mercoledì 25 luglio 2012

SWITCH-OFF

A quanto pare le informazioni viaggiano a vagonate, a canali, a onde, a periodi, a trend: le notizie che parlano di social e affini non fanno eccezione, e dopo la notizia postata qualche ora fa che in qualche modo inquadra il fenomeno dei social network in un'ottica nella quale è il buon senso che dovrebbe (!) farla da padrone, ecco un'altra notizia sulla stessa scia, in qualche modo. Stuart Crabb, dirigente presso gli uffici di Facebook, ha dichiarato che sì, ok, Internet è bello da morire ma occorre farlo con moderazione, consigliando al tempo stesso ogni tanto di spegnere smartphone e computer per staccare letteralmente dall'overflow di informazioni.
Detto da uno che lavora per un'azienda che fa proprio dei dati la sua miniera d'oro, c'è da rifletterci su. Se poi aggiungiamo la metafora che ha usato (se mettete una rana in acqua fredda e riscaldate l'acqua lentamente, questa morirà lessata) il quadretto è completo. Certo, avrebbe potuto usare un granchio come soggetto: forse si sarebbe "immerso" meglio nella sua situazione, dato il lavoro che fa! (battuta pessima, se la si capisce...)

martedì 24 luglio 2012

SEMO TUTTI CRIMINALI *

Vero, la tecnologia aiuta tutto e tutti in numerosi campi e nella vita quotidiana. Ma, come sempre, occorre capire quanto e cosa ci aiuta, fino a che limite, e capire soprattutto cosa c'è, oltre quel limite. La riflessione odierna non coinvolge solamente Facebook (ma gira che ti rigira il suo livello di "responsabilità" c'è), ma proprio la tecnologia in generale, spaziando dunque da un semplice sito Web agli apparecchi elettronici che forse forse, a ben vedere, così indispensabili come li dipingono non sono.
"Padre" di quello che è un velato attacco alla tecnologia a tutti i costi è un articolo apparso su Corriere.it un paio di giorni fa, a firma di Evgeny Morozov. A causa dei suoi scritti l'autore è uno classificabile come amato o odiato, senza mezzi termini: quel che si evince, tuttavia, è che Morozov è un appassionato di tecnologia proprio perché ha saputo distinguere ciò che è utile e ciò che lo è meno, ciò che è indispensabile e ciò di cui si può fare a meno, coloro che subiscono fascino e influenza e coloro che dalla tecnologia si fanno aiutare, sì, ma fino ad un certo punto, perché sanno che l'abisso è dietro l'angolo.
Tema del suo scritto è la nuova frontiera delle forze dell'ordine, vale a dire la prevenzione dei crimini grazie a speciali algoritmi che scandagliano il web - e ovviamente i social in particolare - alla ricerca di potenziali reati
virtuali e non. L'esperimento sul campo è attualmente portato avanti dalle forze di polizia di Los Angeles (Stati Uniti), ma la questione riguarda anche soggetti privati come appunto i social network o i "semplici" siti di e-commerce come Amazon.
In realtà la potenza di FB non conosce rivali, visto che spesso anche gli stessi tutori della legge si rivolgono ai propri cittadini attraverso il vostro social network preferito. La questione, come sempre, è alla base: concedere tutti i propri dati ad aziende private pone un grosso problema di privacy, è ovvio, ma anche la possibilità alle aziende stesse di provare a capire come fare un uso profondo di questi dati. E si arriva a scoprire (ma la cosa di fatto non sorprende) che Facebook spia le chat alla ricerca di parole-chiave potenzialmente pericolose, quindi di soggetti che in teoria potrebbero usare questi strumenti per fini non giusti. In teoria, appunto, perché il confine tra verità e finzione, tra intenzionalità e il suo contrario - sopratutto sul Web- è tutto da verificare. Senza contare che a fare tutto questo non è un organismo di polizia, ma un soggetto privato, teoricamente soggetto ad arbitrarietà. Fino al prossimo grado di giudizio, dunque, siamo tutti potenziali criminali, e potrebbe non essere sufficiente dire "ma stavo scherzando": l'algoritmo ha già emesso sentenza.

* = liberamente ispirato alla creatività capitolina...

mercoledì 18 luglio 2012

SOCIAL A PIACIMENTO

Premessa: i social network piacciono a tutti. Svolgimento: non è vero, non piacciono a tutti. Conclusione: quelli a cui piacciono in realtà non gradiscono tantissimo i social network.

Tema intricato, quello dei social. Prendete Facebook (uno a caso): apparentemente senza rivali, ma allo stesso tempo non il miglior sito nel suo genere, a detta almeno degli stessi utenti che navigano e navigano sulle sue pagine. Già due anni fa esatti si è parlato del grado di soddisfazione del vostro social network preferito da parte degli iscritti, e - sorpresa sorpresa - Facebook è risultato ben al di sotto di altri giganti come motori di ricerca, enciclopedie online e variegati siti di intrattenimento. A distanza di oltre settecento giorni la musica non cambia: vero, aumentano gli iscritti, il dominio e la potenza di FB non sono apparentemente in discussione, ma il nuovo studio sul gradimento di social network e affini lo "condanna" ancora, con risultati addirittura peggiori. E, beffa delle beffe, il tanto bistrattato Google +, sebbene (molto) meno frequentato risulta più gradito, forse per via del grado di minor invadenza di pubblicità e affini, o solo perché si trova meno gente di quella che si è spesso costretti ad incrociare virtualmente. Insomma, ancora una volta i numeri non dicono tutto, ma dicono qualcosa. Basta leggere tra le righe, anzi tra le cifre.

lunedì 16 luglio 2012

NON ANDATE VIA...

...consigli per gli acquisti. E invece pare di no: nonostante la pubblicità sia il commercio dell'anima, il connubio tra inserzioni e il vostro social network preferito non è tutto rose e fiori. In un mondo tutto connotato dai numeri, dunque a dispetto della qualità d'informazione, il tallone d'Achille per la pubblicità su Facebook sembra essere lo spasmodico raggiungimento di un numero quanto più elevato di fan di un prodotto. Per farlo, tuttavia, ogni mezzo è lecito, anche quello di comprare finti sostenitori solo per ingrossare la base di like facendo risultare che un brand piace numericamente. Ma si sa, le bugie hanno le gambe corte, e così anche un utente un pochino più attento può accorgersi dell'inghippo: l'inchiesta è firmata BBC e sentenzia come fare pubblicità sui social media rischia di trasformarsi in un boomerang molto tagliente per le aziende.
La situazione, ovviamente, coinvolge in misura maggiore i grandi marchi, "costretti" a dover essere sempre sulla cresta dell'onda e sulla bocca - o sulle bacheche - di tutti. E le piccole aziende, quelle che non possono permettersi questa base di finti fan? Beh, per loro la situazione è un po' diversa ma non per questo più semplice: un articolo del Sun rivela che per le piccole e medie imprese l'errore sta nell'uso sbagliato che si fa del mezzo, allorché si bombarda semplicemente l'utenza di messaggi e non la si "cura" a tutto tondo. Perché si sa, il cliente ha sempre ragione, e un pollice alto dalla sua parte pronto a dissolversi in men che non si dica.

domenica 15 luglio 2012

L'ANSIA CHE AVANZA

Che Facebook possa essere considerata una vera e propria malattia del nuovo millennio non ci piove, e sono state dette tante parole sull'argomento (qualche esempio dipanato negli anni: qui, qui, qui, ma l'elenco è abbastanza lungo).Tanti sono gli studi che certificano in maniera più o meno scientifica che il vostro social network preferito genera una certa dipendenza: d'accordo, genericamente si può parlare di vera e propria dipendenza da Internet, ma è chiaro che non è un caso se molti di questi studi - e relativi articoli pubblicati - vadano a puntare dritto su social e dintorni. Uno studio condotto da Anxiety UK (wow, che URL) rivela che effettivamente FB e compagni possono generare uno stato d'ansia derivato da un desiderio spasmodico di sapere se sono arrivati aggiornamenti in bacheca o se è arrivato il tanto agognato like ad un nostro post. Cocaina elettronica viene definita, perché la "dose" quotidiana di connessione, in fondo, non si nega a nessuno. Poi arrivano i "negazionisti": neanche a farlo apposta, quasi contemporaneamente arriva il resoconto di un altro studio (stavolta statunitense) a stabilire che Facebook non provoca ansia, o almeno non ci sono elementi sufficienti a stabilirlo. E poi ci sono i "totalitaristi", quelli che vedono l'intera Rete come trappolone da pazzia e ansia collettiva senza la quale ci sentiremmo completamente persi e senza una meta. Insomma, ad ogni decennio la sua malattia, vuoi una organica, vuoi una più psicologica. Il problema qui è che basterebbe staccare solo ogni tanto la spina o la batteria, non solo metaforicamente: evidentemente, per molti, un passo troppo grande da fare.

venerdì 13 luglio 2012

OPERAZIONE VIALIKE

Che le rivoluzioni e le proteste si facciano ormai dai divani di casa è un dato abbastanza oggettivo: d'altronde Internet ha questa grande capacità di farti sentire ovunque senza muoverti fisicamente di un solo millimetro. Certo, ormai a notizie curiose che sembrano un po' lo specchio dei tempi non si fa mai l'abitudine (soprattutto avendo in mente il paragone con il passato), dunque meritano "la ribalta" e quantomeno il solito momento di riflessione.
Facebook si incrocia ancora una volta con il motore dell'italico paese, vale a dire il calcio: più di un anno fa è stata raccontata la storia del mancato acquisto di un calciatore da parte della Juventus per via - ipotizzano i giornali, eh - della rabbia dei tifosi bianconeri espressa sul vostro social network preferito. Stavolta non si tratta di mancati acquisti, ma del contrario: a finire sotto il tiro dell'influente popolo di FB è stavolta un'altra gloriosa società calcistica italiana, il Milan. Motivo? Due dei calciatori più rappresentativi della squadra hanno fatto - o stanno per fare - le valigie, destinazione Parigi. Il fascino della ville lumière? Forse, o forse si incrociano necessità di vendita e l'irresistibile profumo della pecunia. Insomma, in un colpo solo i tifosi rossoneri vedono perdere due pilastri della propria squadra, due che hanno fatto le fortune del club meneghino: facile quindi pensare che il tifoso medio di questa squadra sia quantomeno alterato o deluso da questa decisione. Perché al tifoso medio importa che la sua squadra vinca con i campioni, e non le esigenze di bilancio. Ma tant'è, sono partite le crociate online di protesta: apparentemente nessuna protesta sotto la sede del club, ma "solo" l'iniziativa di togliere i like degli utenti dalle pagine ufficiali del club sui più noti social media, un'azione di sicuro impatto che ha fatto anche il titolone sul portale giornalistico.
D'accordo, tutti sappiamo (lo sappiamo tutti, spero) della potenza del like per inserzionisti e proprietari di prodotti, ma quanto può incidere a livello puramente monetario una fuga di preferenze su un social network per una società? In altre parole: il gesto è puramente simbolico o mira anche a creare difficoltà economiche? Per iniziative più serie si può far sentire la protesta "fisica" come si faceva un tempo, ma si può anche decidere di "boicottare" la strategia intrapresa attraverso forme tangibili, come la rinuncia all'acquisto della maglia del proprio beniamino o non rinnovando l'abbonamento. Invece fa notizia l'unlike. E' la protesta "di campo" del terzo millennio: toccherà fare l'abitudine.

martedì 10 luglio 2012

EDUCAZIONE PARTY...COLARE

Guardatevi attorno quando siete in locali pubblici o tra amici: sarà il desiderio di farsi i fatti propri, sarà l'imbarazzo o sarà chissà cosa, ma probabilmente molte delle teste intorno a voi saranno chine su un cellulare, e molto spesso lo saranno di continuo. Fino a qualche tempo fa era giusto il tempo di un messaggio, ora Internet (leggi: social network) e messaggistica istantanea la fanno da padrone. Ovviamente ci sono situazioni in cui tutto ciò è lecito e comprensibile, ma in altre probabilmente si infrangeranno le regole della vita sociale: insomma, è sempre una questione di buone maniere sia in formato reale che in quello virtuale.
Corriere.it spiega oggi cosa fare e cosa no quando si è con gli altri ma il richiamo irresistibile dello smartphone incombe: un esempio concreto è rappresentato da una festa, e in quel caso è meglio socializzare face-to-face che con uno schermo. Il "pezzo" è ripreso dal Wall Street Journal, il cui titolo è sicuramente più incisivo, allorché i social hanno il potere di crashare l'evento. Beh, in realtà è capitato che il "botto" lo si facesse proprio a causa di Facebook (e più di una volta), ed è anche vero che già da tempo qualcuno ha subodorato l'invadenza dei social network in occasioni mondano-festaiole (qualcun altro invece ancora fatica a capirlo). Insomma, dal cellulare distogli la testa, e resta alla festa.

venerdì 6 luglio 2012

AGENZIE (STAMPA) DI RATING

Qualità dell'informazione, questa chimera. Da che mondo è mondo la ricerca della conoscenza è insita nell'uomo (curioso), e il Web altro non è che la più grande espressione della sete di sapere mai esistita finora. Colonna portante della rilevanza di una notizia è senza dubbio il giornalismo, che fa della ricerca e dell'attendibilità delle fonti un fondamento imprescindibile. In realtà i cari vecchi quotidiani si sono dovuti adattare proprio all'esplosione dei media digitali, poiché l'allargamento della base di utenti raggiungibili non è coincisa forzatamente con la crescita dei profitti, anzi: il cartaceo - si dice - è sempre più in crisi, e bisogna fronteggiare la situazione con portali sempre più aggiornati, sempre più connessi, sempre più vicini all'utente.
Capita dunque che "dover fare notizia" ventiquattro ore al giorno (anziché una volta al giorno, come accade per i tradizionali quotidiani) si trasformi in una caccia all'informazione a tutti i costi che talvolta ha portato ad un decadimento della qualità dell'informazione: un tweet non verificato è un'informazione veloce, non necessariamente precisa. Non sono giornalista, ma un discreto fruitore dei servizi di informazione: sarà una visione nostalgica, ma proprio questa apertura ai social media ha portato a considerazioni un po' critiche o quantomeno a dover accorgersi che in effetti anche il giornalismo è un po' cambiato.

Ecco dunque che notizie come la classifica stilata dalla società Innova et bella dei quotidiani più virtuosi in fatto di numero di like su Facebook contribuiscano ad indicare che effettivamente l'oggetto dell'attenzione non è più l'informazione, ma i numeri puri. Insomma, se Corriere.it e LaStampa.it si fanno (giustamente, a questo punto) belli per essere considerati tra i migliori quotidiani in fatto di like, allora vuol dire che evidentemente ad oggi è la quantità che conta, e non la qualità. C'è anche una classifica a suon di vocali: sulla falsariga delle agenzie di rating che valutano gli Stati (ossia dei privati che di fatto rappresentano la variabile impazzita tra la sopravvivenza e la "morte" di una nazione o di una società - e non sono mica infallibili, va detto), i nostri quotidiani principali si beccano una bella A. Cosa vuol dire? Che in quanto a rapporti con il popolo del Web sono al passo con i tempi: curano bene i profili societari su Facebook e Twitter, hanno una app specifica per carpire i dati degli ut...ehm, per offrire loro un servizio personalizzato, e - udite, udite - hanno più like che copie cartacee vendute. Quest'ultimo dato è assolutamente sproporzionato rispetto ad altri paesi: insomma, in Italia è molto più facile cliccare su mi piace anziché aprire un quotidiano. Delle due, l'una: o gli italiani si sono scoperti grandi utenti digitali, oppure il solito uso apatico dei social ("clicco, tanto uno più o uno meno non fa differenza") è sintomo della decadenza qualitativa di cui sopra. Il punto è che tutto ciò è fonte di vanto dei protagonisti: probabilmente il tornaconto numerico conta più dell'offerta proposta. Il vecchio giornalismo ringrazia, e un po' si rivolta nella tomba.

domenica 1 luglio 2012

OGGETTI DI "GRIDO"

Non si può far altro che gridare di gioia (per i fan) o di orrore (per i più "normali" o semplici detrattori) alla vista di due degli innumerevoli gadget FB-based presenti in giro in negozi online e tradizionali, e capitati tra un tab e l'altro negli ultimi giorni. Il primo è in linea con la stagione, e altro non è che il Facebook-gelato: si chiama Facecream ed è ancora un prototipo, realizzato dallo stesso designer del letto a forma di "effe". Arriverà mai nei negozi? E soprattutto, mangerà la concorrenza o si scioglierà al primo sole? Il secondo oggetto è tanto ironico e originale quanto inquietante: si tratta di una tendina da doccia che ricalca in tutto e per tutto la bacheca del vostro social network preferito: la potete trovare qui ad esempio, e non costa neanche tantissimo. Per chi non può fare proprio a meno di pensare a FB anche sotto la doccia, e invece di cantare pensa al prossimo status update.