mercoledì 19 dicembre 2012

"SCATTO" D'IRA

Ancora Instagram al centro della bufera, e stavolta il caso ha travalicato i confini della semplice notizia per gli esperti del settore. Già non molto tempo fa era stato evidenziato come la condivisione troppo "spinta" di elementi non parlanti (almeno in senso testuale) come le fotografie avesse permesso ad un gruppo di ricerca di associare un luogo preciso ad ogni foto taggata geograficamente. Ora la Rete si sta scatenando per protestare contro l'ultima decisione di questo popolare e fortunato social di cambiare le regole delle condizioni d'uso del servizio che prevederebbe l'utilizzo e lo sfruttamento delle foto degli utenti per fini commerciali. In altre parole, le foto che vengono caricate su Instagram potrebbero diventare di proprietà legittima dei creatori del servizio e quindi essere rivendute per fini pubblicitari senza il consenso dell'autore iniziale. Apriti cielo: è scattata la rivolta degli utenti per difendere il loro diritto di essere proprietari dei propri sacri scatti, minacciando di abbandonare il servizio prima del 16 gennaio, data di introduzione delle nuove regole. Sarà bastata la ribellione, ma il giorno dopo è arrivata la smentita, o meglio la rettifica della situazione: Instagram non venderà le foto degli utenti, abbiamo capito male (maledetto legalese, vero?). Tutti contenti e felici? Macché.
Perché bisogna tenere a mente sempre una cosa: i social network gratuiti non vivono d'aria, vivono grazie alle informazioni inserite dagli utenti. E non si parla di guadagno con il criterio "un tot ad utente", si parla di un guadagno attraverso la rivendita (o l'utilizzo smodato) dei dati sensibili e personali. E poiché la presenza su un dato social è (ancora) su base volontaria, l'utente deve essere consapevole della scelta che fa. D'altronde caricare fotografie su spazi altrui significa - piaccia o non piaccia - che la "proprietà" (anche solo fisica sui server) non è più nostra, o almeno non solo. Basterebbe solo questo per evitare le polemiche inutili di chi si sente tradito o subodora la possibilità che qualcun altro faccia soldi con le proprie "creazioni", di chi grida allo scandalo perché "sarebbe grave rivendere le immagini di bambini" senza averci pensato quando ha voluto condividere col mondo quello scatto. E' incredibile come la massa si accorga dei limiti di questi strumenti solo quando questi ultimi fanno il loro dovere, cioè fare business.

Solo il tempo ci potrà dire se il social network della fotografia da cellulare terrà salda la sua base di utenti, se introdurrà pubblicità o se si inimicherà la community. Rimangono solo due postille, che forse saranno dimenticate per via di questa smentita ma che non sono così accessorie. La prima: Instagram è stato acquisito da Facebook, un'azienda che fa degli utenti e della pubblicità che ne deriva la propria linfa vitale. Sembra quasi logico che il figliol prodigo si comporti come la creatura madre, senza contare che molte delle persone che hanno lamentato il cambio di rotta di IG sono le stesse che poi caricano album interi sul vostro social network preferito, non capendo che la differenza (commerciale) tra i due tipi di upload è praticamente nulla. La seconda: Instagram non "toccherà" la proprietà delle foto, ma concentrerà i propri sforzi di profilazione e rivendita pubblicitaria sulle attività dei suoi utenti, ossia attraverso i loro tag, le loro geolocalizzazioni, i loro like. Ossia, a voler pensare, attraverso un metodo più subdolo, ma legittimo. Il classico modello di business.

lunedì 17 dicembre 2012

IL TUO MONDO, LE SUE REGOLE*

Arriva la fine del mon...dell'anno ed è (il solito) tempo di bilanci. "Custodi" delle ricerche della Rete sono senza dubbio i motori di ricerca, e rivivere un anno attraverso le query è senza dubbio interessante, curioso e a tratti anche emozionante. Ma se volete un riassunto personalissimo delle cose, beh, allora bussate ai social network, troverete porte spalancate. Facebook non si tira certo indietro: da qualche giorno sulle migliori bacheche del vostro social network preferito è comparsa una notifica che vi avvisa che il vostro resoconto annuale è bello pronto per essere sfogliato e condiviso. Guarda il tuo 2012 in breve è generato automaticamente e riassume - senza errore alcuno - gli avvenimenti più importanti che hanno riguardato le vostre interazioni con il social network. Nuove amicizie, numero dei like, i momenti più importanti: c'è tutto, il vostro anno può essere tramandato ai posteri.
Una lodevole iniziativa, senza dubbio, almeno per quanto riguarda la fidelizzazione con l'utente (come se ci fosse bisogno). Ma quanti di voi hanno avuto la sensazione non solo di essere etichettati in base ad una serie di numeri, ma anche di essere catalogati in senso più generico? Chi ha pensato che quando meno te lo aspetti il sistema è lì, pronto a generare in un attimo un profilo assolutamente preciso? E che certezza v'è del fatto che questo "pacchetto" sia pronto per essere spedito a chissà chi, chissà dove? In realtà Facebook non è l'unico "colpevole" di questa generazione di dati iper-personali, poiché anche Twitter (peraltro affidandosi ad un'entità terza) fornisce praticamente la stessa funzione, ma a che costo (in termini di riservatezza dei propri dati)? Trecentosessantacinque giorni sono tanti: (ri)scoprire cose forse un po' sopite è davvero necessario?

*

TU(I)TTI IN TRIBUNALE

Su Il club de La lettura, appuntamento domenicale di Corriere.it, compare un articolo che parla ancora una volta del modo in cui i social media da strumenti di comunicazione di massa si possono rivelare delle trappole per informazioni e frasi scritte con troppa superficialità. L'ottimo articolo, da buona lettura domenicale, fa il punto a proposito del modo in cui status update e tweet (e anche retweet, ossia cose solo "citate" di altre persone) possono danneggiare la propria immagine ma soprattutto quella altrui: in particolare, si prende in considerazione il crescente tono di dichiarazioni a mezzo digitale che incitano alla denigrazione e all'odio di vario tipo, soprattutto nei confronti delle persone o di talune istituzioni (l'odio paventato nel titolo di questo blog è più di rassegnazione e riflessione, prima che lo si faccia notare), ed è sempre più frequente l'impugnazione di screenshot nei tribunali come prove certe e digitalmente inequivocabili della lesa reputazione altrui. Perché le cose scritte su Internet (spesso in forma anonima) sono gesti spesso fatti con leggerezza, quasi fosse giustificato poterlo fare: poi magari il 99,9% delle persone che ha "osato" frasi pesanti nei confronti di qualcosa o qualcuno difficilmente ripeterebbe la stessa cosa davanti al diretto interessato. Ma tant'è, sono le leggi non scritte della Rete, quella che come al solito fornisce un potenziale infinito...e un uso spesso troppo limitato.

lunedì 10 dicembre 2012

(FOTO)CAMERA CON VISTA

Conoscete Instagram? Simile a Twitter per la sua logica di follower e affini (e infatti è recentissima la notizia della "separazione" fra le due applicazioni), si tratta di un social tutto dedicato alla fotografia "di consumo": già, perché l'obiettivo di Instagram è condividere ciò che passa da...l'obiettivo dei propri smartphone. Quante situazioni, quanti scorci, quanti paesaggi avremmo voluto immortalare immediatamente qualche anno fa? Bene, con i moderni cellulari con fotocamera integrata ora è possibile scattare un'istantanea in un attimo, e con questa applicazione è possibile condividerla con il mondo intero. Votata migliore applicazione 2011 nientemeno che da Apple, Instagram è ora disponibile per una gamma più vasta di telefoni evoluti: si tratta di un social network molto poco identitario poiché non è richiesto l'inserimento della propria anagrafica completa (al contrario del vostro social network preferito), e anzi è forse più soddisfacente interessarsi agli scatti di gente completamente sconosciuta a cui si è legati solo per via di una passione fotografica o un soggetto in comune.
Ma, neanche a dirlo, è sempre importante l'uso che si fa degli strumenti. In realtà tra tag, descrizioni dettagliate, dettagli stessi della foto e soprattutto geolocalizzazione è possibile "rintracciare" un utente o ca(r)pire qualche informazione aggiuntiva. Se poi questa mole di informazione si incrocia con precisione con altri strumenti di posizionamento, ecco che l'insidia si nasconde dietro l'angolo.
Alcuni "smanettoni" della Rutgers University, New Jersey (USA), hanno creato il progetto The Beat, ossia la commistione di scatti pubblicati su Instagram e la (precisa) localizzazione attraverso Google Street View. Il fine è quello di associare una location dettagliata agli scatti che dicono poco del luogo in cui ci si trova. Il bello (per modo di dire) è il modo in cui il sistema riesca ad associare foto di interni ai rispettivi domicili, generando così un leggerissimo problema di privacy. Considerando che non tutti fotografano paesaggi lacustri o cieli (extra)terrestri ma scene di vita domestica e (una volta) privata, la prossima foto da un cellulare potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang. Pensateci, prima di associare un luogo ad una foto: vista la potenziale pericolosità della cosa, è meglio evitare tale esposizione.

venerdì 7 dicembre 2012

MESSAGGERO DI GUERRA

Avendo ormai consolidato la sua affermazione nella parte più "statica" della Rete, Facebook si appresta ad attaccare un nuovo segmento della trasmissione globale di dati. Se infatti il sito normale genera introiti e connette persone in tutto il mondo, è vero anche che il prossimo passo del vostro social network preferito (e di Internet, più in generale) è lo sviluppo dei contenuti mobile, ossia quelli fruiti attraverso smartphone. Segmento, questo, potenzialmente simile alla sua controparte "desktop", ma con qualche importante differenza, ad esempio la diffusione dei micro-pagamenti - cifre irrisorie, ma frequenti e dunque utilizzati da un bacino d'utenza larghissimo - e la quasi impossibilità di diffondere messaggi pubblicitari per via di risoluzioni video troppo ridotte e sistemi operativi diversi da quelli tradizionali.
Il mercato in mobilità, dunque, è la nuova frontiera, e Facebook è agli albori dello sviluppo di contenuti in tal senso. D'altronde, riflettendo un momento, smartphone o cellulare hanno alla base un dato sensibile che più sensibile non si può, vale a dire il numero di telefono associato ad ogni dispositivo. Logico pensare che le grandi aziende facciano a gara per accaparrarsi questa importante sequenza di numeri: e in maniera diretta o indiretta, anche FB potrebbe essere in grado di mettere in fila un nuovo, infinito elenco telefonico. Le strade - stando alle ultime news - sono due: la prima parla di un possibile acquisto da parte di FB della ormai (arci)nota applicazione Whatsapp (no, non quella della pubblicità) che permette di scambiare messaggi praticamente gratis. Beh, proprio gratis no, perché bisogna concedere a questa applicazione la lettura del proprio numero di telefono. Ora, se è vero che l'azienda in questione giura di non usare i numeri per fini "terzi", è vero anche che con un possibile acquisto da parte di Facebook la questione potrebbe cambiare radicalmente, poiché unirebbe questo dato a tutti i dati già presenti (degli iscritti) nel suo immenso database. E c'è da scommettere che l'acquisizione del servizio a suon di soldoni non sarebbe fatta solo per generosità nei confronti degli sviluppatori dell'applicazione. La seconda via di fatto annulla la precedente, anzi la sfida: sempre negli stessi giorni è stata aggiornata l'applicazione Facebook Messenger, ossia una versione lite di FB che contiene solo il servizio di messaggistica istantanea. Con quest'ultimo update, tuttavia, viene introdotta una novità: si potrà accedere a questo servizio Facebook anche senza essere iscritti al social. Sembra incredibile, ma è vero. In realtà, per l'accesso, servirà solo la concessione del proprio numero di telefono e la chiacchiera e bella e servita. Solo il numero di telefono? Allora è evidente che si tratta di un dato con potenzialità commerciali infinite. D'altronde basta immaginare quanti numeri di telefono siano sparsi nel mondo: come sempre, una questione di numeri.

giovedì 6 dicembre 2012

NON RESTARE CHIUSO QUI...

Come cambia il modo di comunicare al tempo dei social network? Beh, è indubbio che il binomio Internet + componente social abbia allargato la base di utenza e abbattuto confini temporali e spaziali, creando una Rete delle Reti che tende ad espandersi su scala globale. Certo, poi ci si imbatte in improbabili status update, tentativi (spesso riusciti) di violenza della lingua, deliri mattutini e/o pomeridiani e/o serali e/o notturni, opinioni più o meno autorevoli e dichiarazioni forti. Sì, la Rete ha permesso a tutti - ma proprio a tutti - di esprimere la propria opinione, giusta o sbagliata che sia, sia questa con cognizione di causa o completamente fuori luogo.
Ai tempi dei social, tuttavia, cambia anche il modo di (s)ragionare, di pensare. E' una questione biologica, di adattamento del cervello: il numero degli studi scientifici in tal senso è destinato ad aumentare, e la questione non riguarda soltanto bacheche e like, ma più in generale il (nuovo) rapporto tra il genere umano e le macchine, o con la riorganizzazione digitale dell'informazione.
Ma, come spesso accade, c'è sempre l'uomo dietro ogni piano. E non stupisce affatto leggere un articolo che parla dei prossimi obiettivi di Facebook nel prossimo futuro in cui si delinea uno scenario piuttosto discutibile, visto sotto un certo punto di vista. Protagonista rimarrà sempre l'utente del vostro social network preferito, posto in relazione con ciò che scrive e ciò che compie tra le pagine di FB e dintorni. Sul sito di Jack (già, quello del messaggio martellante) compare un'intervista al capo del progetto Open Graph, vale a dire la piattaforma di sviluppo - e controllo, non dimentichiamolo - delle applicazioni che si interfacciano sempre più con Facebook. Open Graph permette un monitoraggio a tutto tondo delle informazioni che vengono lasciate sul social network: è lo sfruttamento del dato digitale all'ennesima potenza, è l'ennesima dimostrazione di quanto sia facile carpire tanto di voi e manipolare il risultato per fini commerciali - se non peggio.
I fini dell'operazione? Sconfinati, come il potenziale dello strumento in questione. Per ora non si arriverà alla lettura del pensiero così come esplicitato a nove colonne dall'articolo citato, ma in fondo si farà qualcosa di simile, poiché i vostri pensieri (intesi come informazioni che scrivete, siano questi aggiornamenti di stato, commenti o post) saranno letti, interpretati e (ri)utilizzati per una profilazione talmente precisa che non sbaglierà neanche una virgola. Una vostra virgola.

martedì 4 dicembre 2012

QUANTE "STORIE"...

Armatevi: dal profondo nord parte una nuova battaglia. I popoli dell'Europa settentrionale - gente fumantina  : ricordate i Vichinghi? - stanno preparando una class action contro Facebook. Il motivo? La loro avversione nei confronti delle cosiddette sponsored stories, ossia un modo remunerativo (per Facebook e per i grandi marchi) di sfruttare la vostra innata propensione al like compulsivo. La loro tesi difensiva? Facebook "impone" dei messaggi pubblicitari contro la nostra (vostra) volontà.
Non vorrei essere nei panni della commissione in grado di giudicare se i norreni digitali avranno ragione a dover rivendicare un diritto su una piattaforma altrui. Perché, in fondo, si tratta di questo: perché gli utenti dovrebbero manifestare una richiesta di questo tipo in questa forma? Chi obbliga loro a riversare tutta la loro vita fatta di pensieri, parole, like e foto sul vostro social network preferito? Data la (apparente) gratuità del servizio e l'accettazione dei termini d'uso, il discorso non parrebbe avere storia. E' una dittatura volontaria, non una democrazia. E la soluzione, in questi casi, è solo una: no, non è protestare. E' abbandonare il drakkar

lunedì 3 dicembre 2012

LE PAROLE SONO IMPORTANTI*

Come ogni anno giunge dicembre (ma potrebbe essere l'ultimo, anzi forse no) e si cominciano a tirare le somme dell'anno che sta per essere archiviato. Anche i grandi gestori del sapere digitale non sono da meno, ed è ormai consuetudine che i grandi motori di ricerca ci delizino con la lista dei termini più cercati sui loro oracoli. In realtà è abbastanza affascinante scoprire e confrontare il modo in cui cambia la ricerca e il modo di ricercare da parte degli utenti, perché i grandi temi (e le relative ricerche) cambiano di anno in anno, a seconda di questo o quell'evento. Certo, non sorprende vedere ancora una volta (fonte: Yahoo!) che Facebook sia ancora in cima alle parole più cercate, e a distanza di tre anni il trend sembra non scemare. A mente fredda, tuttavia, sorprende un pochino vedere sempre quella parola in cima: perché la gente cerca la parola Facebook (e Twitter)? Per accedervi? E i preferiti esisterebbero solo per fare presenza? Gli altri termini hanno un senso perché sono più "dinamici" (cioè possono essere ricercati più volte ottenendo risultati diversi) o fanno riferimento a persone o cose che nel corso dell'anno si sono distinte per particolari situazioni: perché il meteo cambia ogni giorno, l'oroscopo (se ci credete) pure, i programmi tv sono sempre diversi (hmm, più o meno), la politica nel bene e nel male si alimenta di personaggi rappresentativi della situazione attuale (oddio, ci sarebbero anche vicende extra-politiche, ma credo sia - a ben donde - più una ricerca relativa alla sezione immagini), perché - ahimè - cercare notizie drammatiche talvolta è inevitabile, perché un computer in fondo sa calcolare meglio di noi, perché gli oggetti indispensabili sono desiderati a tutti i costi (è proprio il caso di dirlo). Ma perché si cerca il vostro social network preferito pur sapendo benissimo dove si trova? Misteri della Rete, misteri ricorrenti di ogni fine d'anno.

Ps. *

giovedì 29 novembre 2012

"GIUDICATE" VOI...

La mania da cinguettio contagia tutti, anche i più insospettabili. Anzi, forse proprio i più insospettabili. Circa un anno fa era balzata agli onori delle cronache la vicenda di un processo da rifare a causa di una giuria un po' troppo digitalmente attiva, chiacchierona e distratta. Ovviamente non c'è limite al peggio, e i colpevoli stavolta si trovano dall'altra parte dello scranno: già, perché pare che lo scambio compulsivo di tweet stavolta sia avvenuto tra due giudici francesi. In linea teorica non ci sarebbe nulla di male, a meno che non avessero rivelato qualche segreto processuale, o che avessero effettuato questo scambio pubblico di informazioni durante il processo: in quest'ottica le cose cambiano prenderebbero una piega un tantinello diversa. Insomma, come sempre è facile varcare la soglia tra l'uso ragionato e quello spropositato, quello dentro i canoni e quello fuori luogo. E come sempre c'è sempre chi usa troppo questi strumenti e chi magari troppo poco. Vero è che nelle stanze dei tribunali la situazione è abbastanza precaria: quasi quasi vien voglia di proporre i social come nuovi atti ufficiali. D'altronde, di esperti nel campo ce n'è in abbondanza.

mercoledì 28 novembre 2012

NU-TELL ME ABOUT IT...

Al giorno d'oggi il pulsante like è ovunque, e la cosa che dà da pensare è che si trova praticamente su quasi ogni pagina Web, dunque anche (e soprattutto) al di fuori dei confini del vostro social network preferito. Quella che ormai è diventata una componente praticamente abitudinaria dell'esperienza online di molti è in realtà non solo un'occasione per misurare la popolarità di un sito, ma anche un modo per incorrere in spiacevoli inconvenienti. Già, perché non tutte le pagine Web rappresentano fonti di informazione a cui vogliamo accedere: capita - volontariamente o quasi - di imbattersi in pagine pubblicitarie a nostra insaputa che pubblicizzano con fine ingannevole questo o quel prodotto. Chiariamoci: di messaggi ingannevoli ne è piena la Rete, e tra spam & scam (Facebook non ne è esente, of course) in molti c'è quasi una paura recondita di far danni al successivo clic. Capita però che queste pagine vadano a "pescare" anche dai vostri dati, più nello specifico dalla pagina fan di una famosa crema dolciaria che impazzire-(e tassare)il-mondo-fa: attraverso questo stratagemma risulta che numerose persone - e anche i vostri golosi amici - consiglino la pagina-truffa. Il trucchetto è stato realizzato con una certa facilità: l'ennesima dimostrazione che giocare con i vostri dati personali è operazione tanto semplice quanto ghiotta.

lunedì 26 novembre 2012

AI POSTER L'ARDUA SENTENZA

Le policy aziendali, si sa, sono quelle che mantengono l'integrità di una compagnia o di un brand, anche perché queste sono la naturale rappresentazione dell'immagine che si deve fornire al grande pubblico: logico pensare che possano essere guai per chi non obbedisce a tali norme. In realtà non si deve pensare forzatamente a questi luoghi come campi di tortura, visto che molte strutture dei "grandi" sono anche gradevoli luoghi per rilassarsi e pensare a nuovi modi di fare business. Ma, come detto, quando si lavora e si deve produrre non si scherza, e il vostro social network preferito non fa eccezione. Pare che sulle pareti del quartier generale di Facebook siano comparsi dei poster che invitano cortesemente i propri dipendenti ad abbandonare i propri smartphone della Apple (a proposito di politiche aziendali senza pressione, direi) in favore di quelli con sistema operativo Android. Il motivo? Nonostante si parli di dispositivi con software sviluppato dal grande arcinemico Google, le previsioni parlano chiaro: Android ha ed avrà una fetta di mercato sempre più rilevante e Facebook su mobile è senza dubbio la nuova, ennesima fonte di introiti per l'azienda. Logico spingere cortesemente i propri dipendenti a (ri)pensare tutto in funzione del mezzo da sfruttare al massimo per migliorare l'applicazione Facebook. Ovviamente il tutto in piena libertà, spontaneamente, senza pressione alcuna, sia chiaro. D'altronde le policy sono chiare, vista l'azienda in questione. Una che ha fatto delle scelte libere e senza massificazione alcuna la sua fortuna. 


(Ultima frase da leggere con velata ironia, ovviamenTe)

domenica 25 novembre 2012

E LI ABBIAMO 'DATI' NOI...

Volontaria o meno, ci dev'essere negli ultimi tempi una strana propensione per la quantificazione del fenomeno Facebook nelle notizie che scorrono incessanti nel flow di informazione degli ultimi giorni. Un articolo apparso su Key4Biz parte dalla notizia secondo cui Facebook non interpellerà più i propri utenti in merito a determinate questioni (anche delicate come il tema privacy) al fine di ricevere feedback e migliorare l'esperienza sul sito del vostro social network preferito. La cosa fa "ovviamente" infuriare il popolo di FB (che evidentemente spera di avere voce in capitolo, quasi come se Facebook fosse una civile democrazia, ed è forse questo uno degli errori di fondo più evidenti), ma si sa che la voglia di restare tra quelle pagine e la mancanza di una vera alternativa farà in modo da non cambiare lo status quo delle vicende digitali ancora per un bel po'. L'articolo in questione in realtà sviluppa poi in modo abbastanza chiaro ed esauriente il modo in cui gli utenti della Rete lascino tanti, troppi dati in giro su siti e applicazioni varie, poco consci dell'uso che verrà fatto di queste preziosissime informazioni. E' chiaro che al giorno d'oggi è difficile, davvero difficile sottrarsi alla logica di una (più o meno celata) presenza in Rete, ma è proprio su questo aspetto che si dovrebbe insistere tra gli utenti: perché i numeri sono impressionanti, e dicono che le identità digitali sono un valore capace di far risanare i bilanci di intere nazioni (e di questi tempi....). Persino le grandi sovrastrutture come le istituzioni continentali (vedi l'Unione Europea) sono consapevoli del fatto che i dati personali debbano girare, ma con moderazione. Ma sono 'dati' in pasto ad esseri bestiali, con fauci pronte ad ingurgitare tutto.

venerdì 23 novembre 2012

AN UN-LIKE-LY BUTTON

Ci volevano la creatività e l'anticonformismo di un artista (ma non mi si chieda chi sia) per osare - è proprio il caso di dirlo - la creazione di uno strumento in grado di non far visualizzare il numero di like relativo a (ormai) qualsiasi contenuto sul Web. Si tratta in pratica di un piccolo e poco invasivo add-on, uno strumento che si aggiunge (paradossale, perché in questo caso di fatto toglie qualcosa) al proprio browser e che libera dalla tentazione di voler quantificare a tutti i costi ogni proprio pensiero o ogni condivisione più o meno forzata. Perché - lo si è detto spesso - i numeri contano fino ad un certo punto (anche se non tutti la pensano così), ma è l'ennesima dimostrazione che è una (il)logica da dover considerare a tutti i costi. E che qualcuno ha pensato bene di provare ad occultare. Un numero da artista, non c'è che dire.

giovedì 22 novembre 2012

MISTIFICAZIONI "PRIMARIE"

Sembra quasi paradossale, ma farsi una reputazione sta diventando più importante nel mondo connesso-digitale rispetto alla Realtà. Lo dimostrano i fatti di tutti i giorni, allorché le cronache ci raccontano di avvenimenti che (troppo) spesso si intrecciano con le proprie attività su social e affini. In questo tourbillon sono coinvolti un po' tutti, ma le luci della ribalta - e la ricerca continua di visibilità da mettere in bacheca - sono prerogativa dei personaggi pubblici. La politica in questo senso non fa eccezione, e anzi negli ultimi tempi ha risalito la china nelle preferenze del mondo di Internet, consapevole del fatto che le nuove agorà per attirare cittadini & elettori sono Facebook, Twitter e affini.
La notizia di questi ultimi giorni che riguarda il mondo politico nostrano parla proprio del (presunto) tentativo di "smuovere le acque digitali" con il fine di acquisire visibilità da parte di uno dei candidati alle prossime elezioni primarie di uno degli schieramenti più popolari. Il personaggio in questione è giovane e coadiuvato da uno staff abbastanza sensibile alle nuove forme di diffusione di informazione, quindi probabilmente sa come, quando e perché si deve interfacciare con la grande Rete. Capita però che gli strumenti digitali, letti con minuzia e fuori dalla logica dei grandi numeri, possano ritorcersi contro le stesse persone che l'hanno utilizzato per far credere tutt'altro, ovviamente nell'ottica della loro "presenza" online. Il mezzo utilizzato questa volta è Twitter, praticamente perfetto per orazioni politiche di poche ma efficaci parole: con la logica di follower e retweet si può avere un'idea di massima del gradimento che suscita questo o quel politico praticamente in tempo reale (una sorta di exit-poll in Rete, ma più "sentimentale", diciamo). Insomma: il politico parla e il popolo risponde, e la popolarità subisce variazioni. Il (sempre presunto) tocco di genialità è stato quello di inserire nel flusso di cinguettii anche delle opinioni negative, a dimostrazione del fatto che i politici giovani di oggi non sono permalosi e accolgono favorevolmente anche le critiche. Ma, si diceva, i numeri dicono tante cose e spesso non mentono, e qualche buon volontario della Rete (toccherebbe capire se un fan del giovane politico o meno) ha scoperto il (sempre sempre presunto) "trucco" alla base, fatto di account di Twitter molto simili fra loro in quanto a contenuti pubblicati e condivisi e con una base di seguaci praticamente creata ad hoc. Risultato? Il concetto alla base è "nel bene o nel male basta che se ne parli", ma in questo caso scripta (anzi, tweetmanent e il (sempre sempre sempre presunto) giochino è presto smascherato.
Se la scelta pagherà, solo i risultati delle vere elezioni potranno dirlo. Certo è che ancora una volta il confine tra Realtà e Finzione si assottiglia sempre più. E nel dire che il virtuale non esiste più si dovrà aggiungere che anche il Vero non lo sarà: a questi ritmi, succederà abbastanza presto.

martedì 13 novembre 2012

OTTANTA VOGLIA DI CLONARE DATI

Con un bacino di utenza pari ad oltre un miliardo di persone non stupitevi se vi ritrovaste tra gli amici qualche faccia non nota o qualche contatto poco umano: è più o meno normale. Certo, potreste selezionare le amicizie, ma in fondo un amico in più non sarà mica una tragedia, anzi... il punto è che in giro per il vostro social network preferito ci sono ben ottanta milioni di profili falsi, e il numero non è così basso, date le dovute proporzioni. D'accordo, ci sono profili falsi di vario genere: ad esempio, pagine dedicate ai propri animali, falsi contatti e amici falsi (ma per altri motivi), ma il dato preoccupa soprattutto per via di un numero di profili creati ad hoc per fini non proprio leciti. Facile pensare anche alla clonazione dell'identità, facile pensare come sia semplice, troppo semplice appropriarsi della mole di informazioni altrui per creare un alter ego e usarlo in maniera assolutamente poco legale. Un miliardo, ottanta milioni...e un (altro) buon motivo per diffidare di Facebook.

sabato 10 novembre 2012

BELLA "SCOPERTA"

Non sapendo più cosa inventare, o non sapendo più come andare a ficcanasare nei dati altrui, fioccano applicazioni e programmi che si "integrano" a vario livello con il vostro social network preferito. Talvolta - vuoi per soddisfare le esigenze particolari dell'utente, vuoi per provocazione - alcuni di questi software vanno anche un po' oltre le righe: forse tra questi va incluso anche Badabing!, applicazione per smartphone il cui "ingrato" compito è quello di cercare all'interno delle foto dei vostri amici su Facebook per selezionare solamente quelle in cui sono presenti corpi poco vestiti, ad esempio in piscina o al mare, ma non solo (ça va sans dire). In realtà, pare che l'applicazione non funzioni (ancora) benissimo, anche perché la selezione avviene cercando di "interpretare" il contenuto della foto, e non attraverso la sua descrizione. Ma si sa, con la tecnologia che spinge verso il riconoscimento dei volti per fini commerciali, si può anche puntare ad altre parti del corpo. L'ennesima dimostrazione di come lo sfruttamento dell'informazione digitale possa prendere pieghe atipiche ed inconsuete. Immaginate la faccia di chi scopre di essere stato scoperto in foto in cui era un po' scoperto.

giovedì 8 novembre 2012

PROFILO ARTISTICO

C'erano tempi in cui si doveva aver talento per poter entrare a far parte delle sacre stanze dei musei. Oggi l'arte contemporanea è sicuramente più varia di un "semplice" quadro o scultura, ma è altrettanto vero che in alcuni casi non bisogna essere artisti per essere Artisti. E allora perché barcamenarsi alla ricerca dell'opera perfetta per farsi esporre in musei di fama internazionale? Basta pensare in grande, loggarsi al vostro social network preferito, raccogliere un po' di foto degli amici e il gioco è (quasi) fatto. The profile picture exhibition è un esperimento e una sfida allo stesso tempo: raggiungere quota un milione di utenti per utilizzare le loro foto del profilo e creare un immenso mosaico di facce da esporre nei musei (veri) del globo terrestre. Obiettivo ambizioso, soprattutto se si pensa che nel momento in cui si va in stampa (ho sempre sognato di dire questa cosa) le adesioni sono solo alcune migliaia. Insomma, manca ancora un po' prima di vedere la propria faccia accanto al ritratto di un politico famoso o in sedi prestigiose. Questione di numeri, più che di talento.

martedì 6 novembre 2012

INTORTATI PER BENE

Per la categoria se lo dice lui, ecco spuntare qualche giorno fa una coloratissima foto sul profilo ufficiale del vostro social network preferito. Il post a corredo dell'immagine raffigurante una torta con la scritta cakes are like Facebook va in scia ad altre sullo stesso tema, tutte facenti parte della nuova campagna di promozione del marchio. Il messaggio è molto particolare, considerando mittente e canale di trasmissione: invita di fatto ad un uso ragionato e centellinato di Facebook, perché i dolci son buoni, ma troppa torta alla fine provoca indigestioni e malesseri. Insomma, il classico messaggio buonista, a dirla tutta. Detto da un'azienda che fa proprio dell'uso poco "considerato" da parte degli utenti la sua infinita fonte di guadagno, la cosa fa quantomeno (sor)ridere: evidentemente è vezzo delle grandi aziende adottare queste strategie di "redenzione", anche se spesso si nasconde un trucco. Oppure una fetta di torta.

domenica 4 novembre 2012

AC...CESSO LIBERO

Un altro grave bug per il vostro social network preferito. Le falle sono qualcosa di abbastanza normale in un sito Web, certo è che quando la gestione di enormi database pieni di dati sensibili è così debole la notizia è garantita, anche se gli utenti non saranno così contenti della cosa. Nelle ultime ore è stato possibile accedere a molti profili (altrui) senza bisogno di digitare password di accesso. Non una buona cosa, visto che malintenzionati (o amici fidati) potrebbero essere in grado di vedere tutto di voi, e magari scoprire lati sconosciuti o cadute di stile fino a quel momento poco noti. Insomma, regalare così tanto e scoprire che la  cassaforte rimane spesso aperta non è esattamente il massimo: e anche se promettono sempre di chiudere il buco, il pericolo di nuovi assalti è sempre in agguato.

giovedì 1 novembre 2012

I NEED (FIVE) DOLLAR(S)*

Cosa siete, siamo in realtà sulla Rete? Entità più o meno riconoscibili, ma soprattutto siete, siamo una valanga di dati. E i dati parlano, anzi, valgono. Basta accumularli e si ottiene un valore pari ad un tot al chilo, dipende da come si possono interconnettere queste sequenze ragionate di byte. Che i vostri profili abbiano un valore in virtù di tutte le cose che si scrivono, scelgono & gradiscono è indubbio, ed è anche quasi scontato che vi sia un mercato molto appetito da aziende che considerano questi dati una linfa vitale per le loro attività. Succede anche che gli utenti stessi del vostro social network preferito possano acquistare utenti per rimpinguare la propria lista degli amici: succede anche che il mercato (come tutti i mercati) preveda una sua componente "alternativa" che fa uso di canali paralleli e non completamente legali per lo smercio di nomi, cognomi e preferenze. Già oltre due anni fa era stata segnalata una compravendita di (tanti) profili ad un prezzo piccolo piccolo: a distanza di tempo la storia si ripropone, alla faccia della presunta sicurezza dei vostri dati millantata da FB. Cinque dollari: non basta un esborso di chissà quale cifra per accaparrarsi oltre un milione di profili vitali per attività di marketing (molto) profilate. La transazione (che per ovvie ragioni doveva rimanere segreta ma si sa, con gli scambi digitali tutto è possibile) è avvenuta tra un sito di fornitura di "servizi digitali" e un hacker che ha raccolto identità e email anche di utenti che hanno settato le proprie impostazioni di condivisione e privacy. Insomma, non c'è più scampo di questo passo. Interessanti anche le possibili alternative per provare a sfuggire a questa mattanza, o quantomeno per provare a valere poco più di qualche centesimo. Le istituzioni continuano spesso ad insistere (spesso invano) sul controllo accurato dei propri dati, nonché sull'acquisizione di un senso della cultura digitale: alla luce delle cose che si sentono è virtù, quest'ultima, sempre più rara, e con un valore che ormai non ha più mercato.

PS. *

lunedì 29 ottobre 2012

E NO, DECISAMENTE NON L'AMA...

Settimana cruciale per le sorti del futuro a stelle e strisce (e diciamolo, di riflesso anche per le nostre sorti): ancora pochi giorni e si svolgeranno le elezioni per nominare il nuovo (o vecchio) Presidente degli Stati Uniti d'America. I dibattiti elettorali e le interviste ai candidati, immaginerete, si sprecano: e si sprecano anche le domande più diversificate alle quali i papabili Presidenti sono chiamati a rispondere. Anche i network per i più gggiovani affrontano l'argomento, evidentemente per avvicinare le nuove generazioni alla vita politica: logico che le domande non debbano per forza vertere su crisi economiche e politiche estere ma essere un po' più leggere, anche per tirar fuori il lato più umano dei Potenti della terra. Mtv, noto canale musicale il cui target ideale è rappresentato da teenager-o-poco-più intervista Barack Obama, e tra le domande poste c'è il classico "scegli tra": per aumentare la difficoltà della risposta la domanda è incentrata sulla figlia maggiore, Malia, e l'intervistatore chiede quale sia per il "normale" padre di famiglia la cosa che lo preoccupa di più. Le papabili risposte: un appuntamento galante, la patente di guida (che negli Usa si prende a 16 anni, ndr) e un generico "Facebook". Risposta del padre-presidente: Facebook. Con tanto di motivazione: la ragazza è pur sempre la figlia di un personaggio abbastanza noto, per cui per motivi di sicurezza Malia non ha un account come in pratica tutti i suoi coetanei. Tocca capire quali siano i problemi di sicurezza a cui fa riferimento: forse Obama sa qualcosa in più rispetto a noi a proposito delle logiche di sicurezza che fanno capo al vostro social network preferito, o forse più che un presidente modello, è un padre attento ai propri figli. Le sue figlie usciranno, guideranno e il mondo lì fuori è pieno di insidie, ma evidentemente il pericolo che si cela dietro il proprio profilo virtuale non è proprio da sottovalutare. Parola di Presidente.
Beh, perlomeno Obama è stato coerente, visto che a più riprese ha risposto a domande sull'argomento, facendo capire il suo chiaro punto di vista. Tre indizi faranno una prova, no?

Capisco anche la frustrazione della povera first daughter nel non avere un account Facebook: purtroppo è lo scotto da pagare quando si ha un padre così famoso...nel bene o nel Malia.

sabato 27 ottobre 2012

STUPIDI PAZZI...

                                Oh, what a noble mind is here o'erthrown!

Ah, la Rete. Strumento ormai praticamente indispensabile per tutti noi, più o meno. Essendo una creatura poco più che adolescente, vive la sua fase di maturità e di cambiamento radicale. E c'è poco da fare, questa Rete ha un fascino e un carisma tali da influenzare intere generazioni di persone sparse (sempre più o meno) in ogni dove. Ma come detto, è una risorsa a cui difficilmente si può rinunciare. Si arriva al punto in cui per molti è una vera e propria risorsa di vita, nel senso che molte delle azioni e delle consuetudini che prima eravamo abituati a svolgere in modalità offline oggi ci sembrano robe del Paleolitico, retaggio quasi di un'altra esistenza. La Rivoluzione Digitale - e più ampiamente la diffusione delle macchine intese come strumenti di interazione attiva con l'uomo - ha modificato gli usi e costumi dell'uomo (soprattutto nel Mondo Occidentale), velocizzando molte attività e permettendo il raggiungimento di output quantitativi e qualitativi decisamente superiori rispetto al passato. Mettiamoci anche che col tempo un Computer si è connesso ad una presa telefonica e il gioco è fatto: lo scenario dell'Uomo Digitale Iperconnesso è diventato realtà. Al giorno d'oggi non cercare una qualsiasi informazione su Internet ci sembra una cosa quasi assurda, come se su Internet ci fosse tutto, ma davvero tutto. Cercare un lemma o una definizione su una risorsa cartacea? Roba troppo old school, visto che enciclopedie e dizionari sono a portata di clic. Parlando per sommi capi, insomma, qualsiasi informazione da cercare passa da Google e dintorni. E molto spesso la si trova.
Ragionandoci su....ecco, forse il problema passa proprio dalla ragione. In giro c'è più di una persona talmente appassionata alle nuove tecnologie da studiarle a fondo, soprattutto in relazione al fatto che l'Essere Umano è talmente diversificato che la reazione di persone diverse allo stesso stimolo (la Rete, che però comprende innumerevoli variabili impazzite) crea uno spettro di casistiche da analizzare attentamente. Insomma, è vero che cambia la Rete, ma non crediate che non cambi l'Uomo: allora ha un quid di cognizione scientifica l'asserzione secondo cui il nostro (genericamente parlando) cervello sia stato modificato da Internet, e continuerà a modificarsi man mano che la Rete prenderà sempre più piede a livello globale. Ma non è detto che questa alterazione sia necessariamente positiva o negativa: sicuramente, le "generazioni offline" ragionano in maniera differente rispetto a quelle "legate alla Rete", con tutto ciò che ne consegue.  C'è chi rincara la dose, affermando senza mezzi termini che la logica del "tutto e subito" che fa capo soprattutto ai motori di ricerca (che, va detto, molti di noi usano in maniera molto superficiale, o quantomeno non sfruttando appieno il loro potenziale) "accontenta" il desiderio di ricerca e quindi il nostro cervello, abbassando la soglia qualitativa dei nostri desideri di sapere. La conseguenza? Siamo più stupidi rispetto al passato, alla faccia dell'evoluzione della specie.
Generazione di stupidi utenti, dunque. Qual è il prossimo step? Dove arriverà la mente umana di questo passo? Calmi, al peggio non c'è mai fine: pare che Internet ci stia portando (a vari gradi di velocità) alla pazzia più pura. E non parliamo di visioni apocalittiche dettate da catastrofisti, ma del frutto di studi abbastanza accurati condotti su una gamma di utenti piuttosto diversificata. Basta essere davanti ad uno schermo per affermare che si è tutti coinvolti, nessuno escluso: un (lungo) articolo del Newsweek, ripreso in copertina sull'ultimo numero (in edizione cartacea) della rivista Internazionale fa il punto della situazione spaziando tra ossessioni, mistificazioni della realtà e alterazioni psicologiche, fisiche e comportamentali. Il cuore dell'articolo è però dedicato all'impennata che ha subito la curva legata alla diffusione di questo tipo di disturbi, che è coincisa bene o male con l'espansione a livello globale di un nuovo modo di fare Rete, in cui gli utenti hanno cominciato ad interconnettersi fra loro riversando la loro vita in strumenti digitali e online. Viene in mente nulla? Già: un paragrafo dell'articolo è proprio dedicato alla dipendenza da Facebook, e gli studi non lasciano molto spazio ai dubbi. Perché Internet è un'autostrada sconfinata e non tutto si può ricondurre al vostro social network preferito, ma ci sono "corsie preferenziali" che guidano più velocemente verso queste forme di alterazione: la soluzione sarebbe proprio quella di non imboccare troppe vie di questo genere, il rischio di trovare strade senza uscita è piuttosto elevato.
La chiosa dell'articolo è abbastanza emblematica, e citandola spero di non infrangere alcun diritto di proprietà dei contenuti: "e tutti noi, da quando è cominciata la relazione con internet, abbiamo mostrato la tendenza ad accettarla per quello che è, senza pensare troppo a come vogliamo che sia o a cosa vogliamo evitare. Dobbiamo reagire. Internet è ancora nostra e possiamo rimodellarla. In gioco c'è la nostra mente". In realtà si può ritenere che sia più facile alterare il nostro cervello che modificare la Rete, perché quest'ultima altro non è che un "nostro" prodotto, anche se spesso alcune sovrastrutture sono imposte da forze più grandi di noi utenti semplici. Ci vorranno forse alcune generazioni prima di creare l'Uomo "evoluto" secondo questi nuovi principi virtuo-digitali. L'Homo Interneticus può essere forse una realtà quasi stabilita: toccherà fare un confronto con i nostri pronipoti per capire quale sarà la genìa più intelligente. O forse quella meno stupida.

mercoledì 24 ottobre 2012

ILLUMI(A)NANTE

[E voglio cancellare della gente veramente, non dai social...]

A metà tra il geniale e il macabro, bisogna solo capire le giuste proporzioni. E' il nuovo spot di una nota marca di telefoni che esalta le doti della fotocamera in grado di cogliere i soggetti anche con poca luce: geniale, perché lo spot con quella vaga aria di pubblicità progresso fa breccia nel complicato mondo degli smartphone in cui bisogna forse essere più creativi che avanzati tecnologicamente per conquistare il mercato. Macabro, perché vedere i volti di persone seriamente deluse dal fatto di non poter condividere con i propri amici le foto di ricorrenze e affini, corredato da frasi del tipo "non riesco a taggarmi" (i grandi problemi della vita non solo digitale, a quanto pare) fa capire quanto, in fondo in fondo, il messaggio pubblicitario colga davvero nel segno. In ogni caso, una pubblicità che non può non fare i conti con i nuovi media, con tanto di messaggio occulto (ma neanche poi troppo) al vostro social network preferito. Buona visione.

sabato 20 ottobre 2012

F.B. CONFIDENTIAL

Eccone un'altra servita. Per la serie "non si può far a meno delle bufale" (la notizia è in buona compagnia, vedere ad esempio qui, qui e qui) Il Post, "rimbalzando" una notizia del noto cacciatore di Falsi in Rete, ci informa dell'ennesima notizia da far girare in tutte le bacheche mondiali. L'oggetto? L'intromissione, da parte di organi governativi, nelle vostre bacheche senza autorizzazione preventiva di organi giudiziari e/o di Facebook stesso. Falso, assicura chi se ne intende. Cioè: falso il documento, s'intende. D'altronde, che bisogno avrebbe un potente organismo di autorizzazioni per "scardinare" i profili? Una vita travasata sul vostro social network preferito è in linea di massima una specie di ego-ostentazione, sicché è lì, disponibile per tutti. Amici, amici di amici e capi di Stato.

venerdì 19 ottobre 2012

IL BUON COMPORTAMENTO...QUOTIDIANO

Costruire una buona reputazione è uno degli obiettivi che ci si pone in più o meno tutti i campi, professionali e non. Capita però che alla sfera pubblica e reale si sia contrapposta con una crescente rilevanza anche un'etichetta virtuale che in molti casi va ad incidere sulla prima, con tutto ciò che ne consegue. Praticamente nessuno, ormai, è esente da questa doppia sfera da tutelare: se poi si mischiano troppo le funzioni pubbliche con quelle private, beh, allora la frittata è spesso fatta.
Insomma, è un segno dei tempi anche l'articolo-circolare che un prestigioso (e con una r-e-putazione da dover tenere alta per forza di cose) quotidiano statunitense, il New York Times, ha diramato ai suoi giornalisti e nel quale si ribadiscono ancora una volta i comportamenti che i dipendenti dovrebbero tenere anche sui social media, ossia quando le loro dita sulla tastiera o sugli schermi digitano pensieri & parole & opinioni in quanto cittadini (più o meno) privati. Il sunto è questo: "siete persone libere, ma siete anche prestigiosi [e suppongo anche ben pagati] giornalisti, dunque figure pubbliche di un certo rilievo. Occhio a quel che scrivete, perché un vostro tweet può darvi grane ben più grosse di un articolo d'accusa diffuso a mezzo stampa. E ricordatevi che ciò che scrivete online, anche se teoricamente è in forma privata, di fatto è un'esposizione alla pubblica piazza. Ne va della reputazione vostra e del giornale".
Insomma, tocca adeguarsi alle nuove forme di diffusione dei contenuti (soprattutto in un'era in cui anche l'editoria classica vira decisamente verso l'approccio all digital), nel senso che ogni tanto bisogna "bacchettare" anche i professionisti, forse non completamente consci del fatto che la parola (digitale) spesso ferisce più della spada.

giovedì 18 ottobre 2012

SE...DIE...TRO QUEL VIDEO...

Facebook è come una sedia. Ossia? Spiegatevi meglio. Un video promozionale di Facebook campeggia da qualche tempo sulla home page del vostro social network preferito. Mai notato prima? Beh, potrebbe volerci una parodia per farlo scoprire, ma a quanto pare basta non essere loggati e accedere alla pagina principale (altrimenti da qui: Facebook "ufficiale" su un prodotto Google fa sorridere quasi quanto una grossa azienda che parla di buonsenso) per godersi un video che parla di cose indispensabili e che valgano la pena di essere condivise, come una sedia, come il basket o come chi più ne ha più ne metta. Insomma, cose reali e che presuppongano un'interazione vera, in linea di massima. Eppure Facebook si paragona a loro con una certa sicurezza, conscia del fatto che star seduti a vedere gli aggiornamenti dei propri amici sia una cosa indispensabile, e sicuramente molto redditizia (per loro).

Sarà che di solito preferisco sedermi sui tavoli, ecco perché.

martedì 16 ottobre 2012

UTANTI, UTONTI, UTENTI

Classificare la gente che gira in Rete non è certo facile, ma è in genere sempre bello e divertente. Con l'esplosione del "primo" Web 2.0 e successivamente del mondo dei social network vengono fuori alcuni profili variegati e variopinti. Giornalettismo (via Mashable) ha provato a descrivere alcune tipologie: si va dall'utente ossessionato dai commenti (degli altri) al creatore di neologismi, e per chi aggiunge elementi linguistici c'è chi toglie (vocali, principalmente) ai propri enunciati digitali. Si passa poi da quello che deve far sapere a tutti dov'è e/o cosa fa al liker compulsivo, mentre nella categoria "saccenti" si possono inserire quelli che hanno un blog (!) e che invitano chiunque a leggere l'autorevole opinione su qualsiasi materia dello scibile umano fino a(gl)i (autoproclamati) social guru, ossia gente in grado di "pontificare" ben sapendo che ci sarà sempre qualcuno che sarà d'accordo con ciò che legge. Poi sì, ok, c'è anche "l'odiatore", quello che però non sopporta che il proprio social network preferito non sia accessibile. Curioso: di contro, c'è chi ama e auspica questo tipo di situazioni...

lunedì 15 ottobre 2012

GIOVANI & VECCHI RIMEDI

Ah, i gggiovani. Sarebbero le nuove generazioni quelle che ci porteranno nel futuro? Saranno proprio loro a  indicare la strada maestra verso un avvenire sicuro, stabile, affidabile? Ai posteri (non quelli che si attaccano al muro) l'ardua sentenza: c'è di fatto che al momento attuale proprio loro, i giovani, non ci capiscono granché in quanto a prospettive future. E non si parla di lavoro, di prospettive e dintorni: si parla proprio della loro vita, della loro esistenza e del loro rapporto con il mondo che li circonda. Perché ormai il mondo per loro non ha più confini, nel senso che la dimensione spaziale è di fatto azzerata grazie al fattore Internet, in grado di connetterli sempre e comunque con tutti, ovunque.
Si pone tuttavia un problema abbastanza evidente quando a rapportarsi con questo mondo sono i ragazzi al di sotto della fatidica soglia (in Italia, perlomeno) dei 18 anni, un limite che segna il confine tra adolescenza e maturità. Non saranno diciotto candeline a maturare completamente una persona, sia chiaro, ma nella nostra società questo numero rappresenta un passaggio fondamentale che ti permette di fare o non fare certe cose. Sulla Rete, tuttavia, è abbastanza facile che un under si prodighi nel farsi conoscere a tutti i costi, o a fare in modo che - probabilmente non pensando troppo alle conseguenze future - si parli di loro, prettamente in negativo. Poi è chiaro, nel marasma generale molta gente non fa niente per arrestare questa emorragia digitale, anzi è vero il contrario, poiché anche una mancata regolamentazione in materia di trattamento delle informazioni online permette a molti (media in testa) di fare di ciò che appare sui loro schermi un po' quel che gli pare.
Non mancano poi le curiose interpretazioni: tutta da capire e da spiegare la denominazione diciassettenne attempato per riferirsi ad una persona quasi matura e dal profilo pubblico (nel senso della vita vera, ma evidentemente non solo) che finisce nell'occhio del ciclone per alcuni gesti che si prestano alla discussione pubblica, sia al bar che sulle varie bacheche. Insomma, quasi 18 e un papà abbastanza famoso ti pongono dall'altra parte della barricata: "la prossima volta stai più attento, ok, tanto le candeline le stai per spegnere e potrai far quel che ti pare" è la nuova ramanzina digitale.
Insomma, poi finisce che qualcuno in preda all'enfasi del momento si lasci andare ad atteggiamenti particolari per poi pentirsi col sen(n)o di poi: l'onta virtuale si trasforma - complici i social network, veri megafoni della diffusione soprattutto di alcuni contenuti - in situazioni che le menti in formazione (ma non solo) non riescono a gestire e a sopportare, e quindi notizie tragiche legate a doppio filo ai propri comportamenti online, ahimè, sono sempre più frequenti.
E poi, come se non bastasse, ci si è messa anche la diffusione massiccia  di strumenti sempre più portatili, sempre più connessi: Internet mobile è ormai alla portata di tutti, ragazzini inclusi, per cui l'occasione per perpetrare questo tipo di azioni si moltiplica esponenzialmente. Già, gli smartphone, non più "semplici" telefoni ma qualcosa di sempre più vicino ad un vero e proprio computer: e come tali, in grado di sapere tutto di voi, alimentati dalle informazioni digitate dagli stessi padroni. Facile capire che presente e futuro di questi dispositivi saranno sempre più legati alle operazioni di data mining da parte di terzi come inserzionisti e agenzie, senza disdegnare gli stessi produttori dei dispositivi.
Perché sì, siamo abbastanza spiati un po' da tutto e da tutti: non è paranoia, è realtà, e quel che possiamo fare è cercare di limitare i danni. Pensandoci un attimo prima di fare determinate cose, pensando al poi e non all'immediato like. A guadagnarci, da questo approccio, siamo tutti noi, e le nuove generazioni in primis. Perché il futuro (anche quello digitale) è dei giovani: me lo dicevano sempre, i vecchi saggi.

giovedì 11 ottobre 2012

WON'T WANT IT

Autunno: la stagione perfetta per introdurre novità in campo tecnologico. Il perché è presto detto: perché si "torna a scuola" dopo la pausa estiva (la scuola non è un caso: in genere è proprio quello dei teenager il mercato più remunerativo per i prodotti di mas...ehm, irrinunciabili), perché la mania da regalo natalizio si sta avvicinando, perché comincia a far freddo e la gente è più propensa all'acquisto di tecnologia domestica, e via discorrendo. Facebook non fa eccezione, e sta infatti introducendo alcune nuove funzionalità per i propri affezionati utenti. Nell'evidente ottica della massimizzazione dei profitti attraverso la pubblicità e la vendita di prodotti, il tanto amato pulsante Like avrà presto alcuni "cugini": già qualche tempo fa era stata paventata la possibilità di introdurre alcuni pulsanti in grado di mostrare pubblicamente molte attività riconducibili alla diffusione di prodotti commerciali, ma ora è ufficiale la sperimentazione del pulsante Want, ossia un modo palese per dire al mondo e ai vostri amici che desiderate tanto questo o quell'oggetto. Considerata anche la funzionalità introdotta attraverso Facebook Gifts, direi che basta fare due più due per capire che Facebook sta affondando il colpo decisivo per "uscire" definitivamente dalla sua realtà virtuale per entrare in quella molto reale legata ai consumi. In realtà la funzionalità segue la scia già nota delle liste dei desideri (wishlist) che ormai tutti i siti principali di commercio online adottano da tempo, Amazon in primis. L'esempio citato non è "promozionale" ma è voluto, poiché si tratta di un altro esempio di "sfruttamento" dei dati in possesso del fornitore di servizi (ad esempio, la lista degli acquisti effettuati) per proporre altri oggetti di (quasi) sicuro interesse per gli utenti: in più, queste liste possono essere pubbliche, dunque possono diventare un ottimo metodo per evitare regali indesiderati, ma anche un modo per dire "beh, forza, comprami qualcosa"; insomma, un'imposizione morale bella e buona. E tutto questo altro non è che la trasposizione digitale di ciò che avviene nel mondo reale da tempo attraverso le liste regalo che si aprono per le numerose (troppe?) ricorrenze: utile, sì, ma anche una vera e propria spersonalizzazione del concetto di dare-e-ricevere. Che dire: si vede che la gente vuole questo.

lunedì 8 ottobre 2012

GENTE CHE VA, GENTE CHE VIENE

Tra rassegne stampa e comunicazioni personali si incrociano due storie che hanno molte similitudini e alcuni contrasti figli dei nuovi media: strumenti diversi eppure simili nel potere comunicativo, professioni (e identità) simili tra loro eppur differenti stili, azioni clamorose - una in entrata, una in uscita. La prima: un noto scrittore e giornalista (cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia) chiude il suo profilo Facebook perché qualcuno ha rubato la sua identità (prerogativa di vip e non solo, e oggetto di importanti dibattiti) e lui non può più reggere questa falsa situazione. Decisione un po' forte, ma che forse sposta l'asticella dell'eterno dibattito tra Verità e Finzione (soprattutto nell'era digitale) un pochino più su. Di certo il nostro scrittore non sparirà nell'ombra: basterà cercarlo altrove, qualche appassionato di sole bacheche potrebbe addirittura scoprire nuove fonti di informazione.
La seconda: di fatto quasi in contemporanea uno scrittore - e saggista, e critico, e tante (troppe?) altre cose - annuncia il suo trionfale ingresso nel mondo di Twitter. A corredo del primo cinguettio la dichiarazione di autenticità virtuo-identitaria sembra voler certificare il gran momento, come se bastassero due righe, una mini-foto e poco più per affermare la Verità e per scacciare il Falso che intorpidisce la Rete. Insomma, nella porta girevole del grande mondo virtuale c'è da registrare un arrivo e una partenza. In entrambi i casi follower e fan se ne faranno una ragione.

venerdì 5 ottobre 2012

MANIFEST...ARE OPINIONI

Traslare Facebook nella vita reale sotto varie forme è una mossa sicuramente azzeccata, che fa presa sulla maggior parte dei destinatari di messaggi pubblicitari e/o commerciali. Insomma, la tendina da bagno o il letto  FB possono essere una vera e propria attrazione e diventare oggetti di culto. Va detto che non proprio tutto è però riconducibile al mondo del vostro social network preferito: per alcuni settori e per alcuni messaggi forse è meglio pensarci due volte, prima di intraprendere campagne di marketing seriale e promozione. Ecco, la politica è uno di quei settori in cui bisogna sempre dosare col bilancino il tipo di messaggio che si va a proporre, fosse questo per un candidato o per un Ideale: il rischio del cosiddetto effetto boomerang è dietro l'angolo, o sopra (sopra inteso come strato superiore, più in vista, ehm) il manifesto.
Ed ecco l'effetto che fa una domanda così invitante che campeggia su un cartellone sei-per-tre. E' successo a Varese, e mi piacerebbe sapere come si staranno scatenando i troll di strada (e già in passato c'è stata occasione). Per loro, una chance così, è una vera e propria manna: quale "bacheca" migliore per veicolare il loro pensiero? Ecco: non proprio tutto è riconducibile a Facebook. La figuraccia si manifesta facilmente.

Immagini tratte da cadoinpiedi.it : enjoy!

La "bacheca" è pronta a ricevere i messaggi...
...e non ci sono neanche andati giù pesantemente, qui!

giovedì 4 ottobre 2012

ONE (OUT OF TWO) OF A KIND

Puntuale come la caduta autunnale delle foglie arriva il rapporto Censis che fotografa la situazione degli Italiani e del (nostro) rapporto con media tradizionali e di nuova generazione. Già nel 2009 lo scenario vedeva una sostanziale affermazione del vostro social network preferito, ma tre anni dopo l'inarrestabile ascesa di Facebook è ancora il tratto dominante del documento: si parla di giornali cartacei, libri, uso di tecnologie cellulari e ruolo della tv, ma i portali di informazione vedono nell'aumento della percentuale di iscritti a FB la headline principale. E allora si legge che un italiano su due è su Facebook, mentre tale percentuale aumenta se si considerano solo le persone "connesse". E alla luce del fatto che siamo un Paese un po' avanti con l'età media, il dato fa riflettere. Restiamo sempre un Paese di santi e navigatori...del Web, ma evidentemente ci piace troppo quell'approdo digitale chiamato Facebook.

mercoledì 3 ottobre 2012

COMPRA, VENDI, REGALA

E' tutta una questione di soldi, c'è poco da fare. Un'azienda come Facebook genera introiti diretti, indiretti, volontari e involontari, e parliamo di cifre abbastanza importanti. In un certo senso il vostro social network preferito vi compra, nel senso che vi offre questa (fantastica) opportunità di creare il vostro orticello digitale da coltivare con post, commenti, immagini, like e tag vari. Senza chiedervi nulla in cambio? Beh, proprio gratis non è, nel senso che tutti i dati inseriti si trasformano in una vera e propria risorsa che FB può vendere ad inserzionisti e compagnie varie perché di fatto si tratta di profilazioni che in termini di marketing sono quanto di meglio le aziende possano ottenere. Sui metodi di vendita dei dati date un'occhiata a quest'ottima lettura tratta da Il Post, mentre sulle tecniche di monitoraggio degli acquisti attraverso l'analisi delle pubblicità segue a ruota un altrettanto valido articolo su Wired.it (attenzione al passaggio in cui dai dati virtuali si passa al monitoraggio reale, quello relativo agli acquisti "fisici": basta incrociare alcuni dati e il gioco - anzi, l'affare - è fatto).
Mancherebbero i regali. Beh, con tutti le informazioni che si regalano su Facebook si potrebbe anche chiudere qui. Invece no: dimenticate i presenti virtuali che si potevano fare in passato, ora con Facebook Gifts si potrà scegliere un regalo per gli amici senza dover uscire dalle pagine in blu. Si tratta di regali veri, di oggetti autentici: come può un sistema informatico capire cosa piace o non piace ad un determinato utente? Beh, la risposta è abbastanza scontata: non mi sorprenderebbe se la gamma di regali per un determinato iscritto risultasse assolutamente azzeccata, poiché basterà scorrere algoritmicamente tra gradimenti e commenti per interpretare con ragionevole certezza il regalo perfetto. E qui non si parla di pubblicità mirata basata su ricerche (altrui) precedenti o della funzione wishlist ormai molto apprezzata su diversi portali di e-commerce. Queste ultime mostrano risultati in base a scelte volontarie dell'utente, mentre nel caso di Facebook si potrebbe andare (ben) oltre il concetto di volontarietà, abbracciando in toto quella dell'interpretazione mirata. E' questo lo scenario del futuro?

martedì 2 ottobre 2012

OCCASIONE (IR)RILEVANTE

Rilevanza dell'informazione: su questo spinoso tema si muove il Web al giorno d'oggi, alla ricerca di una risposta definitiva alla questione "meglio la quantità o la qualità di ciò che si legge in Rete"? A sentire il parere degli esperti (bisogna spesso sentire il parere degli esperti, quantomeno per capire quanto si è lontani o vicini dal parere altrui), i social non hanno fatto altro che amplificare a dismisura la base degli utenti, facendo in modo che questi scrivessero non importa cosa, non importa come: basta che se ne parli, e il profitto per alcune grandi aziende che si arricchiscono grazie al Web è garantito. Insomma, il solito grande potenziale buttato all'aria per le logiche di profitto, e un'occasione persa per intraprendere una rivoluzione che nella maggior parte dei casi (tranne alcune eccezioni in cui l'informazione è risultata vera e di vitale importanza) è rimasta solo una piccola scossa dai propri divani, probabilmente per via di un poke o giù di lì.
E per confermare quanto detto, vi consiglio l'analisi di chi ha pensato di iscriversi al vostro social network preferito e di averne constatato la sua sostanziale inutilità, nel senso che il tipo di informazione circolante ha la stessa rilevanza e lo stesso interesse di una partita di tamburello per un italiano medio. Interesse che - è bene precisarlo per dare un'informazione rilevante - non è esattamente altissimo.

lunedì 1 ottobre 2012

VEGGENTI DIGITALI

Credete alla chiaroveggenza? Per alcuni è una specie di black sorcery, per altri una truffa bella e buona, per altri motivo di indifferenza assoluta. Quale che sia il vostro punto di vista, sappiate che il primo che vi leggerà la mano potrebbe trovare una linea della vita lunga o corta, ma anche degli inequivocabili marchi potenzialmente indelebili sui polpastrelli, ossia quelle parti del corpo che sono a contatto con tasti del computer e schermi tattili di smartphone e affini. E da questi segni potrebbe stupirvi al punto da sapere tutto, ma proprio tutto di voi. Percezione extrasensoriale? Nah, la cosa è molto più terrena e soprattutto è lo specchio dell'educazione digitale ai tempi di Facebook e affini. Insomma, oltre alla mano basta leggere la bacheca...uno spot magnifico (dovrebbero dare un vitalizio ad alcuni creatori di spot geniali, secondo me) prova a mettere in guardia proprio su questo aspetto: indovinate se il messaggio arriverà forte e chiaro(veggente). Buona visione.

sabato 29 settembre 2012

CRUMIRI

Chissà cosa avranno pensato i colleghi di lavoro della ragazza che trascorreva ore e ore alla sua postazione anche e soprattutto oltre le ore canoniche, sabato compreso. Attaccamento ai valori aziendali? Indomabile voglia di lavorare, di dare di più, di contribuire all'innalzamento del PIL nostrano? Farsi bella agli occhi del capo? Niente di tutto questo: anzi, tutto il contrario. E' successo nel padovano, parte di quella zona che è(ra?) la locomotiva d'Italia in quanto a produttività: la ragazza in questione era davvero una dipendente, ma dei social network: uno in particolare (ça va sans dire), sul quale trascorreva ore e ore tra chat e bacheche. Il rapporto tra produttività & lavoro e social network (o distrazioni digitali a vario livello) è questione sempre più annosa (senza contare i vari espedienti per non farsi "beccare"), e certamente questo caso non fa eccezione: sorprende soprattutto il fatto che la ragazza preferisse la postazione lavorativa per dedicarsi alla sua attività di messaggiatrice seriale, ma evidentemente il tutto fa parte del pacchetto-ossessione-tutto-compreso. Risultato della vicenda? Beh, in questo caso il licenziamento sembra proprio per giusta causa. Quella che agli occhi altrui forse voleva solo essere l'impiegata del mese facendo finta di lavorare come un cane, ora magari può ambire ad altri premi.

giovedì 27 settembre 2012

GERARCHIE: MEDIA...PONDERATA

Riuscireste ad immaginare il mondo (virtuale e non) senza l'apporto contenutistico fornito dai social media? E' un po' come figurarsi un mondo senza avvocati: eppure questi nuovi mezzi di condivisione e di informazione sono abbastanza recenti, e Internet è esistito anche senza di loro, sebbene all'epoca fosse ancora una realtà in forte espansione. Insomma, che piaccia o no oggi quasi tutto ha il suo lato social, ma come sempre è l'utilizzo corretto degli strumenti a marcare la differenza tra contenuti generalisti e quelli un po' più utili per gli obiettivi di ciascuno di noi.
L'intervento di apertura - quindi non proprio un contributo secondario - della (sempre ottima) Social Media Week, in questi giorni a Torino, parla proprio del modo di fare condivisione a vari livelli. Autore dell'intervento è Philippe Aigrain, e tra le righe si possono leggere un paio di "bombe" ben assestate ai prodotti digitali di larg(hissim)o consumo: secondo lui, infatti, i social media sono ben variegati e diversificati, e vengono utilizzati al meglio solo se si sceglie quello appropriato per lo scopo che si intende raggiungere. Ci sono però un paio di canali troppo "accentratori" perché molto potenti dal punto di vista delle risorse investite e del conseguente appeal che ne deriva per gli utenti che vi si precipitano in massa. Inutile girarci attorno: il nome immediatamente citato è proprio quello di Facebook, sulle cui pagine si riversano le vite di molti, senza fare distinzione del tipo di informazione da voler condividere. Secondo Aigrain (ma non solo, vien da pensare), dunque, la qualità è importante quanto l'utilizzo non improprio che si fa di questi strumenti. Uno schiaffo ai social generalisti e una rivincita del buon vecchio blog (considerato il mezzo più rappresentativo del potenziale di condivisione online)? Beh, più che altro una presa di coscienza di ciò che Internet può offrire (una gran varietà di strumenti) e ciò che Internet in realtà sta diventando per via dell'utilizzo ormai standardizzato da parte della stragrande maggioranza degli utenti. E' vero, è il popolo che decide e i principi democratici varrebbero anche in Rete, ma la riflessione di Aigrain non può lasciare indifferenti, quantomeno per coloro i quali sanno (più o meno) razionalmente quel che compiono e condividono nel mare magnum virtuale.

martedì 25 settembre 2012

BUG...GERATI

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio: mai adagio fu più azzeccato per quella che è l'ennesima notizia che fa fermare le rotative (per le versioni cartacee) e i server (per le edizioni digitali) di numerosi media. Non è la prima volta che si segnalano pericolosi buchi nella sicurezza di Facebook o nella sua struttura informatica, ma qui si parla di aspetti privati, e pure troppo: davvero quasi tutte le testate online (anche quelle di nuovissima concezione) ieri segnalavano prontamente che a causa di un bug sono stati resi pubblici anche i messaggi privati relativi al periodo 2007-2009 di molti utenti (si parla soprattutto di utenti francesi ma non solo, tanto da diventare una vera e propria questione di Stato: e anche se tutto questo non fosse vero, se non sarà oggi potrebbe succedere domani, e penso si capisca quanto facile sia "gestire" la mole di dati digitali). Insomma, fate mente locale a che tipo di scambi epistolari alternativi effettuavate in quel periodo, e cominciate a tremare. Oppure incrociate le dita e sperate non tocchi a voi. Oppure magari fermatevi un attimo e pensate un attimo a chi state affidando questo tipo di comunicazioni e - perché no - anche parte della vostra vita. Soprattutto quella che non volevate fosse pubblica.

giovedì 20 settembre 2012

DIRITTI...ROVESCIATI

Quanto è difficile districarsi tra tutti i contenuti che circolano in Rete? Cosa ci serve, cosa è utile, cosa non lo è? Ma soprattutto: cosa è vero e cosa no? Tutte domande legittime, e tutte possono trovare una possibile risposta in quel grande contenitore che è il vostro social network preferito. Il fenomeno delle famose Catene di Sant'Antonio trova sicuramente nell'Era Digitale il mezzo perfetto di diffusione, e con le email prima e Facebook poi la voglia di mandare ad altri messaggi plausibili o verosimili è insita un po' in tutti noi. Non è la prima volta che si parla di messaggi "pericolosi" che vengono da bacheche altrui, ma è notizia di qualche giorno la diffusione di un messaggio da far rimbalzare da un contatto all'altro in cui si specifica che gli utenti FB dovrebbero protestare per far valere il proprio diritto di proprietà dei contenuti da loro generati. Il messaggio, tuttavia, è mal tradotto (colpa delle intelligenze artificiali?) e soprattutto rivendica un diritto che non sta né in cielo né in terra, soprattutto se l'utente ha accettato determinate condizioni all'atto dell'iscrizione a Facebook (lo sapete, vero?). Insomma: una bufala bella e buona che passa da amico ad amico, o la rivendicazione di un diritto forse sacrosanto, ma non tra le pagine del vostro social network preferito. Inutile rovesciare la frittata: da quelle parti i diritti lasciano il tempo che trovano.