martedì 24 luglio 2012

SEMO TUTTI CRIMINALI *

Vero, la tecnologia aiuta tutto e tutti in numerosi campi e nella vita quotidiana. Ma, come sempre, occorre capire quanto e cosa ci aiuta, fino a che limite, e capire soprattutto cosa c'è, oltre quel limite. La riflessione odierna non coinvolge solamente Facebook (ma gira che ti rigira il suo livello di "responsabilità" c'è), ma proprio la tecnologia in generale, spaziando dunque da un semplice sito Web agli apparecchi elettronici che forse forse, a ben vedere, così indispensabili come li dipingono non sono.
"Padre" di quello che è un velato attacco alla tecnologia a tutti i costi è un articolo apparso su Corriere.it un paio di giorni fa, a firma di Evgeny Morozov. A causa dei suoi scritti l'autore è uno classificabile come amato o odiato, senza mezzi termini: quel che si evince, tuttavia, è che Morozov è un appassionato di tecnologia proprio perché ha saputo distinguere ciò che è utile e ciò che lo è meno, ciò che è indispensabile e ciò di cui si può fare a meno, coloro che subiscono fascino e influenza e coloro che dalla tecnologia si fanno aiutare, sì, ma fino ad un certo punto, perché sanno che l'abisso è dietro l'angolo.
Tema del suo scritto è la nuova frontiera delle forze dell'ordine, vale a dire la prevenzione dei crimini grazie a speciali algoritmi che scandagliano il web - e ovviamente i social in particolare - alla ricerca di potenziali reati
virtuali e non. L'esperimento sul campo è attualmente portato avanti dalle forze di polizia di Los Angeles (Stati Uniti), ma la questione riguarda anche soggetti privati come appunto i social network o i "semplici" siti di e-commerce come Amazon.
In realtà la potenza di FB non conosce rivali, visto che spesso anche gli stessi tutori della legge si rivolgono ai propri cittadini attraverso il vostro social network preferito. La questione, come sempre, è alla base: concedere tutti i propri dati ad aziende private pone un grosso problema di privacy, è ovvio, ma anche la possibilità alle aziende stesse di provare a capire come fare un uso profondo di questi dati. E si arriva a scoprire (ma la cosa di fatto non sorprende) che Facebook spia le chat alla ricerca di parole-chiave potenzialmente pericolose, quindi di soggetti che in teoria potrebbero usare questi strumenti per fini non giusti. In teoria, appunto, perché il confine tra verità e finzione, tra intenzionalità e il suo contrario - sopratutto sul Web- è tutto da verificare. Senza contare che a fare tutto questo non è un organismo di polizia, ma un soggetto privato, teoricamente soggetto ad arbitrarietà. Fino al prossimo grado di giudizio, dunque, siamo tutti potenziali criminali, e potrebbe non essere sufficiente dire "ma stavo scherzando": l'algoritmo ha già emesso sentenza.

* = liberamente ispirato alla creatività capitolina...

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