente riportato da <i>Il Post </i>in cui un marchio "rampante" (<a href="http://www.corriere.it/economia/14_febbraio_18/ferrari-marchio-piu-forte-mondo-supera-google-hermes-coca-cola-de1d7a6a-9883-11e3-8bdc-e469d814c716.shtml" target="_blank">anzi, il più forte al mondo</a>) ha intrapreso un'azione legale nei confronti di un ragazzo <a href="http://www.ilpost.it/2014/03/28/ferrari-facebook/" target="_blank">per sfruttamento improprio di proprietà intellettuale</a>. In teoria non ci sarebbe niente di inusuale, se non fosse che...se non fosse che la violazione sia stata effettuata su Facebook. La storia in poche parole: il ragazzo crea una sorta di <i>fanpage</i> del noto marchio automobilistico; la pagina diventa molto seguita; il <i>brand</i> se ne accorge e contatta il ragazzo per arrivare ad un accordo, attraverso una specie di contratto, che contempli la gestione della pagina per conto del marchio stesso; quest'ultimo alla fine scarica l'ex proprietario della pagina, assumendone il controllo (e la gestione della base di <i>fan</i>, ossia la cosa più importante); il ragazzo denuncia il marchio per appropriazione indebita di una specie di attività creata mattone dopo mattone - anzi, utente dopo utente - e di contro il <i>brand</i> lo controdenuncia per sfruttamento di proprietà intellettuale.<br />
Non so dove sia la verità, ma una cosa è certa: con che basi si può pretendere che un marchio si arroghi il diritto di strappare dei contenuti altrui ospitati su una piattaforma non sua? Qui non si parla di un attacco al sito istituzionale del marchio, ma di una "semplice" pagina <i>fan </i>su un canale ESTERNO al <i>brand</i> stesso, che quindi è tanto ospite quanto il ragazzo che condivideva la sua passione. Troppo comodo fare marketing a costo strutturale pari a zero e con un ritorno non indifferente grazie ad "altri" (in questo caso Facebook) e pretendere a priori diritti fino ad un certo punto legittimi. A questo punto si spera che arrivi il <i>proprietario di casa </i>e si prenda il diritto di accaparrarsi tutto: ne ha facoltà, come probabilmente da accordi nei termini & condizioni. Un po' come il ragazzino che nelle partite per strada portava il pallone: la decisione delle squadre era sua, i rigori li batteva tutti lui, e lui decideva quando si tornava a casa. Tornare forse ai canali "proprietari" potrebbe rappresentare una soluzione per stare a...<i>cavallino</i>.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-71686538294611650052014-03-25T20:46:00.000+01:002014-03-25T20:46:38.823+01:00TWITTA CHE TI PASSA(NO A PRENDERE)Con l'avvento dei social network il "ritorno di flusso" dell'incredibile mole di informazione scambiata tra utenti e in aumento esponenziale è duplice: da una parte gli utenti, in grado di comunicare, dire la propria, ricercare informazioni proprio all'interno di questo grande contenitore che fa capo al <i>nuovo</i> concetto dei <i><a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/03/bfd.html" target="_blank">Big Data</a></i>; dall'altro, invece, ci sono i fornitori dei servizi di queste piattaforme di espressione e condivisione, i quali possono attingere a piene mani da questa immensa raccolta di informazioni per fini prettamente commerciali (<a href="http://www.lastampa.it/esteri/speciali/effetto-snowden/all" target="_blank">ma non solo loro, a quanto pare</a>). Tra le piattaforme pubbliche di interscambio informativo - pubbliche intese come non private, ossia liberamente "consultabili" nella stragrande maggioranza dei casi -, la parte del padrone è rappresentata senza dubbio da <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/search/label/twitter" target="_blank">Twitter</a>, sito di <i>microblogging</i> e molto di più. Ma <i>quanto </i>di più, di preciso? Beh, questo dipende da quel che si vuole rivelare di sé in quei pochi caratteri a disposizione, ma spesso anche nel non-detto o nelle espressioni involontarie si possono estrapolare informazioni sensibili. I ricercatori di IBM hanno sviluppato un algoritmo in grado di leggere i <i>tweet </i>di un utente e di interpretarli in base a parole che, in un contesto di aggregazione dati, possono<a href="http://www.adnkronos.com/IGN/News/CyberNews/Grazie-ai-tuoi-tweet-i-ricercatori-dellIbm-adesso-sanno-dove-vivi_321368757693.html" target="_blank"> rivelare con una certa precisione la provenienza geografica</a> del <i>cinguettatore</i>. Nomi, cose, città e altre piccole informazioni (e soprattutto gli <i>hashtag, </i>si immagina) contribuiscono a ricostruire il mosaico di un'identità digitale. Dunque, anche inconsciamente attraverso i social si tende a svelare il proprio <i>io</i>: non necessariamente una cosa negativa, ma come sempre dipende dall'uso e dai fini da conseguire da parte di terzi. Alcune di queste informazioni potrebbero andare nella direzione della ricerca "pura", e in questo senso, pensando alla stessa azienda che ha sviluppato questa formula, potrebbero andare ad <i>alimentare (,) Watson</i>, il supercervellone sviluppato dal colosso di Armonk che può diventare intelligente solo grazie al <a href="http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-02-05/watson-supercomputer-ibm-diventa-psicanlista-nasce-interpretazione-tweet--124953.shtml?uuid=ABlHGdu" target="_blank">maggior numero di dati inseriti.</a> Con chissà quale fine, poi: magari un algoritmo infallibile per scoprire anche il palazzo in cui abitiamo. Forse per quello ci vorrebbe più di un <i>tweet</i>: viene in mente per caso un altro social network in cui si tende a condividere proprio tutto?kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-50867478866181914022014-03-24T15:31:00.000+01:002014-03-24T15:33:11.260+01:00CHIP...ARLA A VUOTO POI SI PENTELa dieta cinese, si sa, gode di una reputazione non proprio unidirezionale, soprattutto nelle culture occidentali: insomma, girano sempre delle <i>strane</i> voci a proposito del cibo mandarino (no, non il frutto), soprattutto per ciò che riguarda la provenienza dei cibi e il non sempre <i>match</i> esatto tra quel che viene proposto e quel che poi finisce effettivamente nel piatto dei clienti. E poi, parliamoci chiaro, c'è sempre quella storiella che gira a proposito di cani e gatti che un giorno gironzolano intorno ai ristoranti cinesi e poi di punto in gia...in bianco spariscono. Così, senza un apparente perché: forse per evadere dal loro stile di vita un po' <i>piatto</i>,<i> </i>forse per trovare un <i>secondo</i> impegno o un'attività di <i>contorno. </i>Il sottoscritto non ha assolutamente un'idea a riguardo sulla faccenda, però immagina quel che possa circolare in merito sui <i>social</i>, in particolare <i>sul vostro social network preferito. </i>D'altronde tutti parlan male dei ristoranti cinesi, però poi son (quasi) tutti lì a frequentarli. E infatti non a caso una notizia (poi rivelatasi fasulla) di un microchip di cane trovato all'interno di una pietanza cinese ha ovviamente fatto il giro delle bacheche, finendo poi sotto gli occhi (a mandorla) del proprietario del ristorante, il quale ha giustamente denunciato l'accaduto. Risultato? Una sacrosanta <a href="http://milano.corriere.it/cronaca/14_marzo_24/facebook-ristorante-cinesecorriere-web-nazionale-03f5e418-b344-11e3-a728-d65859a0bfab.shtml" target="_blank">denuncia per diffamazione</a>.<br />
Ora, qualche riflessione in merito, sempre tra il serio e il faceto (come spesso accade in queste pagine). La prima: data la confusione che regna nel Web e nella conseguente giurisprudenza, leggere di una ''diffamazione aggravata a mezzo Internet'' fa capire che anche (e soprattutto) la Rete è un pericoloso mezzo di disinformazione, se usato in malafede. Dunque, una condanna di questo tipo potrebbe e dovrebbe far drizzare qualche antenna e <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/01/diffama-non-mama.html" target="_blank">quietare qualche tastiera</a>, o almeno si spera. La seconda: chi lo dice che il microchip fosse di un cane? A memoria ricordo una storia di circuiti integrati <a href="http://daily.wired.it/news/tech/2013/03/06/microchip-movimento-cinque-stelle-56285.html" target="_blank">impiantati anche negli umani</a>, per cui è inutile puntare il dito in un piatto che potrebbe non contenere delle zampe. La terza: dato che si parla di <i>chip, </i>il mezzo migliore per la diffusione della (non) notizia sarebbe stato un <i>cinguettio</i> su Twitter, no? La quarta: credo che la persona che ha ricevuto la denuncia, alla fine della storia, non abbia molto...<i>riso</i>.
kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-17437340021066699152014-02-23T21:07:00.001+01:002014-02-23T21:08:56.994+01:00SAY WHAT(SAPP)??Dialogo immaginario dalle parti di <a href="http://www.noncipossocredere.com/wp-content/uploads/2012/05/20120530_porta_calcio.jpg" target="_blank">Palo Alto</a>, California, Usa.<br />
<br />
***<br />
Mark (nome immaginario): A rapporto, ragazzi. Ho da parlarvi.<br />
John (nome immaginario), bisbigliando: Ho sempre paura quando <i>ha da parlarci.</i><br />
Phil (nome immaginario), bisbigliando: Non lo dire a me. Sentiamo che vuole questa volta.<br />
<br />
<br />
(<a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2014/02/say-whatsapp.html" target="_blank">Continua</a>)<br />
<a name='more'></a>_____________<br />
M: Dunque ragazzi, veniamo al sodo. Ve la dico in due parole: è che sono stanco.<br />
P, (tra sé e sé): Veramente sarebbero quattro, le parole...<br />
J: Stanco? Vuol dire che abbandoni tutto? Ci lasci così, senza una guida? Chiudiamo tutto?<br />
P: Ci abbandoni al nostro destino? Guarda che qui nel distretto non sarà facile trovare un altro posto di lavoro...sai, la crisi della new economy...<br />
M: Ma quale crisi e crisi, fatturiamo da far spavento e potrei comprarmi l'America, lo sapete. Il vostro posto è bello saldo, non vi lascerei mai così, a cercar silicio altrove. E' che...son stanco, sono stufo, non so cos'altro fare per quest'azienda, vorrei fare qualcos'altro, allargarla, espandere i confini, non so. Proposte?<br />
J: Allargare? Siamo l'azienda con più contatti al mondo, la prima rete per eccellenza, non saprei...ultimamente ti sei anche preso quel giocattolino per fare le fot...<br />
P: Per <i>condividere</i>, le foto...<br />
J: Per condividere le foto, giusto, giusto. Non saprei: siamo competitivi così, io non...<br />
*Dlinn* (suono-notifica da un cellulare)<br />
M: Cos'è stato?<br />
P: Scusa capo, un WhatsApp.<br />
M: <a href="http://www.urbandictionary.com/define.php?term=what%27s%20up" target="_blank">Mah, dai, tutto bene, grazie</a>.<br />
P: Ehm..no no non intendevo questo..ho dimenticato di spegnere il cellulare, e mi è arrivato un messaggino su WhatsApp.<br />
M: E che è?<br />
P: Cosa, un messaggino? Ci campiamo, con i messaggini.<br />
M: Ma no, quell'altra espressione che ho confuso.<br />
P: WhatsApp, intendi? Ma no, è una chat che si usa su cellulari...<br />
M: Una chat che si usa su cellulari...e vabbè, e usa il nostro messenger, no?<br />
P: Hmm sì, potrei ma...ecco, questa è abbastanza intuitiva e rapida, e poi capita di chattare con persone non iscritte al nostro network.<br />
M: Persone non iscritte al nostro network? Perché, <i>esistono persone non iscritte al nostro network?</i><br />
J: Qualcuna, sì. Capita. E allora spesso si usa WhatsApp. Anche perché questa chat è esclusiva per cellulari, e si associa ai contatti telefonici che si hanno in rubrica. Buona idea, è di successo, non è un nostro competitor diretto, ovvio ma...<br />
M: No, no, fammi capire. Cioè esiste una chat che può fornirti senza sforzo numeri e nomi di telefono?<br />
P: Detta così è un po' riduttiva ma...hmm, sì, diciamo di sì.<br />
M: Lo sapevo che le riunioni con voi funzionano sempre. Trovatemi il fondatore di questo...di questo...<br />
J: Whatsapp.<br />
M: Ti ho già detto tutto bene, grazie.<br />
J & P: ...<br />
________<br />
<br />
J: Ecco capo, ho trovato un numero...un tal <a href="http://www.ilpost.it/2014/02/20/perche-facebook-compra-whatsapp/" target="_blank">Brian</a>.<br />
M: Ottimo, ottimo...lo chiamo subito.<br />
J: Ehm...magari fai una cosa, contattalo via...WhatsApp, no? Fai vedere che sei parte del prodotto.<br />
M: Mi chiedo perché tu sia ancora relegato al ruolo di stagista. Penso dovresti essere il vero capo di questa baracca.<br />
J: Sempre divertente, capo. Allora, lo installi tu il programmino?<br />
M: Credo di potermela cavare..<br />
________<br />
<br />
(Conversazione digitale tra Mark e Brian)<br />
<br />
M: Ehi Brian, <i>what's up?</i><br />
[lol + emoticon]<br />
B: Chi sei?<br />
M: Sono Mark, <i>quello famoso</i>.<br />
B: Quello che mi ha segato in quel colloquio di lavoro qualche tempo fa?<br />
M: Acqua passata, tutti facciamo degli errori e io per primo. Allora, tutto bene?<br />
B: Acqua passata, certo...mah, si lavoricchia, tutto sommato non ci si lamenta.<br />
M: Ho saputo hai fatto grandi cose, ti seguo con grande interesse.<br />
B: Le ho <a href="http://www.ilpost.it/2014/01/07/zuckerberg-spiegel-mail-snapchat/" target="_blank">già lette queste parole</a>...ma grazie, stiamo lavorando sodo e bene.<br />
M: Hmm, non ti vedo entusiasta. Ok, passiamo alle cose concrete: mi piace quella roba che hai creato, vorrei faceste parte della nostra squadra di lavoro.<br />
B: Hmm...... non so. Non mi hai dimostrato fiducia una volta, perché dovresti farlo la seconda?<br />
M: Ti ho detto, tutti sbagliamo.<br />
B: E' anche vero che io e te ormai abbiamo <a href="http://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2014/02/appunto-whatsapp.jpg" target="_blank">filosofie diverse, lo sai</a>?<br />
M: Quando si tratta di dati digitali e utenti non esistono filosofie diverse.<br />
B: Vero. In parte.<br />
M: Lo vedi che siamo sulla stessa lunghezza d'onda? Allora, passiamo al sodo. 19 va bene?<br />
B: Diciannove? Diciannove cosa?<br />
M: Diciannove <i>million</i>.<br />
B: Di-diciannove <i>m</i>...hmm, sai, ultimamente ho ricevuto un'altra offerta di un certo <a href="http://www.hwupgrade.it/news/web/google-e-l-inusuale-offerta-a-whatsapp-poco-prima-dell-acquisizione-di-facebook_51107.html" target="_blank">spessore da un altro del settore</a>.<br />
M: Sei bravo con le rime, io molto meno con i tasti sul cellulare. Ho detto <i>million</i>? Volevo dire <i>billion</i>, <i>billion.</i> Sai, la "b" e la "m" sono così vicine sulla tastiera.<br />
B: [Emoticon]<br />
M: Sì, scusa. Diciannove <i>billion</i> è l'offerta, che dici?<br />
B: Aspetta, ti chiamo un attimo.<br />
<br />
______________<br />
<br />
M: E' fatta, ragazzi, abbiamo WhatsApp.<br />
J: Ci stiamo prendendo il mondo, Mark.<br />
P: Ottima, capo. Ora potrò chattare senza più remore.<br />
M: Tutti quei numeri di telefono in maniera così semplice....è stato un gioco da ragazzi. Il nostro database si sta facendo interessante.<br />
J: Decisamente. E quanto hai offerto ai tizi?<br />
M: Mah, <a href="http://www.webnews.it/2014/02/19/facebook-whatsapp/?ref=post" target="_blank">due spiccioli</a>, un <i>po' </i>più di quanto ho offerto per <i>quel programmino delle foto</i>.<br />
P: Apperò, si son fatti pagare, i ragazzi.<br />
M: Cosa vuoi che sia, sono dettagli. E poi loro sono dei geni: ottengono tutti quei dati e si fanno ANCHE pagare per avere il servizio. In pratica si paga da sola, la cosa. Un po' polletti: non ho dovuto neanche tirare sul prezzo.<br />
J: Sei un grande <i>businessman, </i>poco da dire.<br />
M: Aspettate, eh, mi ha ricontattato Brian, siamo ai dettagli finali.<br />
<br />
______________<br />
(Conversazione digitale tra Bian e Mark)<br />
<br />
B: Ok Mark, ho parlato con il mio socio: è tua, non posso dire di no.<br />
M: Sapevo non l'avresti fatto.<br />
B: Ma ci assicuri una certa indipendenza ancora, vero?<br />
M: Sì sì, son dettagli quelli, poi si pensa, è possibile.<br />
B: Vabbè.<br />
M: Allora, mi mandi il numero di conto, così ti faccio il bonifico?<br />
B: Te lo mando subito.<br />
<br />
Ma te lo mando via email o tramite SMS. Via WhatsApp non mi fido. Sai, non si sa mai chi si nasconde dietro questi servizi digitali...<br />
<br />
****<br />
Qualche altro link sull'acquisizione dell'anno, anche non solo dell'anno:<br />
Altri dati tecnici: <a href="http://www.hwupgrade.it/articoli/web/3927/facebook-e-whatsapp-una-unione-da-16-miliardi-di-dollari_index.html" target="_blank">qui</a><br />
Qualche perché: <a href="http://www.webnews.it/2014/02/20/perche-facebook-ha-comprato-whatsapp/" target="_blank">qui</a><br />
Qualche <i>eh, ma:</i> <a href="http://www.repubblica.it/tecnologia/2014/02/21/news/facebook_whatsapp_fusione_paure-79271799/" target="_blank">qui</a><br />
Qualche <i>sì, però</i>: <a href="http://www.lastampa.it/2014/02/22/tecnologia/facebook-e-whatsapp-per-il-garante-tedesco-la-privacy-a-rischio-uvgwiavLIPn7udG85U70NL/pagina.html" target="_blank">qui</a><br />
Qualche <i>hmm</i>: <a href="http://www.wired.it/internet/social-network/2014/02/21/whatsapp-e-se-zuckerberg-avesse-toppato/" target="_blank">qui</a><br />
<br />
<br />kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-47215743152915963572014-02-02T16:13:00.000+01:002014-02-02T16:13:20.440+01:00NON C'E' PIU' RELIGIONE......Beh, c'è pur sempre il supplente. Scherzi (pessimi) a parte, il detto non è propriamente vero, soprattutto se si parla di interazioni digitali e di social network in particolare. Le tematiche e le discussioni di carattere religioso sono tra gli argomenti <a href="http://www.rivistastudio.com/in-breve/facebook-religione/" target="_blank">più odiati e irritanti</a> a detta degli utenti <i>del vostro social network preferito</i>, o almeno a detta <a href="http://blog.prmoment.com/what-are-the-most-irritating-social-media-topics/" target="_blank">degli utenti inglesi</a>. D'altronde è un dato che ci può stare, visto che l'intensità (o l'assenza) della fede è quanto forse più ci caratterizza e ci differenzia come esseri umani. Solo che in questo caso la fede ultraterrena batte altri tipi di convinzioni personali, cioè quella molto terrena rappresentata dalla politica e quella "di campo" rappresentata dallo sport, e in particolare il calcio in Italia (ma anche nel Regno Unito, patria del <i>football</i>). Irritante o no, forse è il modo in cui ci si espone sulle bacheche a poter fare la differenza: gli estremismi quasi mai piacciono, oppure son graditi solo per accendere discussioni quasi mai costruttive. E, in questo caso, non c'è argomento che tenga, <i>credeteci.</i>kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-15606506552378269972014-02-01T18:39:00.000+01:002014-02-01T18:39:15.165+01:00QUEREL-IKESiamo ormai in un mondo in cui bisogna attentamente dosare quel che si fa e si dice. La cosiddetta società "civile" non ammette che si proferiscano determinate <a href="http://www.studiolegalevinelli.it/article/articleview/127/1/4/" target="_blank">offese al prossimo</a>, anche se poi <a href="http://www.anfp.it/default.aspx?pagina=dettaglionewsgiuridiche_2&IdLingua=1&Nascosto=IdNews&IdNews=498" target="_blank">in certi casi</a> l'interpretazione della legge <a href="http://www.lastampa.it/2012/08/01/italia/i-tuoi-diritti/responsabilita-e-sicurezza/e-reato-dire-non-hai-le-palle-1Tu2l9qKE65GexpQNxmZIO/pagina.html" target="_blank">si fa più oscura</a> in termini <a href="http://www.latuavoce.it/news/det.asp?id=269" target="_blank">di interpretazione</a>. Ma si sa, <i>ingiuria volant, </i>mentre ciò che si scrive rischia di rimanere impresso in maniera molto più incisiva. Con l'inchiostro digitale (leggi: l'avvento della Rete) il pericolo di incappare in motivi di <i>querel(l)e </i>si è fatto esponenzialmente più alto, "merito" anche dei social network su cui è molto semplice e facile esprimere opinioni scritte. E l'importanza di tali canali è talmente incidente al punto che <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/01/diffama-non-mama.html" target="_blank">il reato di diffamazione attraverso Facebook</a> e soci è equiparabile a quelle "ufficiali" a mezzo stampa.<br />
E poi, come al solito, si arriva anche oltre. Può ormai non essere neanche più sufficiente scrivere per incappare in qualche reato: ormai può bastare anche un <i>semplice</i> like. E' successo di recente a Parma, o meglio, su una bacheca virtuale nei <a href="http://www.ilgazzettino.it/ITALIA/PRIMOPIANO/mette_like_su_facebook_rischia_condanna_parma/notizie/486189.shtml" target="_blank">pressi della città Ducale</a>: una discussione come tante altre su Facebook tra due donne, e poi sotto uno degli interventi (evidentemente offensivi nei confronti dell'altra persona) un <i>mi piace</i> di un signore, terzo incomodo nella discussione. Ebbene, questa dichiarazione di apprezzamento al commento negativo rischia di portare in tribunale l'uomo, accusato di diffamazione, <a href="http://www.huffingtonpost.it/2014/01/30/like-facebook-condanna-diffamazione_n_4693677.html" target="_blank">peraltro aggravata</a>. Magari le due donne si saranno dette qualsiasi cosa, ma tutto evidentemente è accessorio rispetto al gradimento della voce fuori dalla lite. Sono nuove interpretazioni della <i>legge</i>, che fan restare basiti chi <i>legge</i> questi episodi.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-15972577173681352852014-01-08T00:21:00.001+01:002014-01-08T00:32:45.937+01:00ATTACCHI INDIFENDIBILIGiova sempre ripeterlo, perché in certe occasioni non fa mai male: ci sono delle regole - spesso non scritte - che fanno la differenza tra il buon uso di Internet e un <i>certo </i>uso di Internet. La capacità di dare a tutti, ma proprio a tutti uno spazio su cui scrivere pensieri, micro-battute, commenti e opinioni <i>non</i> è nata con i social network, Facebook in testa. No, il <i>vostro social network preferito</i> e altre piattaforme come Twitter o Youtube hanno solo estremizzato - o se volete ampliato, democratizzato - questa possibilità. La Rete si evolve in fretta e bastano pochi anni, a volte anche meno per cambiare le regole dell'interazione: il Web partecipativo è "invenzione" da non attribuirsi a Facebook e soci, poiché gruppi di discussione, forum e i primi, rivoluzionari "commenti dei lettori" sui siti di informazione hanno rappresentato una prima, essenziale rappresentazione del concetto di <i>network </i>e quanto mai portatrice di valori contenutistici. Con l'avvento dei <i>social</i>, invece, si è assistita ad una vera e propria esplosione dell'interazione: chi ha avuto da dire ha continuato a farlo, chi non aveva nulla da dire ha detto comunque. E apriti cielo. La (quasi) totale assenza di controllo e filtro sui contenuti generati fa sì che FB o Twitter siano in alcuni casi delle vere e proprie piazze dell'insulto, <a href="http://www.repubblica.it/politica/2014/01/07/news/quegli_insulti_a_bersani_il_problema_non_internet-75296104/?ref=HREC1-1" target="_blank">delle cloache dell'offesa</a>: troppo facile dire <a href="http://www.ufficiostampa.rai.it/pdf/2013/2013-08-14/2013081425305134.pdf" target="_blank">certe cose "protetti" da uno schermo</a>, sapendo che il più delle volte la si può far franca. E capita poi che persino siti autorevoli blocchino la possibilità di condivisione di conoscenza <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/10/ha-cacciato-la-scienza.html" target="_blank">per via della "solita" minoranza cattiva</a> che, come spesso accade, rovina tutto. Ci vorrebbe moderazione, nel senso che forum e più in generale le <i>community</i> di utenti sono tutte "controllate" per garantire una certa qualità dell'informazione, anche nei contenuti generati dagli utenti: ci vorrebbe una <i><a href="https://support.google.com/blogger/answer/42537?hl=it" target="_blank">moderazione</a>, </i>appunto<i> </i>. Si chiama rispetto delle regole (o delle <i>policy</i>, fate voi), non censura: vuoi scrivere sul mio spazio? Sei il benvenuto, ma queste son le regole. Altrimenti ti apri uno spazio tutto tuo. O altrimenti, vai a dire la tua in quel gran calderone chiamato Facebook. Lì magari puoi sentirti libero e augurare il male peggiore al tuo peggior nemico, o al tuo amico nel frattempo diventato nemico. Chissà se poi certi comportamenti sono replicati dalle stesse persone nella vita vera: è questione di educazione alla Rete, ma come spesso succede, ancor prima di <a href="http://www.ilpost.it/2014/01/07/bartezzaghi-commenti-bersani-internet/" target="_blank">pura e semplice educazione</a>.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-42596430830263786922014-01-06T18:48:00.001+01:002014-01-06T18:48:19.302+01:00PUBBLICAMENTE PRIVATOAnno nuovo e vita vecchia, almeno per ciò che riguarda il sempre intramontabile rapporto che sussiste tra i social network e l'uso e sfruttamento dei dati personali degli utenti. A finire sotto la lente di ingrandimento stavolta c'è la funzionalità forse più privata che pare sia stata <i>privata</i> della sua "segretezza": si tratta dei messaggi diretti, i messaggi privati insomma, i quali sembrano siano letti non solo da un destinatario. Due utenti Facebook <a href="http://it.ibtimes.com/articles/60855/20140103/facebook-privacy-messaggi-privati-causa-risarcimento-sicurezza.htm" target="_blank">hanno intentato una <i>class action</i></a> contro il <i>vostro social network preferito </i>reo, a loro detta, di <a href="http://recode.net/2014/01/02/facebook-sued-over-alleged-messaging-privacy-invasions/" target="_blank">monitorare il contenuto dei messaggi non pubblici</a> per i <i>soliti </i>fini commerciali. Insomma, se tra <i>amici</i> ci si scambiano commenti negativi sulla squadra di calcio che più si odia si rischia di vedere tra gli annunci correlati qualche pubblicità relativa proprio alla compagine non amata - d'altronde si spera che i sistemi informatici non siano così intelligenti da capire la prosodia della parola chiave - o magari nel comunicare qualche "notizia bomba" si rischia di finire per essere tacciati di chissà quale attività sovversiva. A questo punto bisognerebbe capire dove finisce il concetto di "privato" su piattaforme digitali che di fatto, quale che sia il tipo di scambio o condivisione di dati, si impossessano della mole di <i>byte</i> scambiati sui propri server. E' vero, si tratta di informazioni teoricamente chiuse e che dovrebbero restare confidenziali tra un solo mittente e un solo destinatario, ma questa sicurezza non ce la può fornire nessuno, e dunque bisogna fidarsi di questi giganti del Web. I dati digitali, per la propria natura, sono un inchiostro praticamente indelebile, a maggior ragione se trasmessi attraverso sistemi di comunicazione a distanza: considerando le ultime vicende relative al monitoraggio dei dati - ufficialmente per motivi di sicurezza - da parte di organizzazioni governative (non ultima quella che punta il dito contro <a href="http://www.wired.it/attualita/tech/2014/01/02/datagate-ruolo-apple-iphone-violati-da-nsa/" target="_blank">noti smartphone facilissimamente monitorabili</a> in tutte le loro attività - beh, e dove sarebbe la novità?) il confine tra comunicazione privata condivisa con attori sempre più invisibili quanto presenti è sempre più sottile. Non per questo, meno preoccupante.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-21784871969665843062013-12-29T18:33:00.000+01:002013-12-29T18:38:04.879+01:00FOTO-(NON)RICORDOUn'immagine è come un diamante, e cioè per (quasi) sempre, e tra riproduzioni e rappresentazioni le arti figurative sono senz'altro tra le attività che meglio descrivono le società moderne e non solo. Una svolta è stata senz'altro rappresentata dall'arte della fotografia, ossia la rappresentazione della verità che ci circonda in modo di fatto automatico, vale a dire attraverso uno strumento in grado di imprimere realtà, situazioni e anche emozioni correlate. In tempi molto recenti la fotografia è diventata una realtà alla portata di tutti, poiché si è sdoganato il mezzo attraverso cui effettuare tale attività: la lente ottica che cattura le immagini si è fatta sempre più sofisticata eppur sempre più ridotta, e tanto le piccole (e grandi) fotocamere quanto le lenti incorporate ai moderni cellulari ci permettono davvero di fermare nel tempo una qualsivoglia istantanea. Certo, probabilmente la qualità media si è abbassata, ma si tratta di fatto di un prezzo da pagare per permettere una democratizzazione globale dell'immagine. Ciò che forse è cambiato, in virtù di una "economia" della fotografia mutevolmente cambiata, è il motivo per cui si fotografa: non per arte, non per sé, ma per il puro gusto di condividere <i>a priori</i>. E qui, forse, i <i>social media</i> hanno la loro parte: offrire la possibilità di condividere immagini a chiunque - e <i>per</i> chiunque, forse è qui la differenza - ha fatto sì che anche la nostra percezione della qualità fotografica e del suo significato intrinseco subisse delle profonde mutazioni. Una ricerca accademica <a href="http://pss.sagepub.com/content/early/2013/12/04/0956797613504438.abstract" target="_blank">di un'università statunitense</a> ha cercato di analizzare il rapporto che sussiste tra immagine e memoria, intesa come capacità di ricordo della mente umana. Ebbene, i <a href="http://www.wired.it/internet/social-network/2013/12/27/fotomania-social-network-troppi-scatti-fanno-male-alla-memoria/" target="_blank">risultati affermano che</a> maggiore il numero di foto scattate e minore il ricordo impresso nella nostra mente: insomma, è più facile che un'immagine rimanga più impressa in una scheda di memoria, che nella nostra, di memoria. A meno che non ci si concentri sui dettagli, in pratica, fotografare immagini rimane quasi un'attività fine a se stessa, quasi un atto automatico su cui ci si concentra molto, forse troppo: ne consegue che ci si dimentica prima dell'esperienza reale vissuta. Quali i motivi che portano a questi risultati? E' possibile che le macchine fotografiche - o i cellulari, beninteso - rappresentino un vero e proprio "filtro" tra noi e l'esperienza che stiamo vivendo, il che porta a questo <i>scioglimento</i> del ricordo. Forse ci si concentra troppo tra messa a fuoco, inquadratura e scatto: o forse è proprio questo sdoganamento assoluto della fotografia a causare questa situazione. O ancora, forse è lo sdoganamento legato alla condivisione a tutti i costi delle immagini ad aver causato questa situazione. Un'immagine è (quasi) per sempre ed è sempre bella condividerla: è forse il doverlo fare <i>a tutti i costi</i> per far finire queste foto su qualche <i>stream</i> fotografico su Facebook o Instagram a liquefare il ricordo legato all'immagine. E' <a href="http://etimo.it/?term=ricordare&find=Cerca" target="_blank">il cuore il luogo</a> della memoria, forse tocca tenerlo <i>a mente</i>.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-71106125988342569892013-12-28T15:03:00.001+01:002013-12-28T15:05:45.411+01:00LA CAPRA? CAMPA!Quale miglior regalo di Natale se non una involontaria iscrizione a Facebook per conto terzi? E' facile, veloce, è gratis e lo sarà sempre (cit.) e in più <a href="http://www.imagotime.com/?p=519" target="_blank">non è riciclabile</a>, come impone la tradizione natalizia. La notizia rimbalzata da <i>HuffPost</i> ci presenta una nuova iscritta al <i>vostro social network preferito</i>: <a href="http://www.huffingtonpost.it/2013/12/27/nicolina-capra-facebook_n_4506967.html?utm_hp_ref=italy" target="_blank">la signora Capra, centodieci candeline spente</a> e già un buon pacchetto di amici nel suo network. Vien sempre da chiedersi quale sia l'utilizzo che farà l'arzilla signora con Facebook, se <i>chattare </i>con i nipoti o se cercare magari qualche compagno di scuola o qualche vecchia fiamma (forse più cenere che altro... ok, pessima, scusate). Ad ogni modo, due restano gli interrogativi da porsi: il primo risiede sempre nella consapevolezza della signora a proposito dell'uso dei contenuti che viene fatto su Facebook (è stata iscritta da altri: avrà letto - e accettato - i termini e condizioni di utilizzo del sito?); la seconda è che ha (hanno) dovuto mentire sull'età, poiché il suo anno di nascita non era contemplato tra le opzioni disponibili. Insomma, dopo il caso <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/02/al-di-la-della-terza-eta.html" target="_blank">dell'anziana nonnina statunitense</a> che ha espressamente chiesto la sua classe di nascita al sig. Facebook, ecco un altro <i>annoso </i>caso di identità taroccata. Sull'anagrafe non si scherza, eh: è una questione di seri-<i>età</i>.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-1393262837131342992013-12-26T17:43:00.000+01:002013-12-26T17:43:40.253+01:00"ERRANDO" PER LA RETEFine anno, tempo di bilanci. Come ogni fine che si rispetti, ecco giungere puntuali le classifiche riguardanti qualsiasi campo dello scibile umano. Inutile rimarcare che la <a href="http://www.navigaweb.net/2013/12/le-parole-piu-cercate-su-internet-del.html" target="_blank">parola più cercata</a> sul principale motore di ricerca sia stata - ancora una volta - Facebook: d'altronde quale miglior mezzo per accedere <i>al vostro social network preferito</i> se non quello di cercarlo attraverso un motore di ricerca anziché metterlo tra i preferiti e/o simili? Questo dato fa capire quanto si utilizzi questo strumento per generare contenuti: certo, esistono altre piattaforme molto popolari come Twitter, ma insomma, per scovare qualche autentica perla basterebbe anche solo farsi un giro su qualche bacheca. È il "rischio" di concedere proprio a tutti la possibilità di scrivere: ecco perché, per farsi due risate e salutare degnamente l'anno che sta per andare in soffitta, l'<i>Huffington Post </i>ha stilato un <a href="http://www.huffingtonpost.it/2013/12/24/2013-le-gaffes-peggiori-sui-facebook-e-twitter_n_4497903.html?utm_hp_ref=mostpopular#slide=3267890" target="_blank">elenco delle<i> gaffe</i></a><a href="http://www.huffingtonpost.it/2013/12/24/2013-le-gaffes-peggiori-sui-facebook-e-twitter_n_4497903.html?utm_hp_ref=mostpopular#slide=3267890" target="_blank"> più esilaranti</a> o inappropriate partorite da vip, politici e affini. Menzione speciale e premio fuori concorso per <a href="http://www.blitzquotidiano.it/foto-notizie/flavia-vento-paris-hilton-false-gaffe-vip-morte-nelson-mandela-1737706/" target="_blank">due </a><i><a href="http://www.blitzquotidiano.it/foto-notizie/flavia-vento-paris-hilton-false-gaffe-vip-morte-nelson-mandela-1737706/" target="_blank">cinguettii</a> </i>(pare uno sia <i>fake, </i>ma lasciatemi pensare il contrario, vi prego)<i> </i>legati ad un recente evento che ha suscitato profonda emozione (e ilarità, leggendoli) nell'opinione pubblica. Già, è il rischio di concedere a tutti, ma proprio a tutti, uno spazio digitale su cui scrivere il proprio pensiero.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-36954578796887068462013-12-04T19:39:00.000+01:002013-12-04T19:39:00.065+01:00QUANTO ODIO (SU) FACEBOOKA metà tra un passatempo/gioco - come spesso accade dalle parti del <i>vostro social network preferito</i> - e la curiosità di ca(r)pire e sapere si colloca l'ennesima <i>app</i> che si interfaccia con Facebook (traendo chissà quali dati, ma <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2011/01/per-lappunto.html" target="_blank">questa è un'altra storia</a>). Curiosi di sapere chi non vi sopporta proprio e ha accettato la vostra <i>amicizia</i> solo per non fare una brutta figura o perché in-fondo-che-male-c'è? Bene, a tutto c'è un'<i>app</i>, e questo caso non rappresenta la classica eccezione alla regola. L'applicazione si chiama <i><a href="http://www.corriere.it/tecnologia/social/13_dicembre_04/chi-ci-odia-facebook-l-app-scopre-falsi-amici-31684180-5cd6-11e3-a319-5493e7b80f59.shtml" target="_blank">Hate With Friends</a> </i>e di fatto vi permette la possibilità di scegliere, all'interno della vostra lista <i>amici</i>, quelli che vorreste eliminare perché non sopportate, perché non sapete in realtà chi siano o perché...per vari motivi, insomma. La lista "nera" rimane lì e l'applicazione promette di non rivelare la vostra <i>odiosa</i> intenzione: nel momento in cui l'odiato amico compie la stessa azione selezionando il vostro profilo, l'inimicizia è bella che pronta per essere consumata e una notifica ai <i><a href="http://www.hatewithfriends.com/" target="_blank">fratelli coltelli</a> </i>stabilisce l'odio corrisposto e (ap)palesato. Magari vi torna utile: prendetevi un app...<a href="http://www.ilpost.it/2013/12/04/punto/" target="_blank">punto</a>.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-25276029588983139662013-11-06T18:16:00.001+01:002013-11-06T18:16:11.255+01:00QUESTA PRIVACY NSA DA FARE<i>...vogliono il numero, io non lo do / tanto lo so / che siamo almeno tre al telefono - il triangolo no</i>...<br />
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Dopo <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/06/prism-che-sia-troppo-tardi.html" target="_blank">qualche mese</a> torna alla carica il caso delle <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/06/ip-ip-urra.html" target="_blank">intercettazioni digitali</a> che ha sconvolto l'opinione pubblica in virtù di nuove rivelazioni e succulenti dettagli. Insomma, pare che anche i <a href="http://www.youtube.com/watch?v=t-cSM7Y-OnE" target="_blank">Capi di Stato</a> non siano esenti dal controllo preventivo delle proprie comunicazioni, e laddove non si riesca indirettamente a captare i dialoghi c'è sempre un <a href="http://www.agi.it/estero/notizie/201310291717-est-rt10307-nsagate_microspie_russe_nelle_usb_e_letta_chiede_chiarezza" target="_blank">buon vecchio metodo</a> che sembra più uscito da un film di fantapolitica che da un incontro ufficiale tra i potenti del mondo. Poi arrivano le precisazioni: insomma, non pensiate di essere ascoltati, <a href="http://www.tomshw.it/cont/news/monitorati-o-spiati-italiani-pur-sempre-nudi/50370/1.html" target="_blank">siamo <i>solo </i>monitorati</a>. Ah beh, consolazione. Occorre però riflettere a proposito di un paio di questioni che interessano tutti noi: la prima riguarda il livello di dipendenza (in senso prima di tutto "neutro") da tutti gli strumenti digitali, siano questi cellulari, computer connessi o offline, macchine. Occorre pensare che la Rivoluzione Digitale ha sì dato enormi benefici nel nostro quotidiano, ma dall'altra ha anche creato una "discarica" di dati facilmente (ri)reperibili, riutilizzabili, riorganizzabili a proprio uso e consumo. La seconda questione riguarda invece tutti quelli che si scandalizzano a proposito di questo presunto "controllo" continuo: in una società sempre meno attenta alla <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/search/label/privacy" target="_blank">privacy</a> e sempre più esposta alla condivisione pubblica di informazioni per mezzo di servizi offerti gratuitamente, quanto ci si può sentire "al sicuro"? Forse val la pena prendersi un po' di tempo e leggersi questa (ok, un po' lunghetta) <a href="http://www.vice.com/it/read/quit-intervista-chiusi-nsa" target="_blank">intervista al classico <i>esperto-del-settore</i></a> per fare non dico chiarezza, ma per capire con quanta facilità circolino tutti i tipi di dati digitali. I(ns)omm(a), quasi quasi le informazioni son servite su un piatto d'argento: da <i>quelle parti </i>avran pensato 'perché non approfittarne'?kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-81672341889706923362013-11-02T21:01:00.001+01:002013-11-02T21:01:39.000+01:00DIVERGENZE OBBLIGATE(S)<i>...non è l'amore a far girare il mondo, ma il cash fondo, macchiato di rosso profondo...</i><br />
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La dichiarazione suona un po' come un padre che bacchetta il figlio dimenticando che in gioventù è stato anch'egli giovane, un po' ribelle e con la propria visione del mondo, ma tant'è. Bill Gates, padre-padrone del mondo dell'informatica targata inizio anni'80-fine anni '80-un bel po' di anni '90 e indissolubilmente legato al nome Microsoft, <a href="http://www.repubblica.it/tecnologia/2013/11/02/news/bill_gates_vs_mark_zuckerberg_c_-70067653/?ref=HREC1-13" target="_blank">ha attaccato senza troppi termini </a><i><a href="http://www.repubblica.it/tecnologia/2013/11/02/news/bill_gates_vs_mark_zuckerberg_c_-70067653/?ref=HREC1-13" target="_blank">Mr Facebook</a> </i>(padre-padrone del mondo dei servizi Web del Terzo Millennio) a proposito del suo progetto <i><a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/08/che-diritto.html" target="_blank">Internet.org</a> </i>che mira a diffondere Internet a livello veramente planetario. Il punto è che Gates nel frattempo <a href="http://www.ft.com/cms/s/2/dacd1f84-41bf-11e3-b064-00144feabdc0.html#axzz2jWDkY6nR" target="_blank">è diventato un filantropo</a>, un uomo che ha staccato la spina dalle sue questioni digitali e ha creato una fondazione che punta a diffondere a livello planetario altre questioni, come ad esempio condizioni di salute migliori nei paesi in via di sviluppo. Insomma, a detta di Bill, la <i>malaria </i>ha priorità su una connessione <i>malsana </i>o sui <i>malati </i>di social network. Per chi ha avuto modo di conoscere il personaggio in questione e per ciò che ha rappresentato la Rivoluzione Digitale per Gates, sembra dichiarazione un po' forzata, anche un po' da <i>troll </i>del Web. Ma oh, detto sinceramente: come si fa a dargli torto?kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-69889547972168622102013-11-01T20:23:00.000+01:002013-11-01T20:23:04.452+01:00IDENTI...CHì?Immaginate Facebook come una grande (grandissima) arena, con due ingressi. Da una parte si entra, dall'altra si esce: ecco, teoricamente ci sarebbe la fila per entrare, ma è pur vero che dall'altra parte della barricata il tornello di uscita ogni tanto si muove. Insomma, c'è chi per un motivo o per un altro abbandona <i>il vostro social network preferito: </i>strano ma vero. Eppure, stando all'ultimo resoconto dei risultati economici e statistici di Facebook vien fuori che <a href="http://www.repubblica.it/tecnologia/2013/10/31/news/facebook_ammette_calano_gli_utenti_adolescenti_e_zuckerberg_punta_su_altri_business_forse_blackberry-69937108/" target="_blank">sempre più adolescenti e ragazzi abbandonano questo social network</a> in favore probabilmente di Twitter o più semplicemente di una vita meno <i>soci(digit)al, </i>anche se tutto questo non frena FB dall'ottenere una montagna di utili derivanti dallo sfruttamento dei <i>suoi</i> dati a vari livelli. C'è però un dato che fa riflettere: secondo uno <a href="http://online.liebertpub.com/doi/full/10.1089/cyber.2012.0323" target="_blank">studio effettuato su una rivista scientifica</a>, il profilo dell'utente medio che abbandona Facebook è maschio e ha circa trent'anni (<a href="http://daily.wired.it/news/internet/2013/09/18/lascia-facebook-privacy-dati-riservatezza-564321.html" target="_blank">31, a dire il vero</a>), e lo fa perché ha a cuore la propria privacy. Come interpretare questo dato? Entrare negli <i>enta</i> significa di punto in bianco metter su giudizio? Possibile, ma è anche possibile ricollegare questo dato alla storia della Rete. Chi ha trent'anni o giù di lì è probabilmente cresciuto con un <i>altro </i>concetto di Internet, fatto di connessioni lente e <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/File:ICQ.svg" target="_blank">conversazioni non identitarie</a>, dove non bisognava per forza doversi connettere con il <i>proprio </i>mondo ma connettersi ad un mondo potenzialmente più ampio, meno legato da concetti di network a tutti i costi, forse un tantinello più coscienzioso. Insomma, una Rete fatta di <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2011/09/il-biscottino-della-fortuna.html" target="_blank">"pericolosi" cibi</a> e di un po' di sana diffidenza nei confronti di ciò che c'era dall'altra parte dello schermo. Magari non è così, però dopo aver provato l'esperienza della vicinanza digitale a tutti i costi, alcuni di loro son voluti tornare non dico agli albori, ma ad una condizione che hanno già sperimentato e che magari così male non è. Ecco, magari non è così: toccherebbe chiedere a chi gli <i>enta</i> li ha davvero sulle spalle...kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2303057216405484031.post-53239913869162780142013-10-28T00:29:00.000+01:002013-10-29T15:43:23.684+01:00UNA QUESTIONE DI STATUSEsistono tanti tipi di utenti di Facebook, forse tanti quanti sono gli <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2012/10/utanti-utonti-utenti.html" target="_blank">utenti stessi</a>: perché in fondo ognuno si crea la propria esperienza di interazione sul <i>vostro social network preferito</i>. In linea di massima, tuttavia, ci sono due grandi categorie: gli utenti attivi e quelli passivi. La differenza sta nel grado di contenuti prodotti, indipendentemente dal fatto che questi siano testi, foto, <i>like</i>: e per ogni persona che crea un contenuto, molti altri utenti stanno lì a guardare e/o a leggere, <a href="http://www.francescocosta.net/2013/10/24/il-nuovo-facebook-non-funziona-secondo-me/" target="_blank">e basta</a>. Ovviamente è dai primi che Facebook trae il massimo in termini di profitto, poiché non solo gli utenti attivi fanno "girare l'economia" (se scrivi capirò meglio chi <i>sei</i>, e quindi ti piazzerò delle belle pubblicità miratissime), ma perché alimentano sempre più la base di dati presente su FB. Anche gli utenti più attenti, quelli magari che pensano bene prima di scrivere qualcosa, possono cadere nella trappola: lo <i>status update</i> (<a href="http://www.ilpost.it/2010/10/28/larte-della-foto-sul-profilo-di-facebook/" target="_blank">ma anche una <i>semplice</i> foto del profilo</a>) può dire molto di più rispetto a quanto pensiate. Già, perché davvero ogni singola parola può rappresentare un piccolo tassello che si aggiunge al puzzle della <i>vostra </i>identità digitale: e parola oggi parola domani, i cervelloni digitali ricostruiscono un manichino dalle <a href="http://daily.wired.it/news/internet/2013/10/07/status-facebook-parole-dicono-aggiornamento-stato-565732.html" target="_blank">fattezze molto, molto accurate</a>. Certo, nei quartieri generali di Facebook non ci si mette lì a scandagliare <a href="http://www.ibridamenti.com/prima-pagina/2009/07/di-status-in-status-il-terremoto-versione-facebook-controinformazione1/#sthash.8szfMUDC.dpbs" target="_blank">manualmente tutti i <i>pensierini</i></a> del giorno: ci pensano sofisticati algoritmi, e man mano che si va avanti (con la tecnologia certo, ma anche con la base di dati rappresentata dal <i>corpus</i> di informazioni presenti sul social network) la sottile linea che separa l'intenzione umana <a href="http://www.repubblica.it/tecnologia/2013/10/29/news/facebook_studio_comportamento-69350390/?ref=HRLV-8" target="_blank">dall'interpretazione</a> meccanica <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2013/09/piccolo-mondo-semantico.html" target="_blank">si fa sempre più sottile</a>. Insomma, Facebook punta a diventare un vero e proprio <a href="http://quantoodiofacebook.blogspot.it/2009/07/cani-porci-robot.html" target="_blank">utente aggiunto</a>, in grado di <a href="http://daily.wired.it/news/internet/2013/10/25/facebook-intelligenza-artificiale-526758.html" target="_blank">leggere, interpretare, agire e reagire</a>. A senso, anche meglio di parecchi utenti che girano su FB.kikkuzzohttp://www.blogger.com/profile/09028100478242416398noreply@blogger.com2