venerdì 6 giugno 2014

"CARTA" CANTA...

Internet, la libertà. La libertà di dire ciò che si vuole - prendendosi le proprie responsabilità, valutando ciò che si scrive, pensando alle possibilità che possono scaturirne: ma questa è un'altra storia -, la libertà di poter condividere potenzialmente con il mondo intero le proprie cose. In un mondo ormai dominato dai social network, in cui grandi portali di concessione di un profilo, di un nome o di uno pseudonimo categorizzano e schedano le nostre identità, esistono anche casi spinosi in cui non è tanto la logica personale a prevalere quanto quella puramente commerciale. Ah, Internet esisterebbe anche per fare piccoli-grandi-affari con il globo, se si ha un po' di organizzazione, fortuna e entusiasmo, e non solo per comunicare con il vicino o lontano di casa. Solo che aprirsi una vetrina digitale dei propri prodotti non è procedura da sbrigare e inventarsi una mattina: esistono delle regole, esistono delle procedure, ed esisterebbero in teoria anche degli organismi di controllo della diffusione dei cosiddetti "nomi su internet"- ma non li conosce nessuno, e anche se fosse, io voglio quel nome per il mio sito, punto. Ché la Rete sarà anche anarchica, ma qualcuno a tirare i fili della faccenda c'è. C'è sempre.
E c'è anche la solita faccenda dell'abuso di potere o di posizione superiore, e solo perché la legge del più forte di solito, vuoi o non vuoi, funziona sempre. Only the strong survive: in tempi digitali, si può dire che chi ha più big data ed è sulla bocca di più persone si può arrogare il diritto di non ascoltare gli altri e, in un certo senso, di infrangere le regole o considerarle solo quando fa più comodo.
La storia è questa: in un mercato digitale ormai dominato dagli store, grandi mercati in cui è possibile acquistare software per i propri dispositivi elettronici come computer e (soprattutto) smartphone e tablet, si affaccia un bel giorno un'applicazione dal nome tanto semplice quanto efficace, soprattutto per chi mastica la lingua della "perfida Albione": Paper, uno strumento per tirar fuori la parte graficamente più artistica degli utenti. Libera app in libero market, verrebbe da dire: e infatti, l'applicazione è apprezzata tanto da vincere anche il premio come miglior software-da-melafonino del 2012 e qualche altro riconoscimento qui e lì: non male, insomma; non l'ultimo dei software, ecco. E poi? E poi arriva Facebook, che nel corso del 2013 si inventa e lancia Paper, un'applicazione per condividere storie e notizie attraverso e grazie al vostro social network preferito. In un mondo normale no, le due applicazioni non dovrebbero avere lo stesso nome: possono anche avere obiettivi diversi, layout differenti, utenze agli antipodi ma no, in teoria il mercato su cui sono ospitate le applicazioni tende a differenziare i prodotti, quantomeno per ciò che riguarda la nomenclatura. Sicché, delle due l'una: Paper deve diventare in modo univoco il nome di una o dell'altra app. Vince la terza via, come spesso accade: Facebook si rifiuta di cambiare il nome al proprio prodotto - d'altronde il nome è tremendamente efficace, vale la pena ripeterlo - nonostante sia arrivato dopo, per cui varrebbe in teoria il principio del first come, first served, e non solo nel campo delle applicazioni digitali. E quindi Paper (quella di Facebook) è ancora lì, con il suo nome tremendamente efficace (già detto? Già detto): "l'altra" Paper, che poi sarebbe quella originale ma nell'immaginario collettivo magari no, continua a mantenere il suo nome ma ecco, c'è rimasta un tantino male ma è forse consapevole che contro i giganti è dura lottare.
La vicenda solleva il solito interrogativo, o quantomeno la riflessione secondo cui dove non arriva l'ingegno ci arrivano i potenti mezzi dell'essere potenti. L'episodio ricorda un po' la diatriba su un sito già legittimamente registrato ma "rubato" letteralmente da un omonimo più famoso. E ricorda che quando si è trattato di omonimia, il Signor Facebook ha già fatto valere le sue forti ragioni, anche per l'azienda che dirige. Che storia: da raccontare magari su Paper. L'altra, s'intende. Non quella originale.



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