mercoledì 8 gennaio 2014

ATTACCHI INDIFENDIBILI

Giova sempre ripeterlo, perché in certe occasioni non fa mai male: ci sono delle regole - spesso non scritte - che fanno la differenza tra il buon uso di Internet e un certo uso di Internet. La capacità di dare a tutti, ma proprio a tutti uno spazio su cui scrivere pensieri, micro-battute, commenti e opinioni non è nata con i social network, Facebook in testa. No, il vostro social network preferito e altre piattaforme come Twitter o Youtube hanno solo estremizzato - o se volete ampliato, democratizzato - questa possibilità. La Rete si evolve in fretta e bastano pochi anni, a volte anche meno per cambiare le regole dell'interazione: il Web partecipativo è "invenzione" da non attribuirsi a Facebook e soci, poiché gruppi di discussione, forum e i primi, rivoluzionari "commenti dei lettori" sui siti di informazione hanno rappresentato una prima, essenziale rappresentazione del concetto di network e quanto mai portatrice di valori contenutistici. Con l'avvento dei social, invece, si è assistita ad una vera e propria esplosione dell'interazione: chi ha avuto da dire ha continuato a farlo, chi non aveva nulla da dire ha detto comunque. E apriti cielo. La (quasi) totale assenza di controllo e filtro sui contenuti generati fa sì che FB o Twitter siano in alcuni casi delle vere e proprie piazze dell'insulto, delle cloache dell'offesa: troppo facile dire certe cose "protetti" da uno schermo, sapendo che il più delle volte la si può far franca. E capita poi che persino siti autorevoli blocchino la possibilità di condivisione di conoscenza per via della "solita" minoranza cattiva che, come spesso accade, rovina tutto. Ci vorrebbe moderazione, nel senso che forum e più in generale le community di utenti sono tutte "controllate" per garantire una certa qualità dell'informazione, anche nei contenuti generati dagli utenti: ci vorrebbe una moderazione, appunto . Si chiama rispetto delle regole (o delle policy, fate voi), non censura: vuoi scrivere sul mio spazio? Sei il benvenuto, ma queste son le regole. Altrimenti ti apri uno spazio tutto tuo. O altrimenti, vai a dire la tua in quel gran calderone chiamato Facebook. Lì magari puoi sentirti libero e augurare il male peggiore al tuo peggior nemico, o al tuo amico nel frattempo diventato nemico. Chissà se poi certi comportamenti sono replicati dalle stesse persone nella vita vera: è questione di educazione alla Rete, ma come spesso succede, ancor prima di pura e semplice educazione.

lunedì 6 gennaio 2014

PUBBLICAMENTE PRIVATO

Anno nuovo e vita vecchia, almeno per ciò che riguarda il sempre intramontabile rapporto che sussiste tra i social network e l'uso e sfruttamento dei dati personali degli utenti. A finire sotto la lente di ingrandimento stavolta c'è la funzionalità forse più privata che pare sia stata privata della sua "segretezza": si tratta dei messaggi diretti, i messaggi privati insomma, i quali sembrano siano letti non solo da un destinatario. Due utenti Facebook hanno intentato una class action contro il vostro social network preferito reo, a loro detta, di monitorare il contenuto dei messaggi non pubblici per i soliti fini commerciali. Insomma, se tra amici ci si scambiano commenti negativi sulla squadra di calcio che più si odia si rischia di vedere tra gli annunci correlati qualche pubblicità relativa proprio alla compagine non amata - d'altronde si spera che i sistemi informatici non siano così intelligenti da capire la prosodia della parola chiave - o magari nel comunicare qualche "notizia bomba" si rischia di finire per essere tacciati di chissà quale attività sovversiva. A questo punto bisognerebbe capire dove finisce il concetto di "privato" su piattaforme digitali che di fatto, quale che sia il tipo di scambio o condivisione di dati, si impossessano della mole di byte scambiati sui propri server. E' vero, si tratta di informazioni teoricamente chiuse e che dovrebbero restare confidenziali tra un solo mittente e un solo destinatario, ma questa sicurezza non ce la può fornire nessuno, e dunque bisogna fidarsi di questi giganti del Web. I dati digitali, per la propria natura, sono un inchiostro praticamente indelebile, a maggior ragione se trasmessi attraverso sistemi di comunicazione a distanza: considerando le ultime vicende relative al monitoraggio dei dati - ufficialmente per motivi di sicurezza - da parte di organizzazioni governative (non ultima quella che punta il dito contro noti smartphone facilissimamente monitorabili in tutte le loro attività - beh, e dove sarebbe la novità?) il confine tra comunicazione privata condivisa con attori sempre più invisibili quanto presenti è sempre più sottile. Non per questo, meno preoccupante.