lunedì 1 agosto 2011

LA LINGUA DEL VATE? NEL WATER...

Tutte le lingue si evolvono, e quella italiana non fa eccezione. Non lo dico io, lo dicono gli esperti, gente seria. Fatto sta che una serie di contingenze porta ad un naturale cambiamento del modo di esprimersi delle persone, a seconda del soggetto in discussione, del rapporto tra i parlanti, del mezzo usato per la comunicazione e così via. Quel gran signore che è il tempo, poi, porta all'affermazione di nuove parole e nuovi modi di espressione, magari a discapito di forme che via via diventano desuete e antidiluviane (ecco, appunto...).
L'avvento dei media digitali - Internet su tutti - ha sicuramente accelerato questo processo dinamico-evolutivo delle lingue. Senza star qui a far finta di fare l'erudito, il succo della questione è che l'allargamento della base di utenti che ha a disposizione strumenti di espressione di contenuti ha anche complicato (e di molto) la situazione linguistica. Pensate al linguaggio di Internet (anche se si dovrebbe dire del Web), e pensate a quelle che diventano quasi automaticamente delle norme stilistiche che si trovano online. Pensate al linguaggio che si trova in alcune risorse molto note sul Web: ecco, a me viene in mente il vostro social network preferito, ma non sono l'unico. In un post di un blog di Repubblica intitolato La lingua italiana si trasforma con i social network si parla di uno studio il cui obiettivo è quello di mostrare come l'uso improprio di alcune forme linguistiche convenzionali (e che in realtà sono una prassi su Internet) sia poi automaticamente riportato nella vita reale. E dunque che si scriva agli amici o agli accademici è possibile che scappi qualche nn, dmn, enigmatici dpdmn e secchiate di altri esempi del genere. Nell'articolo si sottolinea come lo studio sia stato effettuato su un campione di giovani baresi e milanesi (forse ignorando il fatto che spesso a Milano è più facile incontrare un barese piuttosto che un Brambilla), e ciò che emerge è una marcata propensione all'utilizzo errato di forme basilari della nostra lingua. Insomma, se per molti la copula è (forse) un modo di vantarsi di aver rimorchiato su Facebook, proprio Facebook diventa (probabilmente, si afferma nell'articolo) il mezzo di diffusione di questa "malattia terminale" della lingua (sempre dal "pezzo" citato).

Passi lo studio, passi la logica del dito-contro-Facebook, ma forse occorre anche aggiungere un paio di punti. Innanzitutto, va detto che questa tendenza non è prerogativa esclusiva di FB, ma dell'intera Rete: un giretto sul Web tra forum, blog o nelle sezioni social dei portali di informazione può fornire una prova schiacciante a proposito dell'uso non proprio dantesco dell'italiano. Persino queste pagine diventano frammenti della Rete, e onestamente io proprio non sono il sommo Vate (errare è umano, però almeno cerco di rileggere prima di pubblicare dei contenuti). Certo, come in ogni cosa c'è situazione e situazione, e il problema è quindi l'uniformazione degli stili in situazioni completamente differenti. Insomma, se tra qualche anno il cmq finirà sui dizionari al posto del suo corrispettivo "classico" la colpa (o il merito, a seconda dei punti di vista) è del Web. E forse sì, la mazzata più pesante magari l'avrà data il vostro social network preferito.

1 commenti:

Lella ha detto...

Eppure, senza le volgarizzazioni dantesche l'italiano non sarebbe mai stato così "fertile":
http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/leggereDante///Fertile.pdf

1 scc d altr cse intrssnt qui:
http://www.indire.it/leggeredante/content/index.php?action=read_cat&id_cnt=4122