giovedì 28 marzo 2013

UNA LOBBY COME HOBBY

Quando un personaggio potente "scende" o "sale" in campo politico è indubbio il tentativo di acquisire potere, popolarità e responsabilità. La cara, vecchia ars politica è oggi rappresentata da personaggi spesso diversi dal passato, ma in fondo è forse solo quel che ci meritiamo noi cittadini d'oggi. Insomma: paese che vai, politico che trovi. Negli Stati Uniti capita invece di trovarsi di fronte ad un esponente principale che tuttavia rappresenta solo la punta di un iceberg molto, molto più grande e che ha alla base dei poteri forti soprattutto dal punto di vista economico. In inglese si definiscono lobby, parola comunemente usata anche da noi e spesso con un'accezione negativa: l'alternativa linguistica nostrana è un'espressione non meno significativa sotto questo punto di vista, ossia gruppo di pressione.
Facile dunque comprendere il ruolo di queste organizzazioni: far fronte comune su alcune tematiche di interesse per un determinato paese - siano queste economiche, finanziarie, sociali, culturali e chi più ne ha più ne metta - e cercare di far sì che gli esponenti politici ufficiali conducano in porto queste problematiche. Per farlo, genericamente servono molti, molti soldi: d'altronde, gli USA sono un paese abbastanza grandicello. E' notizia di qualche giorno fa la notizia secondo cui Mr. Facebook in persona stia creando una di queste lobby  e che il budget stabilito sia ovviamente a parecchi zeri. E' il preludio per la fondazione di un vero e proprio partito oppure una strategia per esercitare potere rimanendo nell'ombra? Quale che sia la verità, è difficile pensare che si possa creare gruppo senza scopo di lucro (!!!) per il solo interesse verso il proprio paese. Difficile pensare che un personaggio così influente possa lasciare indifferente l'opinione pubblica. E al sol pensiero che disponga del mezzo più potente per fare una campagna elettorale ultra-mirata per ogni singolo utente e/o potenziale elettore vengono i brividi (agli eventuali avversari politici, è chiaro). Chissà quali piani vorrà intraprendere: d'altronde, volere è Potere.

lunedì 25 marzo 2013

A "FRANK" STATEMENT

Di impostori, bari e criminali è piena la storia, ed è opinione comune che le loro vicende esercitino un grande, innato fascino sul grande pubblico. Se i soggetti in questione sono anche malfattori "buoni", nel senso che non hanno lasciato efferate scie nella loro carriera, allora ci sono tutti i crismi perché quasi si parteggi per loro. La storia di Frank Abagnale è possibilmente una di queste: truffatore di professione, è una persona a suo modo leggendaria, tanto da aver ispirato le vicende di un fortunato film di qualche anno fa (a cui si è già fatto riferimento in queste pagine). Un antieroe positivo, dunque, soprattutto a seguito della sua "conversione": oggi, infatti, Frank gira il mondo (legalmente, stavolta) per condividere la sua esperienza di campo, stavolta non dalla parte dei cattivi. Vien quasi logico chiedere cosa farebbe il buon Frank ai tempi di Facebook e fratelli. La risposta lascia quasi interdetti, ma in fondo è pienamente giustificabile. Abagnale ammette che se avesse avuto all'epoca la possibilità di accedere alla stessa mole di dati che circola oggi nei social network avrebbe ottenuto un compito facilitato migliaia di volte. Egli dunque mette in guardia gli utenti a proposito della facilità di questi ultimi di pubblicare dati sensibili, commenti e like: di fatto si tratta di piccoli elementi di un puzzle ricostruibile in modo agevole e che si presterebbe a comodi furti di identità, con conseguenze facilmente immaginabili. Frank, tuttavia, non è un "integralista" in fatto di social network: i suoi figli sono iscritti a Facebook, ma lui preferisce starne alla larga (e se lo dice lui...); tuttavia, il suo monito punta maggiormente al senso di educazione nei confronti della tecnologia, piuttosto che alla repressione totale. Quella della cultura digitale è però una partita molto difficile da giocare e da vincere, vista l'eterogeneità degli utenti: d'altronde è proprio su questa diversità che i giganti del Web monetizzano non poco. Frank è (stato) maestro dell'inganno: forse è per questo che può parlare della questione con cognizione di causa.

venerdì 22 marzo 2013

POST-DIETA

Recita il detto popolare: i politici dovrebbero dare il buon esempio. Niente di più vero, forse soprattutto in questo momento storico per il nostro paese, ma non solo. D'altronde sono o non sono i nostri rappresentanti? Come tali, dunque, essi dovrebbero tenere una condotta che sia consona al blasone che l'Italia ha sempre avuto nel tempo (e chissà se manterrà ancora, va detto).
I recenti risultati elettorali ci hanno consegnato un'Italia spaccata non più in due, ma in tre modi di pensare spesso diametralmente opposti fra loro e difficilmente aggregabili secondo linee guida comuni. E' stata anche una tornata elettorale svoltasi anche per mezzo dei social media, e proprio grazie a questi strumenti "vecchi" e nuovi si è potuto dar voce all'inquieto malcontento di una (sempre più grande) schiera di cittadini-votanti. Ma l'attenzione è rivolta soprattutto ai comportamenti dei politici: tra questi, probabilmente slegato da logiche pure di formazione di governi dell'ultima ora (o forse no?), c'è il gesto di un politico figlio della "nuova" ondata degli esponenti della classe politica nostrana. La persona in questione è ben conscia del valore che ha uno scambio digitale con i cittadini, al punto da aver fatto sorgere più di un dubbio sulla metodologia utilizzata per creare eco mediatica e digitale durante la scelta del candidato da proporre per governare la nostra Nazione. La strategia ha forse pagato con ritardo o forse è solo figlia dell'attuale situazione in cui ci troviamo, visto che si parla del politico che attualmente - ma i dati in politica, si sa, oscillano subito pericolosamente - riscuote il più alto tasso di fiducia tra i cittadini. Eppure, ecco il gesto "eclatante": troppo dipendente da Facebook e Twitter, il giovane politico ha dichiarato di aver rimosso (chissà per quanto) le due applicazioni dal suo cellulare per evitare l'eccessiva dipendenza. Non sarà una chiusura totale, visto che continuerà a mantenere vivo il rapporto digitale con fan e follower nelle cosiddette ore d'ufficio e attraverso un tablet o un computer tradizionale. Non c'è che dire: una condotta da apprezzare quantomeno nelle intenzioni, e si spera che alcuni utenti bipartisan imitino tale gesto avendo compreso che una dipendenza morbosa nei confronti di questi strumenti può creare problemi. Insomma, l'auspicio è che non si tratti di un'azione fine a se stessa. Un gesto di rappresentanza, appunto.

martedì 19 marzo 2013

UN'APPLICAZIONE DA P...ODIO

- They see me rollin', they hatin' - 

Nel gioco degli opposti, notoriamente ciò che piace non può non piacere e viceversa (anche se "restare indifferenti" è un'opzione di mezzo, ma non è questa la sede per essere pignoli). Capita dunque che il concetto del "mi piace", base portante dell'ultimo concetto di Web e di Facebook in particolare, si presti ad una riflessione d'obbligo: cosa fare in caso di qualcosa/qualcuno che non piace? E cosa fare se questa assenza di gradimento fosse così grande da trasformarsi in odio? Beninteso, quest'ultima parola è molto (fin troppo) d'impatto (questo blog ne saprebbe qualcosa...), anche se è ormai parola abusata e che nel linguaggio comune spesso perde la sua forza: vero è che leggerla o sentirla richiama giocoforza delle impressioni nette, chiare, precise.
Dev'essere da questo presupposto che è stata creata un'applicazione per smartphone che libera la nostra voglia di dire al mondo quanto si odi questo o quello. L'app si chiama Hater (e come, sennò?) e altro non fa che stabilire una classifica di ciò che non-si-ama. Dal traffico cittadino al ballo del momento al "cantante" idolo delle ragazzine, tutto è a portata di dito e si può (virtualmente) odiare in un attimo. Si potrà odiare anche l'applicazione stessa? Quel che è vero è che si tratta di un sistema "esterno" al vostro social network preferito, poiché l'idea non positiva del tasto "dislike" è tanto richiesta dagli utenti quanto osteggiata dal sito stesso. Piaccia o non piaccia, ovviamente.

venerdì 15 marzo 2013

TAGGA CHE TI PASSA

"Facebook is where you find the people you know, Twitter is where you find the people you should know"

Con queste parole si può sommariamente delineare la differenza che intercorre tra i due social network attualmente più usati al mondo. Sarebbe infatti riduttivo accomunare Facebook e Twitter solo perché hanno la stessa logica di fondo: di fatto, sono due prodotti diversi, usati mediamente con funzioni diverse. E hanno basi di fan sostanzialmente distinte al punto da farli diventare una rappresentazione di un certo modo d'essere (digitale e non solo) e un tendenziale modo di agire sul Web. Senza contare l'aspetto puramente stilistico: Twitter è un po' più "macchinoso", perché oltre al limite di caratteri e una sintassi più chiusa si distingue per la presenza di alcuni caratteri speciali che di fatto ne hanno stabilito successo e popolarità. Perché sono gli hashtag la vera particolarità di Twitter, e di fatto la sua esclusiva.

E invece no, o almeno pare di no. Già, perché l'idea di Facebook è quella di introdurre i cancelletti anche nel vostro social network preferito. Puro scimmiottamento del suo concorrente o un'altra (astuta) mossa per i propri fini? Al di là dell'aggiunta di una nuova funzione per i propri utenti, i tag testuali sono un ottimo modo per categorizzare i dati. E categorizzare altro non vuol dire che incanalare le informazioni per i fini più disparati. E' forse l'ennesimo tentativo per dare sempre più ordine alla quantità immane di dati che passa dalle parti di Facebook, e l'ulteriore conferma che con le sue ultime caratteristiche, ossia Graph Search e il nuovo feed di notizie FB è ora in grado davvero di mettere le mani sull'oro del nuovo millennio, ossia le informazioni mirate utili per fini commerciali. Un esempio pratico: una foto postata dall'utente X raffigurante una nota bevanda dissetante e scattata il 15 agosto. Commento alla foto: buooooona! Cosa apprenderebbe FB da questa interazione digitale? Poco. Stesso scenario, ma con l'aggiunta - dopo l'esclamazione - del tag #nomedellabevanda (cioè non proprio così, ma con il nome specifico...). Cosa apprenderebbe ora il social da questa affermazione? Sicuramente qualcosa in più, perché ha dato la possibilità di "dire" maggiori informazioni rispetto al caso precedente. E ciò aggiungerebbe un'informazione potenzialmente utile per fini commerciali alla già nota base di dati dell'utente X. Moltiplicate questo scenario per un miliardo di utenti: capirete il perché dell'implementazione di questa caratteristica. Un modo per aprire definitivamente il cancelletto che teneva chiusa la voglia di esplicitare ancor di più il proprio io digitale.

giovedì 14 marzo 2013

LIMITAZIONE PUBBLIC(IT)A(')

Ancora la pubblicità al centro del dibattito e delle critiche nei confronti dei social network, anche se non è una novità. La notizia del giorno è il "richiamo" da parte di una commissione di vigilanza statunitense nei confronti di Facebook e Twitter per uso troppo spinto delle informazioni degli utenti per fini pubblicitari, appunto. In sostanza due dei principali social dovrebbero attuare strategie di diffusione dei contenuti commerciali più vicine ai media tradizionali, ossia probabilmente più "neutre" e sicuramente meno profilate.
Eppure forse bisognerebbe spezzare una lancia nei confronti di queste piattaforme: o meglio, forse bisogna capire dove si è arrivati nell'utilizzo di questi strumenti anche per fini commerciali. Perché se si parla di pubblicità su Facebook e dintorni, di fatto, si parla di due tipi di fruizione dei messaggi di questo tipo, ossia uno passivo e uno più attivo, se così si può dire. Quello passivo altro non è che la pubblicità "standard", ossia quella che compare negli spazi appositi. D'accordo, probabilmente il succo della questione è che quelle pubblicità colgono fin troppo nel segno e non compaiono in maniera così casuale, visto che attingono dati dalle informazioni degli utenti. I media tradizionali non agiscono così, anche se una forma di categorizzazione e profilazione della pubblicità esiste per esempio nella cara vecchia televisione: pensate alle fasce orarie specifiche, ad esempio quella dei cartoni animati, e ovviamente durante le pause vi sorbirete quasi esclusivamente promozioni di giocattoli e affini. Esiste però anche quella che si può definire la pubblicità attiva, ossia quella che produce contenuti promozionali direttamente attraverso i social network. D'altronde perché non sfruttare questo enorme database di persone (e di preferenze ben individuabili) per esser a stretto contatto con loro? Ecco allora il fiorire delle pagine Facebook di piccoli e grandi brand che fanno marketing quasi a costo zero e con ritorni non indifferenti. Insomma, se si arriva a tutto questo forse è il mercato che lo chiede o che se lo fa imporre, e non è detto che la colpa sia del social network in sé, ma del suo uso derivato. Una volta c'era Carosello, e poi tutti a nanna: ora c'è una pubblicità molto più penetrante, molto più diretta, tremendamente più efficace. Con la speranza che ogni tanto si vada a nanna, o meglio, si faccia logout.

sabato 9 marzo 2013

TESTIMONE (IN)VOLONTARIO

Facebook sta alla pubblicità come la coperta sta a Linus: un binomio imprescindibile. Già, perché da qualche parte il vostro social network preferito deve pur attingere per arrivare a fine mese: e allora perché non negare la visualizzazione di qualche annuncio pubblicitario, magari perfettamente ritagliato sui vostri gusti, preferenze e piaceri? Beh, poi può capitare che i testimonial di cotante pubblicità siano i vostri "amici" che ci mettono (letteralmente) la faccia, in modo da rendere più diretto e di fiducia il messaggio veicolato. Capita, soprattutto se il consenso per l'attivazione di questo servizio è fornito di fatto di default ed è più facile lasciarlo così che rimuoverlo. Poi ogni tanto spuntano degli articoli che spiegano come evitare il problema: e dire che spesso le modifiche alle impostazioni degli utenti di solito vengono "magicamente" ripristinate a piacimento (di Facebook) in concomitanza con l'introduzione di nuove caratteristiche nel sito. Magari è successo di nuovo ieri: un motivo in più per dar (un minimo) retta agli articoli che titolano "ecco come impedirlo".

venerdì 8 marzo 2013

B.F.D.*

L'evento Facebook forse è passato un po' troppo inosservato da queste parti, ma ha segnato in effetti un (altro) cambiamento importante per il vostro social network preferito. Oltre al già citato (e già discussorestyling grafico, il cuore dell'innovazione risiede nella nuova sezione dei feed delle notizie: uno strumento nuovo e aggiornato per essere sempre in contatto con le notizie, siano queste del proprio vicino di casa o dello sconosciuto dall'altra parte del mondo. Si tratta di fatto di una maniera accattivante per fidelizzare "la clientela" e farla uscire sempre meno dal proprio sito; una modalità accentratrice senz'altro molto comoda, ma da gestire con i dovuti distinguo, poiché la bellezza di Internet è (anche) quella di scegliere liberamente il modo di gestire l'informazione secondo le proprie necessità. Insomma, l'obiettivo dichiarato di Facebook è quello di creare un nuovo medium di informazione a mo' di quotidiano online, ma anche e soprattutto quello di fare in modo che "tutti condividano tutto", e non credo che la cosa sia pensata necessariamente per pura filantropia.
Dietro tutto questo ci può essere un desiderio di (far) creare sempre più dati, più informazioni, più flussi digitali. E' il cosiddetto Big Data il nuovo centro del mondo (digitale ma non solo), ed è il neanche-troppo-velato principio attraverso cui si potrà davvero stabilire un nuovo paradigma di potere. Perché il B.D. è l'accumulo compulsivo e straordinariamente intelligente di dati a vario livello che servono per conoscere e sapere e categorizzare potenzialmente l'intera umanità. Tutto può essere Big Data: dall'uso delle carte di credito a quelle fedeltà, dal cellulare ai social network, dalla sicurezza preventiva dei paesi all'attacco programmato degli stessi. Tutto è Big Data, e nonostante ci siano iniziative volte alla sensibilizzazione e analisi del "problema", questa nuova prospettiva non può che portare alla definitiva sparizione dell'uomo in quanto soggetto privato (nel senso che è privato della sfera privata). Data questa nuova prospettiva, quel che si può fare è quantomeno limitare la "donazione spontanea" di queste informazioni. Almeno per non dargliela vinta così facilmente.


* Big fuc#in' data, Big fu#kin' deal.

giovedì 7 marzo 2013

RIFARSI IL "TRUCCO"

Altre novità in arrivo per il vostro social network preferito: gli appuntamenti come and see presso il quartier generale di Facebook si fanno sempre più frequenti, segno che le innovazioni da mostrare sono sempre di più e rendono FB uno strumento sempre più dominante nel Web.
L'evento è previsto per stamattina (ora statunitense) e riguarderà importanti novità in termini di revisione della grafica della home page, ma anche - e soprattutto - di un nuovo modo di gestione del feed di notizie da parte degli utenti. Può sembrare un dettaglio secondario (d'altronde l'utente medio ha aspettative più elevate nei confronti del layout e nella "pulizia" dell'organizzazione dei contenuti), ma questa revisione altro non fa che rendere ancora più maturo questo social network in termini "puri", ossia di sito che gestisce dati digitali. Perché alla fine il succo della questione è sempre e solo uno: trovare modi per sfruttare al meglio l'imponente mole di informazioni che gravita all'interno del mondo Facebook. Troppi dati hanno bisogno di una sola cosa: un efficiente sistema di ricerca. Perché i dati sono lì, ma sono come stipati in una grande scatola, alla rinfusa: ecco invece che grazie alla ricerca intelligentemente dettagliata si possono subito recuperare i dati desiderati, il che è un po' come avere quei portatutto che si mettono nei cassetti. Facebook sarà davvero maturo solo quando sarà in grado di affinare questa ricerca, e tutte queste novità - Graph Search in testa, ovviamente - altro non fanno che confermare questa ipotesi. Vien da chiedersi allora se Facebook si rifaccia il trucco o se il trucco lo nasconda: perché il vantaggio per gli utenti è lì sotto gli occhi di tutti, ma bisogna capire che beneficio (largamente superiore) si celi per i gestori di tutti i dati. Forse il monito è proprio nel claim: come and see cosa siamo in grado di fare con tutti i vostri dati.