lunedì 28 ottobre 2013

UNA QUESTIONE DI STATUS

Esistono tanti tipi di utenti di Facebook, forse tanti quanti sono gli utenti stessi: perché in fondo ognuno si crea la propria esperienza di interazione sul vostro social network preferito. In linea di massima, tuttavia, ci sono due grandi categorie: gli utenti attivi e quelli passivi. La differenza sta nel grado di contenuti prodotti, indipendentemente dal fatto che questi siano testi, foto, like: e per ogni persona che crea un contenuto, molti altri utenti stanno lì a guardare e/o a leggere, e basta. Ovviamente è dai primi che Facebook trae il massimo in termini di profitto, poiché non solo gli utenti attivi fanno "girare l'economia" (se scrivi capirò meglio chi sei, e quindi ti piazzerò delle belle pubblicità miratissime), ma perché alimentano sempre più la base di dati presente su FB. Anche gli utenti più attenti, quelli magari che pensano bene prima di scrivere qualcosa, possono cadere nella trappola: lo status update (ma anche una semplice foto del profilo) può dire molto di più rispetto a quanto pensiate. Già, perché davvero ogni singola parola può rappresentare un piccolo tassello che si aggiunge al puzzle della vostra identità digitale: e parola oggi parola domani, i cervelloni digitali ricostruiscono un manichino dalle fattezze molto, molto accurate. Certo, nei quartieri generali di Facebook non ci si mette lì a scandagliare manualmente tutti i pensierini del giorno: ci pensano sofisticati algoritmi, e man mano che si va avanti (con la tecnologia certo, ma anche con la base di dati rappresentata dal corpus di informazioni presenti sul social network) la sottile linea che separa l'intenzione umana dall'interpretazione meccanica si fa sempre più sottile. Insomma, Facebook punta a diventare un vero e proprio utente aggiunto, in grado di leggere, interpretare, agire e reagire. A senso, anche meglio di parecchi utenti che girano su FB.

2 commenti:

Benedetta Spampinato ha detto...

Mi presento: mi chiamo Benedetta e seguo il tuo blog da almeno due anni.
Non ti è mai stato detto/scritto. Questo perché anche il semplice blog annulla il concetto di identità.
Sono una ragazza in crisi, non mi vergogno di dirlo, ho fin troppo a cuore la coscienza, la realtà che, spesso, mi diventa nemica.
Ecco, il mio odio contro Facebook è sorto quasi quattro anni fa. Ero iscritta al famoso social network ma, ad un certo punto, mi si è aperta una finestra da cui entrava tanta libertà, tanta voglia di eliminare la paura e la tristezza. E Facebook mi rendeva triste, profondamente inferiore rispetto alla realtà. Il primo periodo era puntato alla ricerca di me stessa, sono cambiata davvero. Ho recuperato un po’ di attenzione, di ricerca, voglia di andare oltre. Dopo qualche anno, è cominciato per me il tormento: ossessionata dal fatto che Facebook fosse il male del nostro secolo, andavo in giro chiedendo alla gente il perché di tanto attaccamento, il motivo del “non posso stare senza Facebook”. Mi dicevano (e ancora mi dicono) che dipende dall’uso, come tutti i beni di consumo, che è utile per certi versi in quanto accorcia le distanze, che questo è il futuro.
Era diventato (ed è tornato ad esserlo) un tarlo, un pensiero ossessivo su me stessa. Pensavo di non piacere alle persone (cosa che, poi, mi viene totalmente smentita dalla realtà) perché non c’ero dentro, pensavo di essere considerata “diversa” perché, cercando il mio nome, gli altri non potevano trovare il profilo corrispondente. Mi sono avvicinata a Pier Paolo Pasolini, Orwell, Huxley, Marcuse. Ho scritto la tesina del mio diploma proprio sull’alienazione dell’essere umano citando, tra le mille cose, il Social Network per antonomasia.
Adesso sono più grande, vado all’università, ma continua a tornarmi in testa la famosa ossessione. Ho capito che, magari, non mi cambierebbe tanto la vita riscrivermi su Facebook.
Fa girare l’economia, è vero, ma che dire di Twitter, di Blogspot, degli oggetti di consumo che ogni giorno compriamo come se fossero cose nostre?
Non siamo pronti a questo cambiamento, ma credo che non lo fossero nemmeno negli anni Cinquanta quando, in modo assai intrusivo, la televisione entrava a far parte delle nostre case.
Insomma, sono diventata di gran lunga moralista, perché ho fatto dipendere svariate sfaccettature della realtà da questo mezzo di informazione(?).
Non ho ancora Facebook, ma sono arrivata a pensare che dobbiamo tener fronte al radicale mutamento, cercare di rivoluzionare il futuro.
Lo odio ancora, davvero, vorrei che non ci fosse, ,ma non funziona la locuzione “io non ci sto perché il mondo deve cambiare”, siamo in collettività.
Insomma, a chi lasciare le redini di tutto questo?
Tirarsi indietro? Non credo più abbia molto senso, la lotta vien da dentro.
Historia insegna.

Confido in una risposta.
Benedetta

kikkuzzo ha detto...

Ciao Benedetta,

grazie per il tuo intervento (e per il fatto che segui da così tanto tempo il blog)!
Hmm, non sei il/la primo/a che mi dice di avere "problemi di identità" legati all'uso - personale e collettivo - di Facebook. Ma tant'è, tocca adeguarsi alla situazione, secondo me senza troppi eccessi (ma questo varrebbe per tutto e tutti).
Ecco, appunto: il detto "dipende dall'uso" è davvero l'ottica attraverso cui si può misurare l'interazione online a vari livelli, ma il problema è che l'esperienza personale va spesso a cozzare con quella degli altri, soprattutto se quest'ultima altro non è che una semplice e dissimile rappresentazione della controparte reale. Insomma, il dover essere "qualcuno" in rete sta non dico superando, ma si sta senz'altro facendo spazio se confrontato con la controparte "reale" di noi.

Su una cosa dissento: paragonare blog e/o Twitter a Fb è hmm, come dire, una cosa un po' semplicistica, perché i primi due non sono forzatamente legati al concetto di identità; ragion per cui si può imparare e conoscere da altri senza conoscerli davvero, arricchendo(si) dal punto di vista intellettuale poco a poco. Non che non lo si possa fare su Fb, eh, per carità: certo, lì mi pare di aver capito che tocca soppesare i pro e i contro, e poi rapportarsi con gli altri e con se stessi, in primis. Mica facile, insomma!

La lotta vien da dentro? Beh, lottare per queste faccende è cosa nobile, se serve a rivoluzionare il futuro (personale e non)! :D

Grazie!