sabato 6 aprile 2013

NON TE LA FOT(T)O

I nostri dispositivi digitali - utili o inutili che siano, e indipendentemente dal fatto che possano creare una sorta di sovradipendenza - sono ormai tra le cose più preziose che abbiamo, non solo perché ci costano un occhio della testa (specialmente certi aggeggi) ma anche e soprattutto per le informazioni in essi contenute. Dalla semplice rubrica dei contatti alle immagini scattate con il telefonino, questi apparecchi sono nostri proprio perché contengono qualcosa di unico e irripetibile, ossia i nostri dati. Logico pensare che in caso di smarrimento o furto la sensazione di aver perso qualcosa di raro vada ben oltre il valore intrinseco dell'oggetto stesso.
Va da sé immaginare che esistano dei metodi per ovviare alla possibilità che smartphone e affini possano cadere nelle mani sbagliate. D'altronde basta girarsi un attimo e il telefonino o il tablet ultimo modello possono finire nelle mani di qualche "approfittatore" della distrazione altrui. Ma d'altronde siamo nell'Era Digitale nella quale tutto è possibile, e per questo motivo esistono dei veri e propri antifurto per i dispositivi elettronici: basta sfruttare alcune tecnologie come la localizzazione geografica e il ladro è bello e smascherato. C'è più di un'azienda in grado di fornire questi prodotti per una vasta gamma di dispositivi: come detto, le potenzialità degli apparecchi digitali sono pressoché infinite, poiché ogni strumento ha un suo numero di serie specifico, una sorta di identificativo unico. Ma nel settore delle apparecchiature che prevengono il furto ce n'è una che forse è più inquietante di tutte: si tratta di un programma in grado di risalire allo specifico device partendo da una semplice fotografia. Sembra assurdo, ma in fondo non lo è: proprio le immagini in digitale hanno una sorta di doppio "strato", vale a dire quello visibile della rappresentazione oggettiva dello scatto e uno strato sicuramente meno artistico, dato da informazioni supplementari (formato, dimensione, caratteristiche tecniche) che di fatto fanno sì che l'immagine possa essere visualizzata. Basta inserire il modello e il codice identificativo e il programma è in grado anche di cercare nel Web alla ricerca di foto rubate (è il caso di dirlo) o semplicemente copiate. Insomma, un modo non solo per tutelare l'oggetto "fisico", ma anche i propri scatti d'autore.
Per carità, quelli descritti sono strumenti sicuramente utilissimi: tuttavia, ci lasciano anche comprendere quanto ormai anche oggetti "banali" come una macchina fotografica o un cellulare dicano così tanto, e in maniera indiretta anche di noi (possessori). Ci lasciano anche comprendere come sia possibile estrapolare informazioni aggiuntive anche da una semplice foto, scattata magari con la fotocamera del telefono, e qui la patata si fa abbastanza bollente, se consideriamo la facilità con cui siamo soliti condividere foto online, soprattutto sul vostro social network preferito. E' contemporaneamente il bello e il brutto dell'estremizzazione del nostro rapporto con le nuove tecnologie: come sempre, solo la consapevolezza d'uso ne determina la coesistenza pacifica o (digitalmente) aggressiva.

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