lunedì 26 agosto 2013

MAL(WARE) COMUNE...

Il brutto e il bello di avere una comunità interconnessa composta da un miliardo e passa di persone è che tutto - ma proprio tutto - si può condividere, anche per fini poco benevoli. Insomma, quale miglior mezzo per diffondere un bel virus se non attraverso il vostro social network preferito? Capita dunque che in molti, vedendosi taggati da qualche amico o presunto tale, abbiano cliccato su un link malevolo che comporta l'installazione di un malware il cui obiettivo è quello di provare a intrufolarsi nei computer degli ignari utenti, la cui colpa è stata "solo" quella di credere di aver ricevuto un messaggio da uno dei propri contatti. Facile dire "ma si vede lontano un miglio che era un link fasullo": vero, ma non è vero in toto, dato che questa apertura verso i sistemi digitali a tutti - ma proprio a tutti - ha giocoforza abbassato la competenza media nei confronti della gestione di prodotti informatici e dintorni. Insomma, anche uno su un milione può aver cliccato su quel link: amplificate la proporzione fino ad arrivare a un miliardo (e più, visto che anche Twitter e tutte le reti sociali sono terreno potenzialmente fertile per la diffusione di questi virus), capirete allora quel brutto e bello di far parte di una grande famiglia pronta, suo malgrado, a complicarvi la vita digitale.

venerdì 23 agosto 2013

CHE D(I)RITTO!*

Con che diritto si può dire che Internet è un diritto? Beninteso, parliamo di una delle più grandi rivoluzioni del mondo moderno, di un mezzo indispensabile, di una risorsa senza la quale molti di noi si sentirebbero assolutamente persi, di una tecnologia che anche inconsapevolmente è spesso parte della nostra vita e delle nostre vite (digitali e non). Il punto è anche chi afferma che Internet debba essere considerato un diritto dell'umanità: detto da qualche persona ben nota per le azioni filantropiche è un conto, se invece è detto da chi grazie a Internet ha un conto a nove (ma perché no, anche 10 o 11) zeri, beh, allora l'affermazione potrebbe celare qualche non-troppo-celato interesse.
Capita dunque che a capo dell'iniziativa Internet.org ci siano una serie di importanti multinazionali che grazie ad Internet - in maniera diretta grazie a servizi, in maniera indiretta grazie a dispositivi che garantiscono la connessione - hanno fatto e fanno una fortuna. Non può certo mancare all'appello sua maestà Mr. Facebook: d'altronde, il vostro social network preferito non può che combaciare nell'immaginario collettivo con l'idea stessa di Internet (ahinoi). Insomma, se l'obiettivo dell'iniziativa è quello di connettere tutti con tutti, ovunque e senza soluzione di continuità (in alcuni casi una minaccia, più che una risorsa), allora Facebook proprio non poteva mancare. Il punto è capire se dietro questa iniziativa ci sia la volontà di fare davvero del bene o semplicemente quella di far sì che tutti possano fruire di un servizio che genera (tanto) denaro nelle tasche dei soliti noti. Considerando chi si erge a paladino di questo "nuovo diritto" il legittimo sospetto nasce quantomeno spontaneo.

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martedì 20 agosto 2013

VIOLAZIONE DI 'DOMICILIO'

Cosa succede quando si bussa ad una porta armati di buonissime intenzioni e nessuno ti apre? E tu - sempre armato di buone, buonissime intenzioni - ci riprovi sapendo che hai bussato ad una porta che ospita un condominio da un miliardo (e passa) di persone, ma continui a non ricevere risposta alcuna? Finisci che provi a lasciare un messaggio all'amministratore, e in mancanza di una casella di lettere provi ad attaccare un messaggino alla sua porta. Di tutta risposta il pacifico tentativo si rivela una vera e propria intrusione, con tanto di conseguenze da pagare. Ora, non ci sono porte fisiche e non esistono veri condomini (e condòmini) così grandi: basta spostarsi nella terra del virtuale, e nello specifico tra le pagine e bacheche del vostro social network preferito per avere la storia di uno sviluppatore informatico palestinese che ha individuato un bug in Facebook e l'ha segnalato al team preposto per questo genere di inconvenienti. Non si tratta di solo amore per la propria privacy (e per quella altrui), visto che per l'individuazione di falle in FB è previsto anche un piccolo premio in denaro: tuttavia, queste segnalazioni sono state ignorate dagli sviluppatori del sito. Per provare la bontà della sua scoperta, il ragazzo ha così "osato" scrivere sulla bacheca di Mr. Facebook in persona, pur non avendo le necessarie autorizzazioni per farlo. Apriti cielo: in poch(issim)i minuti lo sviluppatore ha ricevuto in dono un ban (temporaneo) da Facebook per aver violato i termini e le condizioni di utilizzo. E ma d'altronde non si può mica scrivere al "grande capo" per segnalargli delle cose che non vanno: la bacheca è solo 'sua' (e ci pensa lui a scrivere cose sconvenienti), ed è vietato bussare.

giovedì 15 agosto 2013

UNA "STORIA" ALTERNATIVA

Chissà come la prenderà il Signor Facebook se dovesse scoprire la presenza di questi account fasulli, ma l'idea di per sé è geniale, va detto. E chissà, è possibile che si possa trattare di un nuovo modo per fare didattica e (ri)avvicinare gli studenti a materie da odio/amore come la Storia. Fatto sta che alcuni eventi mitico-storici del nostro passato sono stati rivisitati secondo la logica del vostro social network preferito, tra status update, like, botta e risposta e eventi improbabili. In realtà già si è parlato di una ricostruzione del genere, ma qui e lì per la Rete si trovano altri esempi assolutamente godibili, dalla preistoria agli eventi più recenti. Ma la ricostruzione degli eventi della Seconda Guerra Mondiale (via Corriere), beh, li supera tutti. Di sicuro farà storia.

lunedì 12 agosto 2013

E SENTIRNE LA "VACANZA"

Cosa accomuna un bagnante sott'acqua (beh, facciamo sotto l'ombrellone) e uno scalatore sulla cima di una vetta? Semplice: il desiderio di voler (dover) condividere tutto quel che si fa con la più vasta base di amici. Già, perché si chiamerà anche vacanza, ma proprio non ci si riesce a staccare da computer e telefoni per connettersi a social network e affini. Certo, i tempi sono cambiati e gli strumenti digitali sono diventati una naturale appendice del nostro ego: ma, come al solito, resta da capire in che misura questi siano strumento utile o dispositivo per rimanere ossessivamente connessi con la socialità virtuale. E quindi si scopre che la connessione alle agorà virtuali (con il vostro social network preferito in testa, ovviamente) avviene perché si avverte una sorta di paura digitalmente atavica - il cosiddetto FOMO -, senza contare che per molti la condivisione delle proprie attività (ma proprio di tutte le proprie attività) è tradotta con il termine smoasting, ossia il vantarsi dei posti in cui ci si trova o delle cose che si fanno - e solo per ricevere poco utili (e spesso molto ipocriti) pubblici commenti di amici di amici di amici, con il rischio addirittura di risultare antipatico.
Insomma, non si riesce proprio a staccare la spina neanche a ridosso di Ferragosto: troppo importante l'attività di pubblicazione di status update scintillanti che rispondono fin troppo bene alla domanda Cosa stai facendo?. Se proprio non si riesce a fare a meno dei social, almeno in vacanza si spera che si possano usare di meno...

venerdì 9 agosto 2013

LA CONDIVISIONE? NON "PAGA"

C'è poco da fare: in alcuni - in molti ormai, invero - la mania di condividere tutto a tutti travalica i confini di ogni buon senso e logica. Questione anche di genoma o di evoluzione (?) della specie umana, probabilmente. Ché condividere le cose farebbe anche bene, ma occorre criterio di scelta di contenuti e destinatari, altrimenti si rischia di sfociare nella banalità e nella pochezza, oltre che di subire conseguenze anche gravi. Il rapporto con il mondo di lavoro, ad esempio, è un esempio lampante: già in passato si è parlato di licenziamenti dovuti ad inadempienze correlate alle attività digitali dei lavoratori o addirittura di episodi in cui il vostro social network preferito diventa canale "ufficiale" per l'interruzione del rapporto di lavoro. E la condivisione di dati sensibili o di episodi lavorativi divertenti può essere fatta con tutte le buoni intenzioni di questo mondo, ma dall'altra parte dello schermo ci può essere qualcuno che non condivide - nel senso che non approva - la scelta e, con il coltello dalla parte del manico e un'inadempienza contrattuale da rivendicare, è pronto a citare un post o un'immagine per licenziare il lavoratore o la lavoratrice di turno. Due gli episodi accaduti negli ultimi giorni: il primo racconta di un impiegato di un noto negozio di New York che, evidentemente non pago della sua situazione, ha pubblicato su Instagram la foto della sua busta paga (ma con effetto artistico, altrimenti che la posti a fare?). Risultato? La foto del cedolino è arrivata dritta dritta sulla scrivania del responsabile delle risorse umane, il quale ha dovuto constatare l'inadempienza dell'impiegato in materia di divulgazione di informazioni aziendali. Nonostante si trattasse di un profilo privato, evidentemente l'uomo non ha privato dell'amicizia su Instagram qualche collega o superiore, e così è arrivato il licenziamento.
Il secondo episodio narra di un licenziamento duplice per via di un gruppo Facebook in cui gli addetti alle vendite raccontavano episodi divertenti relativi al (sempre particolare) rapporto con i clienti. Anche questa pagina è arrivata agli occhi del responsabile di turno che ha poi convocato gli amministratori del gruppo per comunicare loro l'interruzione del rapporto di lavoro. In realtà sembra misura troppo severa, soprattutto se gli episodi narrati non divulgano foto di persone ritratte senza autorizzazione o dati sensibili come nomi e cognomi. Ma tant'è, evidentemente il capo non ha tollerato certi atteggiamenti e le persone in questione hanno imparato la lezione a caro prezzo. Anche se, va detto, la loro frustrazione è quantomeno...condivisibile.

giovedì 8 agosto 2013

IL GIOCO PIU' BELLO DEL MONDO

Non c'è oggetto che richiami o che faccia riferimento al vostro social network preferito. Già, perché creare qualcosa con le sembianze o le effigi di Facebook è non solo una moda, ma con tutta probabilità anche un lucroso business. E pazienza se si tratti di un prodotto ufficiale o meno, o se si tratti di una tenda da bagno, di un letto, di una "semplice" maglietta o persino di una macchina: un pollice alzato o una "f" blu e il richiamo è immediato.
Cosa manca? Beh, un'alternativa ce la fornisce un designer, Pat C. Klein, il quale ha creato la replica in salsa Facebook del gioco da tavolo più popolare (e bello, ma questa è dichiarazione a Risiko) del mondo contemporaneo, ossia il buon vecchio Monopoly. Ne vien fuori un gioco in cui non ci si barcamena più tra Vicoli Stretti e Parchi della Vittoria, ma tra sospensioni di account, gli immancabili like e richieste (o cancellazioni) di amicizia. Obiettivo del gioco? Quasi una provocazione, ossia quella di "spingere" alla socializzazione vis-à-vis, anziché quella virtuale. E questa, forse, la possono dare solo i vecchi giochi da tavola, nonostante i richiami a FB.