sabato 31 marzo 2012

TWEET A DUMP

Titolo non proprio elegante, lo ammetto, ma la genialità di questo servizio merita una certa visibilità. Shitter è un (gran) modo per vedere i tweet che volete stampati su carta...igienica: certo, il prezzo non è esattamente po(o)polare (e per 35 dollari si spera che la carta sia a quadruplo velo, almeno), ma volete mettere la soddisfazione di guardare il rotolo di cinguettii ed esclamare: ma che tweet di m***a?

giovedì 29 marzo 2012

FRASI DA STADIO

Un'immagine di troppo, una frase in più e la carriera è bella che compromessa. Scindere il pubblico dal privato, il lavoro dagli interessi personali su Facebook è sempre più difficile, perché il confine tra ciò che si può fare e ciò che vien fatto e amplificato è sempre più sottile. La storia è questa: un giornalista sportivo di Sky di Nocera Inferiore, dopo la partita tra i locali (la Nocerina) e il Verona vinta dalla squadra di casa, ha pensato bene di postare sul proprio profilo l'immagine di uno degli striscioni più famosi della storia delle tifoserie organizzate (e anche abbastanza geniale nel suo contesto, si può aggiungere). Ciò che fanno in migliaia sul vostro social network preferito e in Rete evidentemente non lo può fare un "serio ed imparziale" professionista: la foto dello striscione rimbalza da bacheca a bacheca fino ad arrivare al direttore di Sky, che puntualmente licenzia il giornalista. L'interessato cade dalle nuvole, dichiarando che la pagina è gestita da un curatore (addirittura!), poi partono le sentite scuse verso i tifosi scaligeri. Quella che è una goliardata, un semplice sfottò (ed è effettivamente così, visto che si tratta di striscioni da stadio forse un po' sopra le righe ma molto spesso assolutamente geniali) si è tramutata nell'ennesima vendetta da parte di Facebook e del suo utilizzo con poco criterio, date le circostanze.

Vista la situazione, come epilogo dell'accaduto si può sempre rispondere per le rime con un altro striscione: dato il paese di cui si parla, la dedica è senza rancore. Lo dice anche il nome....

mercoledì 28 marzo 2012

MOLTI NEMICI...

...molto onore, recita un motto presente sul pavimento di uno stadio italiano. Il detto potrebbe aggiornarsi alle tendenze del nuovo millennio: chissà, probabilmente si dovrà aggiungere molti nemici su Facebook in futuro. Che non proprio tutti tutti i vostri amici su FB siano i vostri migliori compagni di merenda è abbastanza lapalissiano, più che altro per la legge dei grandi numeri o perché col tempo i rapporti tra le persone cambiano, o perché un'aggiunta amico non si nega a nessuno/a: se volete andare un passo oltre, tuttavia, potrete installare un'applicazione specifica chiamata EnemyGraph e indicare senza inibizioni e una volta per tutte chi sono i vostri nemici. Nessuna limitazione: dal/la ex al proprio capo, passando per i personaggi famosi fino ai brand, tutto è indicabile come non-amico. L'applicazione, creata da un accademico di Dallas, Texas, vuole dar voce a tutto ciò che non si ama e che pubblicamente si vuol dichiarare, e in pratica va a creare quel famoso dislike tanto osannato dagli utenti Facebook. L'applicazione potrebbe non avere lunga vita sul vostro social network preferito, perché di fatto potrebbe alterare il clima tendenzialmente ottimista di FB (anche se l'odio regna spesso sovrano in Rete). Resta il fatto che una pagina di like e una di nemici sortisce lo stesso effetto, vale a dire connotare l'utente in maniera sempre più precisa e dettagliata, senza contare che un'applicazione esterna potrebbe appropriarsi dei dati degli utenti FB senza troppi problemi e con il vostro implicito consenso. Passi il fatto che l'autore dell'esperimento possa risultare "fidato" in questo caso, ma chissà, la cosa in futuro potrebbe non piacervi.

martedì 20 marzo 2012

INVIDIA SOCIALE

Le parole di James Whittaker, ex dipendente di Google e ora dipendente Microsoft, sono senz'altro forti e di sicuro impatto, ma a guardar bene non sono una sorpresa. L'ingegnere, responsabile dello sviluppo di Google+ e dunque "creatore" del prodotto la cui intenzione è(ra?) quella di competere con Facebook, si scaglia proprio con il nuovo corso dei suoi vecchi datori di lavoro, frutto non tanto delle politiche geniali e d'avanguardia che hanno portato Google a diventare un gigante di Internet ma di una vera e propria rincorsa - leggi: ossessione - nei confronti del vostro social network preferito. 
Insomma, Whittaker afferma che se il Web della nuova generazione è sinonimo di contenuti forzatamente social, Google non doveva essere da meno, più che altro per non perdere quella grande fetta di mercato pubblicitario che di fatto costituisce la gallina dalle uova d'oro di Big G. D'altronde il famoso motore di ricerca è, a pensarci bene, ben più di un semplice motore di ricerca: pensate a quanti servizi correlati offre, capirete forse perché si è buttata anche sul social (anche se in verità ci aveva provato almeno due volte in passato, con poco successo). Il problema è che Google è sempre stato antesignano nei suoi prodotti, in questo settore è "semplicemente" arrivato dopo. Si spera che questa nuova politica non faccia implodere il gran castello creato negli anni, perché a Google si deve l'espansione di un certo tipo di Web, forse meno socialmente connesso, ma estremamente utile perché essenziale.

giovedì 15 marzo 2012

IL VALORE DELL'IMMAGINE

Il fatto che sempre più studi accademici facciano riferimento a Facebook per dare risposta ad una miriade di comportamenti umani (passando dalla psichiatria alla psicologia fino ad arrivare alla medicina e all'economia) fa capire l'importanza che sta assumendo il vostro social network preferito nella vita di tutti i giorni, oppure che direzioni stia prendendo la ricerca accademica (questo non mi è dato saperlo...). Partendo dal presupposto che non è detto che FB rappresenti il "vero" campione della razza umana ma è ormai un'eccellente base di dati da cui partire, lo studio che riporta Wired.it si concentra sul potenziale che suscitano i contenuti dei vari profili. Nello specifico, la tendenza è quella di ignorare i contenuti testuali - dunque ciò che si scrive, i propri pensieri e anche i propri status update - preferendo la forza delle immagini. In altre parole, la curiosità si accende alla vista di una foto del profilo, e quanto più questa è ambigua o oscura tanto più questa ci solleticherà la voglia di indagare maggiormente. Alla ricerca di altre foto, questo è abbastanza scontato.
D'altronde, perché puntare sulle frasi scritte in italiano corretto, così noiose? Meglio una bella foto in cui ci si mette in mostra. Certo, non ci voleva l'Università dell'Ohio per ribadire questo aspetto: Facebook ha solo accelerato un processo che un secolo fa Carl Jung definiva come archetipo, in cui la persona è l'immagine che si vuol dare agli altri. Solo un'immagine, appunto.

mercoledì 14 marzo 2012

MI RETWITTI?

Come non omaggiare in queste pagine Follower, la twitserie (che dura anche meno di 140...secondi) prodotta da (quel genio di) Diego Bianchi aka Zoro? In pochi secondi a puntata si porta nella vita reale il comportamento ormai tipico dei follower degli opinion leader di Twitter, provocando una situazione che definire spiacevole è riduttivo. Questa parodia dell'utente tipico di Twitter altro non è che la versione "reale" già ammirata per il vostro social network preferito tempo fa.

Che dire di più? Seguite la serie...ma non troppo da vicino!

lunedì 12 marzo 2012

POLITICA.(TW)IT

In un mondo dominato dalla (troppa) informazione, tutti - ma proprio tutti - utilizzano i social media per diffondere idee, pensieri, servizi e così via. Il mondo della politica non è da meno, e oltre alle "classiche" dichiarazioni di facciata i decision-makers si "buttano" su Facebook e/o Twitter per raggranellare utenti (aka potenziali elettori) e veicolare idee e ideologie. Ammesso che siano loro - non si trascuri questa possibilità - o che siano proprio loro a scrivere e non l'ufficio stampa, la "nuova" politica è tutta qui, spesso in pochi caratteri. E se è vero che la Rete può dimostrarsi decisiva per le sorti di un'elezione, è pur vero che la mania da condivisione di pensieri può spesso risultare un clamoroso autogol, o sminuire non poco la figura pubblica e (un tempo) alta dei governanti di tutto il pianeta. C'è chi rimpiange le care vecchie Tribune Politiche, c'è chi crede che personaggi pubblici non debbano utilizzare questi strumenti: la virtù è spesso nel mezzo. Perché se è pur vero che questi strumenti allargano la base di utenti, fidelizzando il rapporto con il proprio pubblico, è anche risaputo che occorre utilizzarli bene, altrimenti da eletto a reietto il passo è clamorosamente breve.

domenica 11 marzo 2012

(ANTI)CONFORME, ORIGINALE

In un'epoca in cui i VIP - o presunti tali - fanno a gara per essere presenti sui social media, scrivendo praticamente qualsiasi cosa non per forza di interesse (e mandando il più delle volte nel dimenticatoio i loro siti ufficiali), rimbomba in maniera piuttosto forte l'eco delle dichiarazioni di personaggi pubblici che di Facebook e compagnia bella non vogliono proprio sentirne parlare. Già in un'altra occasione in queste pagine si è parlato dell'intervento di Jonathan Franzen a proposito del ruolo ricoperto dal vostro social network preferito nella società odierna: stavolta, e sempre su Corriere.it, si parla della sua ultima fatica letteraria ma anche di tante altre cose, Facebook compreso. Franzen ribadisce il concetto, risultando forse una figura fuori dagli schemi tipici: detesta Facebook (scoprendo che anche chi è attivo sul social lo odia, ma non ne può evidentemente fare a meno) e crede che Twitter sia la sua versione stupida. Ma non è tutto: parlando a tutto tondo del rapporto con la tecnologia, egli contesta ad esempio la "visione" di Steve Jobs, che altro non ha fatto che creare un mondo di zombie con il dito sullo smartphone (e con la testa perennemente china), esaltando il principio estetico a discapito della funzionalità pura. E ancora: giù attacchi ai telefoni cellulari, alla tv, eccetera. Insomma, si potrebbe dire che è un (gran) criticone, anche se ad ogni attacco è correlata una spiegazione o una motivazione sensata (non per forza condivisibile da tutti, sia chiaro), merce rara di questi tempi. Anche pensare fuori dal coro spesso può esserlo.

PS. E se pensate che sia un antidiluviano ecco la dichiarazione finale, in cui dichiara che la poesia sarà rimpiazzata dal rap.
Touché.

giovedì 8 marzo 2012

NUOVI CV

Mandare curriculum in giro? Oltre che (spesso) poco utile, è una pratica ormai vetusta. Basta scervellarsi con lettere motivazionali e formati europei (e le sue tabelle......) per cercar lavoro: il nuovo modo per presentare il proprio profilo è far controllare...il proprio profilo! Naturalmente quale miglior modo per capire praticamente tutto di un potenziale candidato ad una posizione lavorativa? Senza dubbio Facebook, perché può dire molto, ma molto di più di quel che può emergere da un colloquio faccia a faccia. Questo è ciò che sostiene l'ennesimo studio, nel quale si sottolinea come il vostro social network preferito serva come prima scrematura per la selezione dei candidati, visto che basta un'occhiata alle informazioni disponibili per farsi un'idea sommaria (magari giusta, magari anche no) di chi si avrà di fronte. E c'è di più: la tendenza statunitense è quella di obbligare i candidati ad "aprire" le proprie bacheche pubblicamente o a dover accettare forzatamente il (futuro) datore di lavoro per esercitare una sorta di controllo e dimostrare di non avere nulla da nascondere. Come se la presenza su FB fosse un obbligo vincolante. Nessuna menzione per i non iscritti: eppure esistono anche loro...

lunedì 5 marzo 2012

AHI, CHE DOLORE..

Tutti i media, si sa, si devono evolvere per poter essere centro di attenzione e comunicazione: ad esempio, la cara vecchia TV una volta informava, ora fa "Tv del dolore" (con ottimi risultati). Su Internet finisce che o sei quel che non sei o non sei nessuno.
Dietro un computer ci si può celare dietro un nickname e dire/fare cose giuste, o avere una precisa identità e fare cose (molto) sbagliate: la nuova tendenza è quella di avere un profilo fake e rovinare la vita altrui. Già, rovinare, e nello specifico "causare dolore" per via delle false aspettative create: è questa la motivazione di un giudice della Guildford Crown Court che ha condannato una ragazza inglese a trentatré mesi di carcere (di cui tre per frode) per aver assunto le sembianze di un ragazzo e per aver adescato delle ragazzine minorenni su Facebook.
Quello dei fake è argomento spinoso che meriterebbe pagine e pagine di approfondimenti: che sia una persona qualunque o un (presunto) Vip o personaggio pubblico poco importa, perché il problema è la facilità imbarazzante con la quale ci si può "impossessare" dell'identità altrui. Il merito o la colpa - non sta a me stabilirlo - è di queste piattaforme troppo generiche, molto massificate, troppo "personali" ma con poca personalità (un sito con un dominio personalizzato non è la panacea di tutti i mali, ma è già uno sforzo per uscire fuori dal coro, di questi tempi). Ma tranquilli, ormai va così: che sia reale o fittizia, basta una foto, un nome e cognome per stabilire il contatto virtuale che conta ormai più di quello reale. Il problema è poi (ri)scontrarsi con la realtà, e per molti finisce che l'impatto è talmente forte da causare troppo dolore.

giovedì 1 marzo 2012

PUBBLIC(IT)A'

In un mondo (virtuale e non) profondamente connotato da identità e semi-identità a guadagnarci non è solo la libertà di informazione degli utenti ma anche pubblicitari e gestori dei servizi offerti. All'appello mancava ipoteticamente Twitter, vista l'assenza di pubblicità tra un cinguettio e l'altro. Ma non manca molto acché possa monetizzare: basta vendere i vostri tweet per un tot al byte alle ditte che effettuano ricerche di mercato e il gioco è fatto. L'archivio (in continua evoluzione) di micro-comunicazioni sarà gestito dalla britannica Datasift, e servirà per profilare ancor meglio gli utenti di questo social network. Ci si può domandare: ma cosa si riuscirà ad evincere da comunicazioni in 140 caratteri? Basta molto poco per poter dire tanto, anche involontariamente: pensate un attimo ad un hashtag ricorrente o anche solo agli orari dei tweet, potreste avere una risposta esauriente.
E gli altri? Beh, altri sono alle prese con altri problemi (Google, ad esempio), mentre il vostro social network preferito non perde tempo per trovare nuove strategie per le inserzioni pubblicitarie: ultima (ma non per importanza - dei pubblicitari, si intende) è l'inserzione mimetica, che si confonderà tra un commento e l'altro degli "amici" nelle vostre bacheche.