mercoledì 19 dicembre 2012

"SCATTO" D'IRA

Ancora Instagram al centro della bufera, e stavolta il caso ha travalicato i confini della semplice notizia per gli esperti del settore. Già non molto tempo fa era stato evidenziato come la condivisione troppo "spinta" di elementi non parlanti (almeno in senso testuale) come le fotografie avesse permesso ad un gruppo di ricerca di associare un luogo preciso ad ogni foto taggata geograficamente. Ora la Rete si sta scatenando per protestare contro l'ultima decisione di questo popolare e fortunato social di cambiare le regole delle condizioni d'uso del servizio che prevederebbe l'utilizzo e lo sfruttamento delle foto degli utenti per fini commerciali. In altre parole, le foto che vengono caricate su Instagram potrebbero diventare di proprietà legittima dei creatori del servizio e quindi essere rivendute per fini pubblicitari senza il consenso dell'autore iniziale. Apriti cielo: è scattata la rivolta degli utenti per difendere il loro diritto di essere proprietari dei propri sacri scatti, minacciando di abbandonare il servizio prima del 16 gennaio, data di introduzione delle nuove regole. Sarà bastata la ribellione, ma il giorno dopo è arrivata la smentita, o meglio la rettifica della situazione: Instagram non venderà le foto degli utenti, abbiamo capito male (maledetto legalese, vero?). Tutti contenti e felici? Macché.
Perché bisogna tenere a mente sempre una cosa: i social network gratuiti non vivono d'aria, vivono grazie alle informazioni inserite dagli utenti. E non si parla di guadagno con il criterio "un tot ad utente", si parla di un guadagno attraverso la rivendita (o l'utilizzo smodato) dei dati sensibili e personali. E poiché la presenza su un dato social è (ancora) su base volontaria, l'utente deve essere consapevole della scelta che fa. D'altronde caricare fotografie su spazi altrui significa - piaccia o non piaccia - che la "proprietà" (anche solo fisica sui server) non è più nostra, o almeno non solo. Basterebbe solo questo per evitare le polemiche inutili di chi si sente tradito o subodora la possibilità che qualcun altro faccia soldi con le proprie "creazioni", di chi grida allo scandalo perché "sarebbe grave rivendere le immagini di bambini" senza averci pensato quando ha voluto condividere col mondo quello scatto. E' incredibile come la massa si accorga dei limiti di questi strumenti solo quando questi ultimi fanno il loro dovere, cioè fare business.

Solo il tempo ci potrà dire se il social network della fotografia da cellulare terrà salda la sua base di utenti, se introdurrà pubblicità o se si inimicherà la community. Rimangono solo due postille, che forse saranno dimenticate per via di questa smentita ma che non sono così accessorie. La prima: Instagram è stato acquisito da Facebook, un'azienda che fa degli utenti e della pubblicità che ne deriva la propria linfa vitale. Sembra quasi logico che il figliol prodigo si comporti come la creatura madre, senza contare che molte delle persone che hanno lamentato il cambio di rotta di IG sono le stesse che poi caricano album interi sul vostro social network preferito, non capendo che la differenza (commerciale) tra i due tipi di upload è praticamente nulla. La seconda: Instagram non "toccherà" la proprietà delle foto, ma concentrerà i propri sforzi di profilazione e rivendita pubblicitaria sulle attività dei suoi utenti, ossia attraverso i loro tag, le loro geolocalizzazioni, i loro like. Ossia, a voler pensare, attraverso un metodo più subdolo, ma legittimo. Il classico modello di business.

0 commenti: