giovedì 31 gennaio 2013

FEDINA DIGITALE

Su Cadoinpiedi.it compare un interessante e dettagliato elenco delle conseguenze penali che possono scaturire da un uso poco attento e ragionato di Facebook. Il menu è ricco e variegato: si passa dal peculato all'uso illecito dei dati, dalla diffamazione allo spam e chi più ne ha più ne metta. Insomma, cose note ai più ma ormai notizie sempre più all'ordine del giorno.
D'accordo, il titolo dell'articolo è volutamente incentrato sul vostro social network preferito (un'ottima esca per ottenere un numero superiore di visualizzazioni), ma occorre ricordare che in linea di massima tutte queste attività sono riconducibili ad un uso poco ortodosso di Internet e dei media digitali. Che succeda su Facebook, però, è solo statisticamente più facile.

mercoledì 30 gennaio 2013

NAPOLIKE

Bus fermi oggi a Napoli. Se siete partenopei (ma in parte anche no), lo sapevate? Beh, se la risposta è sì probabilmente siete fan di qualche pagina ufficiale del Comune o dell'azienda di trasporti, perché pare che di comunicazioni ufficiali riguardanti le modalità della situazione d'emergenza creatasi negli ultimi tempi nella città del Vesuvio ne circolino ben poche. Anzi, in realtà da qualche parte su qualche social network ci dovrebbe essere qualche avviso riguardante "probabili disagi": solo in caso di assidua frequentazione di bacheche digitali, dunque, si può essere al corrente delle situazioni locali e non. Chiaramente a livello istituzionale le reazioni non si sono fatte attendere: il Garante ha sostanzialmente affermato che no, non basta un post su Facebook per assicurare la garanzia d'informazione. Anche perché, aggiungo, Facebook potrebbe non essere esattamente il territorio preferito da una buona fetta dei die-hard del trasporto pubblico. Capisco l'epoca di spending review, ma con tanti sprechi che ci sono in giro perché lesinare sull'informazione utile?

lunedì 28 gennaio 2013

UN COLPO DI SPUGNA

Volete far pulizia nella vostra bacheca (senza dover ricorrere alla cancellazione del profilo, ché altrimenti vi sentireste fuori dal mondo) con discreta facilità? Temete che il vostro nuovo capo possa trovare qualcosa di sconveniente, magari grazie al (sofisticatissimo) nuovo motore di ricerca interno di Facebook? Inutile affannarvi a scorrere la linea del tempo a ritroso: c'è chi può fare per voi un lavoretto facile e pulito. Basta un'autorizzazione, un paio di parole-chiave e il gioco e fatto: per "lavare" la propria bacheca da informazioni sconvenienti c'è (anche) un'applicazione il cui nome è tutto un programma. Facewash: e il profilo torna brillante. Sono bastati un paio di giorni per sviluppare quest'applicazione, ma d'altronde il funzionamento è piuttosto semplice: basta indicare delle parole (che so, festa, alcool o il nome di qualsiasi squadra di calcio - è probabile che vi siano parecchi insulti nello stesso contesto linguistico) e il sistema andrà alla ricerca di tutte le frasi e tag con quelle parole e via, in un attimo sono informazioni appartenenti al passato digitale. Con questa opportunità diventa facile cambiare atteggiamento: via ai "freni", tanto con una bella lavata si riparte da zero. Troppo semplice, così: allo stesso modo è altrettanto semplice per un'applicazione esterna fare incetta di dati "pericolosi". Tutto troppo semplice, quando gli utenti pensano che basti un colpo di spugna.

domenica 27 gennaio 2013

IL LATO UMANO DELLA RETE

In un mondo sempre più dominato dalla logica digitale è facile perdere il contatto con la realtà, intesa come autenticità del vero protagonista alla base di questa rivoluzione: l'uomo. Il rapporto tra umanità e macchina si fa sempre più stretto, quasi senza soluzione di continuità, tanto da considerare il non-umano un'appendice profonda del nostro ego. Le macchine calcolano per noi, organizzano in un baleno i dati per noi: finiranno per soppiantarci? Le potenze del Web, longa manus di chissà quali altre realtà economiche, sono padroni della mole di informazioni che circolano in Rete, e le usano - si sa - per svariati fini, coadiuvati da cervelloni elettronici in grado di fornire significato a questi dati interconnettendo gusti, preferenze, azioni. Il futuro è delle macchine? Non proprio. Fa quasi sorridere vedere come, nel pieno dell'Era tecnologica, l'uomo abbia ancora potere decisionale nella scelta di valore dei contenuti. Su Repubblica.it si parla del lavoro di (molte) persone il cui compito è quello di verificare che i trend di Twitter facciano riferimento a notizie effettive: il fine è quello di "restare sul pezzo" (e trarne beneficio economico, ça va sans dire), ma da soli gli algoritmi non bastano. Ecco dunque spiegato "l'esercito" di persone che notte e dì controllano e cercano di dare un senso al flusso di informazione-con-il-cancelletto.
Quello di Twitter, tuttavia, non è un caso isolato. La notizia ha riportato alla mente la politica molto simile condotta da Google per l'implementazione del proprio algoritmo di successo, quel Pagerank che determina la produzione di risultati rilevanti in base alla query scelta. Anche qui non è solo una questione di freddi numeri, ma di persone in carne ed ossa che affinano i risultati, rendendoli qualitativamente fruibili ai navigatori.
E Facebook? Beh, anche qui, di fatto, la situazione non è molto dissimile: pensate a tutti gli esempi di pagine rimosse più o meno automaticamente dal vostro social network preferito perché non in linea con la politica di utilizzo del sito. Difficile pensare ad un esercito di persone che scandagliano profili e bacheche in modo manuale, ma il fatto stesso che ci sia una policy restrittiva automaticamente fa pensare alla volontà di soggetti fisici in grado di determinare cosa sia accettabile e cosa non lo sia.
Insomma, in fin dei conti è ancora l'uomo a lavorare per l'uomo. Sperando che il "terzo incomodo" non ribalti definitivamente la situazione.

sabato 26 gennaio 2013

LA RAGIONE OSCURA (DI CONDIVISIONE)

Riprendo un articolo pubblicato sulla versione cartacea di Wired di dicembre (apparso successivamente sul portale online) per riflettere sulle parole di un giornalista della prestigiosa rivista The Atlantic a proposito della "nuova" visione della Rete che vede i social network assoluti protagonisti della condivisione e dell'interconnessione tra utenti. Da utente navigato della Rete, A. Madrigal spiega che non è certo Facebook ad aver "inventato" il concetto di sharing di risorse tra persone: vero, il vostro social network preferito ha sicuramente incentivato questa pratica e allargato la base di utenti e se vogliamo la stabilità delle connessioni grazie alle reti interconnesse di amicizie; tuttavia, anche prima di Facebook si condivideva, e non poco. Anzi, i metodi "tradizionali" di scambio di informazione, che rappresentavano prima l'unica via per il passaggio di informazioni, sono tuttora vivi, vegeti e assolutamente primari. Lo certificano i dati: due terzi del traffico Web che "atterra" in una data risorsa della Rete proviene da canali che non sono riconducibili ai social network più in voga. I veri canali della condivisione, dunque, a dispetto della mancanza di molteplicità istantanea che garantiscono Facebook e dintorni, sono quei metodi "giurassici" come la messaggistica istantanea, i gruppi di discussione e la intramontabile (ma solo per alcuni) posta elettronica. Tutti mezzi, questi, poco pubblici e monitorabili, soprattutto dal punto di vista delle aziende che fanno dello sfruttamento dei dati (sensibili) la loro fonte di ricchezza e per questo definiti il lato oscuro della condivisione. Forse un'email è più sincera di un post su Facebook, forse questa è condivisione autentica perché sentita. Per ora vince ancora la forza oscura, è chiaro.

venerdì 25 gennaio 2013

IL CAPO COSPARSO (DI INSULTI)

Lavoro e social network, un binomio di gioie e (molti) dolori. Vero, tra le nuove professioni si stanno affermando gli espertoni dei nuovi media, dunque persone che lavorano mattina e sera con Facebook e dintorni: è tuttavia vero che molto spesso passare del tempo su queste piattaforme fa un po' a pugni con la produttività in ufficio. E non è tutto: spesso nella foga del momento ci si lascia andare a considerazioni un po' sopra le righe nei confronti dei propri superiori, non ricordando che il boss è stato aggiunto nella lista amici o essendo consapevoli che comunque prima o poi venga a sapere della cosa (anche i muri dell'ufficio ascoltano e parlano, si sa). E' già successo, succede tutt'oggi, succederà ancora, statene certi. O forse no: negli Stati Uniti l'organismo statale di controllo delle relazioni industriali ha stabilito che i lavoratori, in veste di utenti (soprattutto sul vostro social network preferito) possono liberamente esprimere la propria opinione, anche se l'oggetto delle critiche (eufemismo) è il proprio datore di lavoro. E' proprio vero: the land of the free and the home of the brave, visto che nonostante la decisione ci vuol comunque fegato a "sfidare" il capo, ossia colui il quale spesso e volentieri ha il coltello dalla parte del manico. E se un giorno ci si ritrova davanti una lettera di licenziamento per giusta (altra) causa? Il sospetto che comunque abbia rovistato tra i vostri post è legittimo, in barba alle presunte tutele per i lavoratori. Ancora una volta, forse, l'unica garanzia è il buon senso degli utenti.

mercoledì 23 gennaio 2013

MAGRA (IN)FELICITA'

I social network condizionano (e tanto) le persone, vuoi dal punto di vista delle abitudini, vuoi dal punto di vista comportamentale e caratteriale. Niente di più vero, ma occorre aggiungere che social diversi sortiscono effetti (apparentemente) diversi. Sono sempre i soliti studi scientifici a fornirci risultati più o meno condivisibili: ancora una volta i due luoghi di perdizione digitali preferiti, al secolo Facebook e Twitter, sono in competizione fra loro per le conseguenze psico-fisiche che generano sui propri utenti.
Partiamo dal vostro social network preferito: da una ricerca condotta da due università tedesche si evince che Facebook sia il posto perfetto per far maturare la propria infelicità e far crescere a dismisura quel gran peccato capitale che è l'invidia. Il motivo? Gli utenti tendono a confrontarsi con ciò che fanno i propri amici e, vedendo che la loro situazione è "sempre" meglio della propria, cadono in uno stato di infelicità o provano invidia nei confronti delle altrui bacheche. Considerando che Facebook è (sarebbe) anche il posto giusto per alterare (pericolosamente, pare) la propria autostima, direi che il profilo psichiatrico dell'utente medio è bello che delineato.
Ma veniamo alle buone notizie: se su Facebook si piange, su Twitter le cose andrebbero ben diversamente. Udite udite: a furia di tweet si perde peso. Detto così saremmo tutti quanti a cinguettare furiosamente, pensando che l'azione di postare un pensiero da 140 caratteri possa portare a tirar giù qualche chiletto. In realtà non è proprio così, poiché tutto è dipeso da ciò che rappresenta il social network, e non da quel che effettivamente è. In uno studio effettuato su pazienti sovrappeso un gruppo aveva a disposizione anche la possibilità di rendicontare al mondo di follower i frutti dei propri sforzi in fatto di buona alimentazione: ebbene, questi soggetti hanno dimostrato un calo di peso superiore ai colleghi che non pubblicavano tweet sul proprio stato di salute. 0,5% di peso in meno ogni 10 tweet: sembra la nuova formula di una televendita, invece è solo la dimostrazione che anche nel mondo digitale dover apparire conta più del dover essere.

venerdì 18 gennaio 2013

MEMORIA "POSTOGRAFICA"

Siete fisionomisti? Beh, sappiate che nel breve periodo potreste rappresentare un'élite. Già, perché la nostra mente e la nostra memoria si trasformano con il passare del tempo, e l'Era Digitale ha (più o meno) stravolto i processi cognitivi, cambiandoli incontrovertibilmente: se questa sarà considerata evoluzione o involuzione, solo il tempo e le prossime generazioni potranno dircelo.
In attesa di scoprire i risultati di questa trasformazione, il presente ci dice che è più facile ricordare un post su Facebook anziché un volto o una citazione "classica" come quella di un libro. La ricerca è stata pubblicata su una rivista scientifica e condotta dall'Università della California, e i soggetti analizzati hanno mostrato una propensione al ricordo più dettagliato di quelle informazioni che si possono definire più "leggere" e che scorrono tra le bacheche del vostro social network preferito, indipendentemente dal livello di amicizia che intercorre tra i contatti. Allora è vero che l'uomo è un animale nato per il gossip? Sì e no, poiché più che memoria per i fatterelli, il post su Facebook ricalca quanto di più simile ci sia con le conversazioni quotidiane, cioè quelle più facilmente ricordabili. Insomma, un bel post vale più di un bel volto. Forse perché tendiamo a non vederci più in faccia.

giovedì 17 gennaio 2013

IL "MOTORE" CHE FA MUOVERE IL MONDO

Segnatevi la data, perché in un senso o nell'altro si tratta di una specie di rivoluzione. Quindici-gennaio-duemilatredici: Facebook annuncia un grande evento. In molti pensano a qualcosa di "fisico" come uno smartphone ottimizzato per i servizi FB, e invece ciò che è stato costruito è "solo" un motore di ricerca interno più sofisticato. Molto più sofisticato.
Per chi è interessato alla disciplina, si tratta di un cambiamento abbastanza radicale rispetto al passato, e le ripercussioni non riguardano soltanto l'architettura del Web, ma anche (a suo modo) il futuro della stessa Rete, almeno come l'abbiamo concepita sinora. E ovviamente non dovrebbero mancare neanche le ripercussioni per i tanti utenti del vostro social network preferito, tanto per cambiare (in fondo il fine ultimo sono gli utenti, sia attivamente che passivamente).
Perché Graph Search - è questo il nome del nuovo dispositivo di ricerca tra le pagine blu - è davvero più di un motore di ricerca interno. Ovviamente la creazione di un sistema del genere richiede uno sviluppo che non si inventa dall'oggi al domani, ed è probabilmente l'evoluzione "pubblica" di quell'Open Graph che di fatto è il grande manovratore di dati e informazioni che alimentano quella grande macchina chiamata Facebook. E una macchina senza motore non si muove: ecco perché Graph si potrebbe rivelare il vero turbo di FB con cui gli utenti potranno sfrecciare tra ricerche di ogni tipo.
A detta di molti è proprio il sistema di ricerca uno dei punti deboli di Facebook, perché di fatto troppo "limitato". Sì, si possono cercar persone e gruppi, ma tutte le informazioni contenute nei profili, ossia la vera linfa vitale del sistema? Detto, fatto: Graph Search soddisfa proprio questa richiesta, perché interrogando il motore di ricerca in maniera specifica si può ottenere praticamente tutto quel che gravita all'interno del mondo di Facebook. Un motore di ricerca di fatto semantico, perché in fondo cosa c'è di più significativo delle informazioni personali scritte dagli utenti? In realtà il sistema funziona in base ad alcune keyword di riferimento che servono al sistema per capire che tipo di informazione si stia cercando. E le risposte saranno effettive e in tempo reale, avranno cioè un che di sensato e preciso. Insomma, non dei "semplici" e freddi link come fa Google, tanto per dirne uno.
Perché alla fine l'obiettivo è quello: sfidare o contrastare Google nel suo campo preferito, magari assestandogli una bella stilettata. Big G, si sa, è in aperta competizione con Facebook non solo perché sono due giganti del Web, ma perché sono di fatto anche concorrenti. La materia prima di sfida, in fondo, non è dissimile: sono i dati il vero oro del Web, e i dati sensibili i diamanti purissimi. Facile intuire che, con questo metodo di sfruttamento della ricerca, Facebook può acquisire un certo vantaggio in determinate applicazioni del data mining, ossia il puro sfruttamento commerciale. E in aggiunta, in questo grande club di informazioni in cui uno strumento pubblico di fatto non può entrare, la tentazione di molti die-hard di doversi iscrivere a FB per mettere le mani su quella mole infinita di dati può crescere a dismisura. Insomma, ormai è guerra fra due colossi per accaparrarsi la parte più interessante e redditizia del Web. Per gli utenti, invece, la "soddisfazione" di poter entrare ancora più a fondo nelle vite altrui (nonostante i divieti) con ricerche sempre più precise, sempre più (teoricamente) invasive. Sempre più in grado di dire chi siamo, chi siete.

mercoledì 16 gennaio 2013

OUT OF CONTROL*

Smania da like? Avete appena postato un commento o un giudizio sulla vostra bacheca e siete lì a vedere in continuazione chi (e quando) ha visualizzato il vostro pensiero? Non collezionate nulla se non i mi piace sotto ogni post (per poi magari pagarne le conseguenze)? Oltre ad essere gli utenti medi di Facebook, sappiate che state perdendo il vostro senso dell'autocontrollo e alterando irrimediabilmente la vostra autostima, il che può avere delle serie ripercussioni sulla vita, quella vera. Ah, ovviamente tutto ciò è "sancito" dall'ennesimo studio, effettuato stavolta dall'Università di Pittsburgh, USA. Solita trafila: utenti monitorati (no, non da Facebook - per quanto....-, nel senso analizzati dai ricercatori per lo studio in questione) e reazioni e dati incrociati con diverse personalità e stili di vita. Insomma, il risultato parla abbastanza chiaro: il like altera i comportamenti e genera una certa dipendenza, ma questa non è certo una novità, in fondo. L'alternativa? Beh, una volta entrato nel circolo è difficile starne fuori: c'è chi ci riesce, magari alternando momenti on ad altri off, per scoprire che nel secondo caso poi non si sta male. E no, questo non è forzatamente patologico...

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martedì 15 gennaio 2013

DIFFAMA? NON M'AMA...

Pensate alle parole che colleghereste al termine Internet per associazione di idee: cosa vi verrebbe in mente? La scelta è ampia, e ognuno - in base alla propria esperienza e rapporto con la Rete - avrebbe la sua lista. Ma non dimentichiamoci della parola insulti. Già, perché praticamente da quando esiste il Web quella che si può definire l'arte dell'insulto verso terzi è un filo rosso che collega blog, forum e social network. Anzi, soprattutto social network. E' indubbio che dietro uno schermo ci si possa sentire differenti, o anche solo "tutelati" da (semi)anonimato e/o assenza fisica con l'altrui parte: facile allora capire che quel che non si direbbe mai in presenza di qualcuno/a sia molto più facile da digitare su una bacheca o post, senza pensare (o ignorando, in moltissimi casi) le conseguenze anche penali nella vita vera. Sulla "logica" dell'ingiuria digitale si è già discusso (si trova qualcosina qui, qui, qui, ma l'elenco è anche più lungo) e d'altronde non può essere altrimenti, visto che di casi del genere si potrebbe scrivere (più di) un esempio al giorno. Evidentemente la misura è però colma, visto che è arrivata una sentenza del tribunale di Livorno che equipara la diffamazione a mezzo Facebook (solo a mezzo Facebook o è la abituale superficialità delle notizie?) ad una più "classica" a mezzo stampa, dunque penalmente perseguibile. Insomma, non ci sarà più distinzione tra il carattere di gutenberghiana memoria e quello zuckerberghiano, tanto per intenderci. Haters di tutto il mondo, tremate: anzi, quasi quasi chi dovrà preoccuparsi della possibile, potenzialmente infinita mole di lavoro che incombe sono proprio gli organi di Giustizia...

venerdì 11 gennaio 2013

RETIS SOCIALIS*

In fondo l'ambiente è sempre lo stesso, solo qualche anno indietro. Ormai lo sanno anche i sassi che Mr. Facebook ha partorito l'idea del vostro social network preferito all'interno delle mura dell'Università di Harvard: evidentemente è proprio il terreno accademico (con le dovute eccezioni...) ad essere un ambiente dinamico per fare rete, e non pensiate che prima di Facebook ci fosse il nulla. Anzi, tutto il contrario.
Uno studio multi-universitario sulle prime Accademie dal XVI al XVIII secolo ha fatto emergere il lato inaspettatamente social di questi poli del sapere: nonostante le difficoltà spazio-temporali oggettive tra le Università (all'epoca non esisteva Internet, eh) il concetto di rete intellettuale era una solida realtà, per cui si può dire che i social network sono stati creati almeno cinquecento anni fa. E tra i risultati ottenuti dallo studio si sottolinea anche il carattere faceto di alcune comunicazioni tra professoroni: insomma, non solo scambio intellettuale, ma anche spiritoso e più "leggero". Insomma, il codex facierum non è nulla di nuovo: Mr. Facebook deve ringraziare il fatto che nessuno del passato gli possa più reclamare i diritti d'invenzione...

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giovedì 10 gennaio 2013

LA POLITICA DEI TWEET

Le prossime elezioni politiche in Italia sono alle porte. Tempo (si spera) di rinnovamento, o quantomeno l'augurio è che il popolo nostrano possa esprimere democraticamente la propria volontà per dare un nuovo corso alla propria storia. Fervono dunque i preparativi per allestire al meglio la campagna elettorale,e tutti - ma proprio tutti - i media sono un tourbillon di dichiarazioni, affermazioni, smentite, liti e promesse. Non può - e non può essere altrimenti - essere esente la Rete, allo stato attuale anche un'ottima cassa di risonanza per tastare il polso del sentimento dell'elettorato. E, non c'è neanche bisogno di rimarcarlo, la "voce grossa" la fanno i social network, autentiche agorà del nuovo millennio.
La storia recente insegna: sui social si può far presa, si può essere incisivi, si può affondare il colpo finale che può portare la vittoria all'ultimo voto. Certo, si può anche sbagliare (e la Rete, si sa, non perdona), ma è un rischio consapevole per chi, per il bene del Paese, deve metterci la faccia. Il punto è che praticamente la politica s'è spostata in massa sui social network, in barba a Parlamenti, piazze, salotti tv (hmm no, questi ultimi in realtà hanno ancora poltrone ben imbottite pronte ad accogliere un po' tutti). E il giornalismo d'informazione si bea della situazione, poiché, tra un affare pubblico-personale ed un altro - ha di che parlare da qui fino alle prossime elezioni (beninteso: non queste imminenti, le prossime ancora).
Sentito ieri in radio: il problema non sono i social network, ma l'uso che se ne fa. Sacrosanto, direi. Non l'ha detto un politico, ma uno (stimato e poco social per sua stessa ammissione e carattere) conduttore. Già, perché i politici sembrano ben lungi dallo starne fuori: ormai devono esser dentro, non foss'altro per non dare un'immagine imbolsita di se stessi, o per non fare ciò che fanno gli avversari. Dopo la diffusione di un account fasullo si è cimentato con i cinguettii anche il premier uscente. Obiettivo? Diffondere in maniera sintetica il suo programma, anche se probabilmente la sensazione è che sia più a proprio agio con il concetto di account contabile rispetto a quello digitale. Poi c'è chi "vorrebbe ma non può", o meglio, che sceglie il social network sul quale presenziare in base ad una sintetica "analisi del sentimento", ignorando forse che sia sul "cattivo" Twitter che sul "buon" Facebook non ci si può sottrarre alla gogna mediatica. C'è addirittura (ma qui si sfocia in campo internazionale) chi rinuncia alla presenza sui social network, forse perché la politica è ancora quella delle piazze o forse per manifesta ammissione di non conoscenza del mezzo (in tal caso, viva la sincerità).
Insomma, il rischio è che da qui fino alla fine di febbraio se ne sentiranno (e leggeranno) delle belle: a farla da padrone potrebbero essere le dichiarazioni vacue solo per far presenza, e non i Contenuti. Magari si può dar retta a chi della politica e di Twitter e affini ha capito veramente tutto: potrebbe essere una scelta che paga. O ci si può unire nell'ultimo, inevitabile movimento politico: il popolo di Facebook, un partito popolare (in senso completo) pronto a conquistare le bach...ehm, gli scranni del potere. Sì, la politica dei tweet è(ra) una cosa seria.

mercoledì 2 gennaio 2013

UN NUOVO ISCRITTO: 'SALVATORE'

Natale, tempo di esser tutti più buoni (con i regali). Per chi invece si ricorda quale sia il significato autentico dietro questa ricorrenza, è anche periodo in cui una certa comunità è prodiga di iniziative, manifestazioni, riti, annunci. In quest'ultima categoria è da annoverare la dichiarazione ad un quotidiano tedesco dell'Arcivescovo di Friburgo, il quale ha dichiarato che se Gesù fosse vissuto (fisicamente, si intende) ai giorni nostri avrebbe avuto un account su Twitter E anche su Facebook. Evidente il motivo, visto che tramite questi media è possibile raggiungere istantaneamente milioni di persone: anche in sua assenza, tuttavia, resta una delle persone più influenti su questi siti, dunque anche sul vostro social network preferito. Ma la vera notizia, forse, è che a dichiarare questa cosa è stato il settantacinquenne Arcivescovo, evidentemente pratico del sistema o quantomeno della potenza dei social media anche per fini religiosi. Anzi, considerando che anche il "grande capo" è balzato agli onori della cronaca per aver valicato il confine virtuale per la trasmissione dei messaggi di fede, la riflessione è d'obbligo: i nuovi divulgatori sono arzilli twittatori della terza età, alla faccia dei nativi (e delle Natività) digitali.

POKE...MA BUONE?

Qualche giorno fa Facebook ha introdotto una nuova funzionalità per i propri iscritti che usano il servizio su dispositivi mobili: si tratta di Facebook Poke, variante dinamica del tasto che serviva "soltanto" a richiamare l'attenzione di un amico. La novità sta nel fatto che si potranno inviare dei contenuti multimediali alla persona desiderata, e - udite, udite - questi contenuti saranno a tempo, nel senso che si autodistruggeranno (esatto, come nei film) dopo un numero limitato di secondi a scelta del mittente. In realtà il vostro social network preferito non inventa nulla di nuovo, visto che servizi del genere esistono già da tempo e sono anche abbastanza popolari tra gli internauti: d'altronde, la comodità di inviare contenuti "scomodi" avendo la ragionevole certezza di non lasciar tracce fa gola a molti, se non a tutti. I problemi, se così vogliamo chiamarli, nascono nel momento in cui si concede o si rende nota questa funzionalità alla community più vasta che ci sia, che se vogliamo è anche la più impreparata (digitalmente parlando) che ci sia: già, perché molti potrebbero approfittare di questo servizio per diffondere contenuti di vario genere confidando nel timer che cancellerà un dato messaggio, foto o video, ignorando però che dall'altra parte ci può essere qualcuno pronto e lesto ad approfittare della situazione in un batter di screenshot. Non bisogna poi dimenticare che tutti i contenuti digitali passano e restano sui server, anche se questi scompaiono dagli smartphone del destinatario: e sebbene ad oggi in effetti i contenuti svaniscano davvero nell'abisso virtuale, va ricordato che la modifica dei termini di utilizzo in un futuro anche prossimo da parte di un social network è parte integrante delle policy che permettono a questi siti di monetizzare grazie allo scambio di informazioni e contenuti. E poi i contenuti che svaniscono dalla Rete sono quasi una contraddizione o una forma per fare senza pensare (alle conseguenze): insomma, prima what happened in the Internet stayed in the Internet, ed era (è) questo il bello, in fondo. Si spera che il futuro sia fatto ancora di contenuti poco volatili, più concreti. Possibilmente utili.