sabato 14 settembre 2013

PICCOLO MONDO (SEM)ANTICO

Pensavate fosse solo un social network? Beh, per i "normali" utenti forse sì, e forse a loro va bene anche così. Ma cosa succede quando si immagazzinano tante, tante, troppe informazioni? La categorizzazione dei dati è la vera e propria linfa vitale del nuovo Web in cui i social network rappresentano l'implementazione più semplice e immediata. Non sorprende certo leggere dell'introduzione, da parte di Facebook, degli #hashtag in stile Twitter: chiaro l'intento di sfida al suo principale alter ego. Ma forse, e si sottolinea forse, ci può esser qualcosa di più. Questa semplice nuova caratteristica può essere ovviamente solo e soltanto una...semplice nuova caratteristica, una possibilità in più per gli utenti di personalizzare ulteriormente l'esperienza interattiva attraverso il vostro social network preferito. Ma giorni e giorni di inserimento di informazioni da parte degli utenti altro non fanno che aumentare il calderone dei dati disponibili, e questi solo apparentemente possono essere slegati fra loro; dietro, un sistema parecchio sofisticato cerca di riconnettere i tratti unitari fra le informazioni, alla continua ricerca di un senso logico.
Già, un senso: fornire un significato, un'associazione logica, un filo connettore fra informazioni apparentemente diverse, cercando di intrecciare i dati per poter creare una trama così fitta da superare qualsiasi scenario da film fantascientifico. Questo è il sogno neanche troppo proibito di due categorie abbastanza antitetiche tra loro ma che non è affatto detto che non debbano mai rimanere distinte: da una parte ci sono i "divoratori" di dati come i proprietari dei social network - ma anche gli enti governativi, a quanto pare - che mirano appunto ad intercettare tutti i dati per la profilazione più accurata possibile di utenti e utilizzatori di dati digitali. Dall'altra parte, invece, ci sono gli studiosi di questi sistemi, a metà tra menti matematiche e linguistiche, il cui obiettivo è quello di dar vita una volta per tutte alla nuova versione del Web, da chiamare 3.0 o se preferite Web Semantico.
Siamo ormai da un po' nell'era delle informazioni stabili, digitali, veloci, abbondanti: la conoscenza (a vari livelli) si sta sempre di più riversando in Rete, e proprio per questo il potenziale testuale e multimediale (leggi: linguistico) è totalmente sfruttabile, oggi più che mai - e domani più di oggi. Il sogno di far ragionare una fredda macchina è una delle sfide che i linguisti computazionali sperano un giorno di vincere a loro favore: attualmente l'intelligenza artificiale è in grado di fornire livelli più che soddisfacenti in vari campi, ma per gli entusiasti della disciplina non basta. Insomma, il sogno e l'obiettivo è quello di raggiungere il livello del Test di Turing, e se non si arriverà a quel livello non si sentiranno mai soddisfatti a pieno. Solo immagazzinando dati si può "alimentare" il cervello di una macchina o di un algoritmo: ecco perché il Web Semantico si prefigge di andare nella stessa direzione, ossia quello di incrociare dati su dati esattamente come fa il cervello umano nella naturale associazione di idee derivanti da esperienza, memoria e conoscenza. Per fare questo occorre che tutte le informazioni siano legate, ma anche contrassegnate da una serie di attributi tali che possano diramarsi in una schiera pressoché infinita di relazioni, una sorta di incastro ben definito. Ecco perché i social network, pur occupando una piccola (ma significativa per i motivi sopra enunciati) porzione del Web sono il terreno perfetto per provare a sfruttare queste interconnessioni digitali: motivo per cui il progetto Graph Search di Facebook è un tentativo di implementare il Web Semantico, poiché la macchina interpreta la ricerca e fornisce risultati più o meno "ragionati", ma altro non è che il frutto dello sfruttamento dei (numerosi) dati personali degli utenti già preesistenti. E, data questa mole corposa di dati associabili e incrociabili, è abbastanza semplice per Facebook provare a fornire risposte utili agli utenti e anche a se stessa, per i suoi fini. Insomma, mancano solo le impronte digital-digitali e poi la schedatura è davvero compl...hmm ok, meglio soprassedere qui. Magari lo scenario descritto è un po' complottista e un po' apocalittico, ma queste sono o dovrebbero essere le direzioni verso cui va la ricerca della linguistica computazionale. Il punto è sempre lo stesso: con che spirito si sfruttano queste informazioni? Ricerca o speculazione? Interrogativi importanti, ma che vanno entrambi nello stesso...senso.

(Immagini via)

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