domenica 30 giugno 2013

"IP IP", URRA'!

Non si accenna a placare il caso mediatico degli ultimi tempi che vede come protagonista un ragazzo(-uomo) che ha fatto sapere al mondo una notizia sconvolgente, ossia che le nostre comunicazioni sono spiate dai governi potenti. Fermo restando che l'accaduto può stupire solo chi non ha ancora capito i pro e i contro della Rete, non passa giorno in cui non vi sia l'aggiunta un dettaglio sulla vicenda, poco importa se riguardi le vicissitudini sull'asilo del fuggitivo o aggiornamenti sui modi e tempi del "controllo" dei dati altrui. A finire al setaccio delle investigazioni sovrastrutturali è finita addirittura la cara, vecchia mail: evidentemente le comunicazioni vecchio stile hanno ancora il loro potenziale di comunicazione, anche se da qui a dire che il controllo delle email possa risolvere il problema della sicurezza delle popolazioni del mondo ce ne passa, visto che probabilmente chi ha intenzioni malvagie non usa certo i sistemi più comuni; questo è abbastanza ovvio.
Quel che dovrebbe destare attenzione nell'opinione pubblica è - come sempre - la facilità di trattamento delle informazioni. Non è tanto il contenuto in sé di un'email a destare sospetti e allarmi, quanto la concomitanza di più fattori, soprattutto in tutto ciò che c'è dietro una comunicazione digitale. E qui entrano in gioco i cosiddetti metadati, vale a dire delle informazioni "nascoste" che sono perfette per l'archiviazione e la ricerca delle informazioni. Tra questi un metadato importante per poter stabilire se un'informazione è da "controllare" o meno è rappresentato dall'indirizzo IP, in grado di stabilire la provenienza geografica dell'informazione - di riflesso, del mittente. Facile dunque intuire come i metadati servano letteralmente a "schedare" le basi di dati, pur non riuscendo spesso ad attribuire un significato preciso a queste informazioni. Insomma, il metadato è solo un (buon) inizio, una specie di scaffale dove contenere una serie di folder personalizzati. Naturalmente l'archivio è da riempire, eppure un metodo per creare le cartelle personalizzate con informazioni ben dettagliate esiste. No, non è solo l'email. Nessun altra idea a riguardo?

lunedì 17 giugno 2013

MUSICA(L), MAESTRO!

There's no end / It's the Facebook way.
Quanta verità.

mercoledì 12 giugno 2013

IL CONTROLLO? E' "GARANTITO"

In giorni in cui è magicamente ri-esplosa la preoccupazione per la sorte dei nostri dati personali per via della scoperta di un programma tutto statunitense che controlla e incrocia le informazioni degli utenti della Rete, arrivano altri moniti abbastanza scontati, ma curiosi per via della tempistica. La (sempre troppo sottostimata) Autorità di Garanzia della Privacy ha stilato il consueto report sulle misure da attuare in materia di protezione dei dati personali, argomento in cui vi è una giungla di leggi poco chiare e interpretazioni conseguentemente nebulose. Ebbene, il sunto è che occorrerebbero delle norme più chiare per gestire il Web e i suoi sottoprodotti di interazione e produzione dei dati come blog e social network: la preoccupazione è per l'aumento della mole di dati (sensibili) disponibili che però è inversamente proporzionale al numero di entità (i cosiddetti Over the Top) che hanno il controllo diretto delle informazioni (pag. 13). Insomma: l'uso indebito di questi dati può andare avanti senza troppi ostacoli, pur essendo una questione che suscita non poche preoccupazioni. A distanza di anni la situazione di fatto non cambia, anzi: può solo prendere una piega sempre più tetra, almeno per quel che riguarda il discorso privacy. E per ogni persona non preoccupata dalla questione "tanto io non posto nulla di particolare, cosa vuoi che sappiano di me?" fa da contraltare la notizia secondo cui gli argomenti di cui più si parla sui social network sono i marchi commerciali e la politica. Ossia due ottimi soggetti da mettere nella cornice che riesce a costruire un quadro abbastanza veritiero di un utente. Cosa vuoi che sappiano di me. Magari il vicino di bacheca poco: di sicuro qualcuno all'ascolto e alla lettura "lì dietro" trova i suoi nessi. Garantito.

martedì 11 giugno 2013

UNA NO(TIF)I(C)A CONTINUA

Gestire tutta la mole di informazione proveniente dal Web sociale, Facebook in testa, diventa un'attività che può portar via un (bel) po' di tempo. Insomma, tra richieste, notizie e notifiche ci vorrebbe una seconda vita per la vostra seconda vita, quella digitale. E se tutte queste richieste si tramutassero in attività vere? Che considerazione avreste del vostro social network preferito, a quel punto? Un video prova a figurare la vita con Facebook nella vita di tutti i giorni. Dopo il video segnalato qualche anno fa, è il momento di qualche altro momento per sorridere. E magari di qualche altro momento per riflettere un minimo. Buona visione!

lunedì 10 giugno 2013

PRI(S)M-A CHE SIA TROPPO TARDI...

Il mondo dell'informazione internazionale ha avuto di che parlare in quest'ultimo weekend: all'orizzonte si è profilato un caso - ma che dico, uno scandalo! - di proporzioni mastodontiche, che fan fatica a star dentro i confini terrestri. Sì, perché se gli alieni avessero un cellulare o un profilo Facebook ci sarebbero dentro anche loro, e fino al collo. La notizia? La notizia è che il governo statunitense ha un programma in grado di accedere ai server dei più grandi colossi di comunicazione telefonica e del Web. Insomma, gli USA ci spiano, e la cosa non riguarda solo i cittadini sul suolo a stelle e strisce ma ovviamente anche e potenzialmente tutti gli abitanti di questa terra (anche se gli alieni...). Tutto nasce da una fuoriuscita di informazioni riservate per mezzo di una "gola profonda", ex-tecnico dell'agenzia di Intelligence statunitense, il quale ha spiegato quando, come e con che mezzi questo programma sia in grado di accedere, processare e interpretare tutti i dati scambiati tra persone. E, per quanto riguarda la trasmissione e la condivisione di dati digitali, è molto semplice indovinare quali siano le aziende coinvolte in questa "donazione spontanea" di dati sensibili. Facile capire anche quali aziende meglio si prestino alla fornitura di dati sensati, ossia quelli in grado di poter associare ad ogni dato scambiato anche un'identità (più o meno) precisa.
Detto questo, l'interrogativo vero è e resta uno solo: dov'è la notizia? Per carità, scoprire che effettivamente i nostri dati sono controllati in maniera più o meno capillare fa sempre scena, ma non deve - e non può - stupire. Perché il dato digitale e online ha un potenziale infinito in senso positivo e in senso negativo, senza vie di mezzo: pensando in maniera abbastanza razionale è facile intuire come tutto ciò che ci vien dato, ossia la possibilità di fare rete e di essere in Rete, ha un prezzo più o meno salato da pagare, e non inteso come costo di connessione. C'è chi pensa che il vostro social network preferito sia stato creato apposta per uno spionaggio "comodo" (e c'è chi non lo pensa), ma il punto è che probabilmente la mole di dati che circola nel mondo crea anche molta "carne al fuoco", e quindi uno chef in grado di controllare la cottura forse era ed è da mettere in conto. Dicono i saggi: su Facebook la gente non si fa i fatti degli altri, ma si fa i fatti che la gente vuole che si facciano. Ecco, aggiungete da oggi anche un lettore in più. Magari la prossima volta prima di condividere determinate informazioni pensateci. Pri(s)ma che sia troppo tardi.

martedì 4 giugno 2013

(AMNI)STIA IN GUARDIA...

Quando si posta un contenuto - una foto, un commento, uno status, un post - si pensa mai alle conseguenze che questo può generare? E non solo per un eventuale destinatario del messaggio (si sa, l'offesa è sempre dietro l'angolo, e spesso non vera), ma anche per le ripercussioni sul proprio ego, digitale e non. Il diario degli eventi passa e dimentica tutto, ma la Rete (spesso) no. E allora un messaggio dell'ultimo minuto o di qualche anno fa non fa differenza, se questo può comportare delle conseguenze anche gravi. Naturalmente la geografia crea i suoi bravi distinguo, nel senso che ci sono paesi in cui una cosa detta e/o fatta può far passare dei momenti di tensione, addirittura tragici. Insomma, in Italia (o in molti paesi occidentali) c'è una libertà di espressione (anche digitale) che altre nazioni possono solo sognare: anzi, neanche quest'ultima, perché abituati dalle legislazioni di quei paesi a ragionare solo in un determinato modo. Per provare a vedere (di nascosto) l'effetto che fa Amnesty International, famosa per la sua battaglia per la difesa dei diritti umani, ha creato Trial by Timeline, ossia una sorta di simulazione di possibili reati in base ai contenuti presenti sulle vostre bacheche. Avete "osato" dire la vostra a riguardo dell'ultima tassa introdotta dal Governo? Beh, sappiate che in Vattelappeschistan potreste essere processati sommariamente in pubblica piazza. Avete nominato un concetto "scomodo"? Beh, probabilmente a Trenetta & Tabacco la cosa vi potrebbe costare la pena di morte (Disclaimer: gli esempi potrebbero non essere reali). Insomma, l'applicazione scansiona i vostri contenuti e vi dice cosa rischiereste in determinati paesi in cui il concetto di democrazia è una lontana utopia. Resta solo un interrogativo: che pena c'è per i contenuti qualitativamente poveri? Rischierebbero in molti (me compreso, ovviamente).

lunedì 3 giugno 2013

DIGITO "ERDO" SUM

Concedere la piena libertà di espressione al popolo, soprattutto in quest'Era Digitale, può incontrare il favore della maggior parte delle persone, ma questo può mandare a monte dei piani costruiti passo dopo passo su scala nazionale. Prendete i paesi con un tasso di democrazia pari a quello del sex-appeal di un bradipo: è chiaro che qui i social media fanno un po' a pugni con i programmi di accentramento dell'opinione pubblica e della propaganda nazionale di alcuni leader "accentratori" di potere sparsi un po' per tutto il globo. Già qualche anno fa si era parlato del rischio che un capo di Stato orientale aveva intuito a ridosso delle elezioni, in cui i social potevano rappresentare una forma di opposizione non da poco per ostruire il piano di continuità alla brama di potere. Altro esempio è rappresentato dall'uso dei social da parte di un'intera popolazione per dire basta alla tirannia e scendere in piazza (sul serio!) utilizzando Facebook e compagni come cassa di risonanza per i messaggi di democrazia. Ultima della serie è una dichiarazione del Primo Ministro turco, al quale è stata prontamente affibbiata la nomea di (ma a questo punto si può dire che è stato "taggato come") dittatore a seguito degli eventi drammatici che stanno scuotendo la capitale del paese. Insomma, altro giro altra piazza da riempire, e sicuramente anche stavolta i social network si stanno rivelando strumento utile per aggregare, informare, colpire: insomma, sono usati per fini più che legittimi. Non è tardata la reazione istituzionale, ovviamente. Il Primo Ministro ha infatti dichiarato che Twitter è "la peggior minaccia alla società" e/o "un pericolo per la democrazia", poiché tante, troppe sono le menzogne che girano in soli 140 caratteri o in status update. Ovviamente la dichiarazione sembra più un tentativo di arrampicarsi sugli specchi piuttosto che una presa di posizione a cui credere, ma....ma è pur vero che esulando da questo caso specifico, Twitter e compagnia bella (ma anche i blog e in generale tutti gli UCG, per carità) possono essere ricettacolo di non-verità, di passaparola nati dal nulla e che possono avere conseguenze gravi, in molti campi. D'altronde, quante volte si sono sparse notizie false solo perché provenienti da tweet letti ma creati da chissà dove e non verificati? Ancora una volta il problema non è il mezzo, ma l'uso che se ne fa: e qui non c'è rivoluzione che tenga, poiché in alcuni casi è proprio il popolo che deve essere educato alla libertà di espressione.

martedì 28 maggio 2013

LINFA VITALE

Potenza dei social network. Non c'è dubbio che i social siano in grado di smuovere letteralmente ondate di opinioni, fatti, iniziative, fuori e (soprattutto) dentro i confini del sito-in-blu e di altre note piattaforme. Non c'è giorno (suppongo) in cui non arrivi la richiesta per far parte di un gruppo, di un evento, di un'iniziativa che mira ad arrivare potenzialmente a milioni di amici e follower: capita poi che alcune campagne a metà tra la sperimentazione e la pura pubblicità travalichino i confini virtuali e si sposino con eventi concreti, alimentandosi - letteralmente! - della potenza che solo la condivisione massiccia è in grado di realizzare.
L'ultima trovata si chiama MindDrive, ossia un viaggio per mezzo di una macchina elettrica realizzabile solo con l'aiuto di determinate azioni effettuate sui vari social media. Già, il carburante per muovere questa auto da Kansas City a Washington (Stati Uniti) dipende da (condi)visioni, like e follow. La legenda parla chiaro: un'azione sui vari social (Facebook, Twitter, Youtube, Instagram) corrisponde ad un tot di Watt che servono a dar elettro-linfa all'auto portatrice di un'iniziativa di sensibilizzazione. Insomma: un commento o un 'mi piace' è convertito in energia per mandare avanti la causa (e la macchina).
Iniziativa senz'altro particolare, che fa intendere come effettivamente il nuovo popolo del Web possa fare tanto, o comunque far qualcosa a livello globale. Certo, pensare che le azioni sui social possano dare benzina ad un'automobile fa riflettere: fa pensare anche che le stesse azioni altro non fanno che alimentare il progetto di chi i social li realizza e li mette a disposizione degli utenti, soprattutto per il proprio rendiconto economico. Ovvero, un'altra forma di lauto carburante: finché ci saranno gli utenti a sostare in queste stazioni di servizio il "pieno" è garantito, e non c'è bisogno neanche di pagare i supplementi. I dati degli utenti sono più preziosi di un litro di verde, poco ma sicuro.

lunedì 13 maggio 2013

DIRITTI & DOVERI

Negli ultimi tempi sembra ci sia un po' di (troppo) fermento intorno a blog, social network e più in generale intorno al modo e ai modi di partecipazione in Rete. E' notizia di qualche giorno fa - apparsa praticamente su tutte le testate nazionali - dell'abbandono di Twitter da parte di un notissimo giornalista italiano. Il motivo? Troppe critiche, troppi insulti: i contro superano i pro e il notissimo giornalista ci lascia, socialmente parlando. Il punto forse non è capire i perché dell'abbandono: il punto è fare di questa notizia una notizia rilevante, nel senso che non sembra un evento di portata tale da scatenare un dibattito su scala nazionale, con tutto il rispetto e l'ammirazione che si può avere per la persona in questione (e per il gesto che ha compiuto). Forse il problema è sempre il solito: capire quanta rilevanza hanno i social all'interno delle nostre vite, delle nostre interazioni, dei risvolti nella vita reale. Addirittura si è arrivati a ipotizzare un sacrosanto diritto ai social network, come se fossero cose nostre, intime, personali, create da noi. Beh, in parte è così, in parte forse no: si tratta "solo" di mezzi, di strumenti, e sta ad ognuno di noi saperli utilizzare al meglio. Poi purtroppo c'è tanta, tanta (troppa) maleducazione e libertà di espressione - nel senso che ognuno dice quel che vuole senza pensare a ciò che vuol dire scrivere su Internet - al punto che si arriva a ritenere che Internet sia soprattutto dei "bulli", e dunque occorrerebbe una regolamentazione, senza sfociare ovviamente nella censura preventiva.  E' la solita, annosa questione dell'educazione in Rete e dell'educazione alla Rete, ossia qualcosa che andrebbe insegnato sin da piccoli, visto che ormai le nuove generazioni sono quelle dei nativi digitali (mandare a ripetizione le generazioni meno giovani male non farebbe, tuttavia): più che un diritto è un dovere, quello di essere consapevoli di questo tipo di comunicazione. Naturalmente questa visione è molto più complicata di quella assolutamente libertina che è un po' l'asse portante di Internet e che, va detto, ha fatto la fortuna dei social network proprio per l'opportunità che questi hanno dato di allargare la base degli utenti "attivi" in Rete. La questione tocca anche i "vecchi" blog e forum, e addirittura in questi casi si è arrivati a condannare i gestori di questi mezzi (forse perché il Signor Facebook e il Signor Twitter sono troppo difficili da scomodare) per i contenuti prodotti da altri utenti. E' vero, ormai avere un blog (parlo di quelli di successo e non questi di estrema, infima periferia, beninteso) è come avere un lavoro, dunque occorre tenere tastiera e occhi sempre aperti: il rischio è quello di pagare per colpe altrui, il rischio è quello di degenerare nella deriva dei contenuti mediocri. Forse è il rischio di dar parola a tutti, ma proprio a tutti.

domenica 5 maggio 2013

PUBBLICA PUBBLICITA'

Non si scopre l'acqua calda affermando che l'introito principale nelle casse di Facebook arriva attraverso la pubblicità. Sono infatti le inserzioni pubblicitarie la miniera d'oro del vostro social network preferito, non solo per la concessione di spazi entro i quali si possono mostrare prodotti interessanti, ma anche (e soprattutto) per lo sfruttamento dei dati degli utenti per la visualizzazione di inserzioni personalizzate. E' tutto sommato una logica "normale", soprattutto in virtù del fatto che FB resta un sito gratuito, per cui in qualche maniera deve monetizzare attraverso altre forme, come fanno peraltro tantissimi altri siti: in fondo, si tratta di una strategia figlia della possibilità di elaborazione delle informazioni digitali. Agli analizzatori più attenti fa magari storcere il naso il modo in cui i nostri (vostri) dati vengano elaborati e ripresentati sotto forma di inserzioni pubblicitarie: non una visualizzazione in base alle vostre ricerche (volontarie) ma in base ai vostri interessi, elaborando dichiarazioni in bacheca, informazioni personali e soprattutto like. Esiste poi una serie di  strumenti a disposizione degli utenti che altro non fa se non aumentare la possibilità di analisi dei dati per personalizzare al massimo la proposizione di pubblicità. Insomma, FB e compagnia rischiano di aver tirato un po' troppo la corda, ma la partita non sembra ancora chiusa. Anzi, apre le porte agli acquisti fisici nei negozi.
Infatti, dopo l'introduzione della tecnica di riconoscimento facciale negli esercizi commerciali e l'associazione con gli account Facebook dei clienti, una nuova strategia commerciale punta all'elaborazione dei dati relativi agli acquisti effettuati dagli utenti nei negozi reali e riproposti con precisione maniacale nelle vostre bacheche. Il servizio si chiama Partner Categories, e di fatto fa entrare Facebook (anche) nei vostri acquisti quotidiani - e offline. Una specie di volantino personalizzato, in pratica. Forse è l'inevitabile evoluzione del commercio: resta il fatto che il sito leader della creazione e condivisione di contenuti personali ha varcato i propri confini, e forse si prepara all'invasione definitiva delle abitudini degli utenti-persone.