domenica 29 dicembre 2013

FOTO-(NON)RICORDO

Un'immagine è come un diamante, e cioè per (quasi) sempre, e tra riproduzioni e rappresentazioni le arti figurative sono senz'altro tra le attività che meglio descrivono le società moderne e non solo. Una svolta è stata senz'altro rappresentata dall'arte della fotografia, ossia la rappresentazione della verità che ci circonda in modo di fatto automatico, vale a dire attraverso uno strumento in grado di imprimere realtà, situazioni e anche emozioni correlate. In tempi molto recenti la fotografia è diventata una realtà alla portata di tutti, poiché si è sdoganato il mezzo attraverso cui effettuare tale attività: la lente ottica che cattura le immagini si è fatta sempre più sofisticata eppur sempre più ridotta, e tanto le piccole (e grandi) fotocamere quanto le lenti incorporate ai moderni cellulari ci permettono davvero di fermare nel tempo una qualsivoglia istantanea. Certo, probabilmente la qualità media si è abbassata, ma si tratta di fatto di un prezzo da pagare per permettere una democratizzazione globale dell'immagine. Ciò che forse è cambiato, in virtù di una "economia" della fotografia mutevolmente cambiata, è il motivo per cui si fotografa: non per arte, non per sé, ma per il puro gusto di condividere a priori. E qui, forse, i social media hanno la loro parte: offrire la possibilità di condividere immagini a chiunque - e per chiunque, forse è qui la differenza - ha fatto sì che anche la nostra percezione della qualità fotografica e del suo significato intrinseco subisse delle profonde mutazioni. Una ricerca accademica di un'università statunitense ha cercato di analizzare il rapporto che sussiste tra immagine e memoria, intesa come capacità di ricordo della mente umana. Ebbene, i risultati affermano che maggiore il numero di foto scattate e minore il ricordo impresso nella nostra mente: insomma, è più facile che un'immagine rimanga più impressa in una scheda di memoria, che nella nostra, di memoria. A meno che non ci si concentri sui dettagli, in pratica, fotografare immagini rimane quasi un'attività fine a se stessa, quasi un atto automatico su cui ci si concentra molto, forse troppo: ne consegue che ci si dimentica prima dell'esperienza reale vissuta. Quali i motivi che portano a questi risultati? E' possibile che le macchine fotografiche - o i cellulari, beninteso - rappresentino un vero e proprio "filtro" tra noi e l'esperienza che stiamo vivendo, il che porta a questo scioglimento del ricordo. Forse ci si concentra troppo tra messa a fuoco, inquadratura e scatto: o forse è proprio questo sdoganamento assoluto della fotografia a causare questa situazione. O ancora, forse è lo sdoganamento legato alla condivisione a tutti i costi delle immagini ad aver causato questa situazione. Un'immagine è (quasi) per sempre ed è sempre bella condividerla: è forse il doverlo fare a tutti i costi per far finire queste foto su qualche stream fotografico su Facebook o Instagram a liquefare il ricordo legato all'immagine. E' il cuore il luogo della memoria, forse tocca tenerlo a mente.

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