giovedì 25 luglio 2013

IL DECRETO DEL FARE (A MENO...)

Sono giorni importanti - ma è frase che si dice da un po' di tempo - per la politica nostrana, alle prese con l'approvazione di misure per rilanciare l'economia e la società del Bel Paese. In uno degli ultimi discorsi dell'attuale Premier di governo è balzata però una dichiarazione abbastanza "forte", se non altro per il riferimento mediatico esplicito. Il Primo Ministro, spiegando l'azione del governo attuale e l'iter che sta compiendo per (ri)portare il paese alle urne in condizioni più stabili, e soprattutto riferendosi alla mania dei politici di opposte fazioni di fare proclami a destra e a manca in maniera un po' troppo "facile", ha dichiarato che "cercare l'applauso individuale con un tweet o su Facebook non basta più", che è pratica troppo semplicistica e anche "da fighetti" (espressione splendida, peraltro). Vista - anzi, Letta (double pun inTended) da questa prospettiva la dichiarazione avrà fatto sicuramente fischiare le orecchie di ben più di un esponente politico. Al di là che il governo abbia prodotto risultati o meno (non è decisamente questa la sede per parlarne), resta questa frase per far capire quale siano le piattaforme migliori per fare un po' di chiasso, un po' di proseliti, un po' di scrittura vuota. E se è vero che la politica è lo specchio della società, beh, allora facile intuire come a livelli diversi la propagazione dei discorsi vacui sia un po' la caratteristica comune del governatore e del cittadino allo stesso tempo. Insomma, a conti fatti nel Decreto del Fare c'è un emendamento in più: provare a Fare un po' a meno dei social network per chiacchiere da bar e promesse da non mantenere.

mercoledì 17 luglio 2013

TECNOLOGIE SICURE

Gli ultimi fatti di cronaca hanno allertato il mondo intero a proposito del fatto che ormai tutte le comunicazioni digitali, in un modo o nell'altro, sono rintracciabili e contro-rintracciabili. Bisognerebbe trovare qualche tecnologia sicura e a prova di intercettazione ma si sa, una sequenza di 0 e 1 si può decriptare con una sequenza di 1 e 0: forse allora per evitare qualsiasi problema bisogna escogitare qualche "piano B" per sfuggire a controlli più o meno approfonditi. Historia magistra vitae, diceva qualcuno più erudito del sottoscritto: e in effetti in un'era in cui la tecnologia avanza a passi da gigante, il passato può regalare inaspettati porti sicuri. La notizia ha dell'incredibile, dell'anacronistico e onestamente puzza anche un po' di fake, ma pare che il Cremlino abbia deciso di ovviare al problema di possibili spie comprando il meglio dei ritrovati tecnologici attualmente disponibili sul mercato: delle macchine da scrivere. Sì, delle macchine da scrivere: non ci sono motivazioni ufficiali a riguardo, ma la solita fonte bene informata ha dichiarato che la spesa pari a circa 10 mila Euro in questi dispositivi sia da attribuire all'impossibilità, attraverso questa tecnica, di poter ricavare dati digitali in modo fraudolento. Insomma, si torna alla buona vecchia carta e al passato, e visto il protagonista della vicenda, questa motivazione fa riaffiorare vecchi ricordi non ancora sopiti. Il problema sarà probabilmente quello di assoldare degli stenografi abbastanza rapidi, vista la mole di dati che circola oggigiorno. Chissà, magari è un primo piccolo segno di ritorno a vecchie abitudini, dopo essere arrivati allo sdoganamento più totale della scrittura (!) attraverso social network e affini, Facebook in testa. Magari in futuro ci saranno meno diari e più diari, e la propria giornata non sarà scandita da 22 post ma da una Lettera22.

lunedì 15 luglio 2013

L'AMMINISTRAZIONE? PUBBLICA (SOLO IN BACHECA)

Il problema - se così lo si vuol definire - è arrivare a presentare i risultati di uno studio relativo alla presenza degli enti amministrativi su Facebook. Che, beninteso, non è affatto un problema, nel senso che queste iniziative sono sempre lodevoli: nell'ottica dell'istituzione al servizio del cittadino e nella prospettiva della trasparenza degli organismi statali, ben vengano queste analisi, sempre. Il punto è capire perché si arrivi a dover considerare Facebook come interfaccia principe nel rapporto tra utenti e istituzioni. Il lavoro è fatto benissimo e si può intuire come Comuni, Province e Regioni siano presenti o meno sul vostro social network preferito e che tipo di interazione o attività svolgano; d'altronde, la cronaca ha già presentato casi in cui amministratori comunali facciano di Facebook una sorta di attività obbligatoria che rientra nelle mansioni civiche, o di bacheche digitali utilizzate per segnalare disservizi e mancanze. Ma in un paese dall'età media abbastanza elevata e un numero rilevante di tardivi digitali, e soprattutto in un paese in cui l'iscrizione a Facebook non è (ancora?) obbligatoria, come può un'analisi del genere spiegare davvero la rappresentatività dello Stato e il suo rapporto con il dêmos? Perché non scoprire la presenza (o assenza, fate voi) di siti istituzionali e la loro frequenza di aggiornamento, di trasparenza dei dati, di risposta alle richieste del cittadino? Perché non analizzare come i social network possano essere un'ottima integrazione agli strumenti "liberi" e ufficiali, e non unici veicoli di informazione? Ecco, con queste variabili si potrebbe avere un quadro più completo del processo di digitalizzazione - siamo pur sempre nel 2013, eh! - e di interazione con l'utenza non-solo-virtuale: ai cittadini piace (anche) così, e non parliamo di like virtuali.

giovedì 11 luglio 2013

L'ANIMA(IL) DEL COMMERCIO

Internet vuol dire tante cose, ma tra le tante virtù che ha portato alle nostre società c'è quella di aver abbattuto i confini di spazio e tempo. In ottica commerciale, questo vuol dire che attraverso il Web è possibile mettersi in contatto con venditori di tutto il mondo: esistono piattaforme dedicate al commercio di largo consumo ed esistono i siti dei piccoli artigiani, grandi marketplace e siti per oggetti elitari, e così via. Insomma, in periodi di crisi il settore dell'e-commerce segna percentuali di crescita continui, perché davvero si può trovare di tutto e per tutte le tasche. Va da sé che anche le strategie di marketing connesse all'acquisto a distanza si siano per forza di cose dovute allontanare dalle politiche tradizionali: ed è pur vero che con l'esplosione dei social network si è verificata una vera e propria democratizzazione della proposizione di contenuti, beni e servizi. Insomma, si può vendere su Facebook, ma soprattutto si può promuovere il proprio brand su bacheche (altrui) e dintorni.
Tuttavia, come tutte le politiche e le strategie commerciali, bisogna sapere anche come vendere: in effetti non basta "essere" sui principali social per poter affermare di saper utilizzare quel canale per la promozione. Ci vogliono tempi e modi giusti, e questo vale per realtà piccole e grandi; il rischio è quello di trasformarsi in spammer. Ma anche l'offerta giusta sul vostro social network preferito potrebbe non bastare.
Una ricerca condotta su decine di milioni di clienti ha (sorprendentemente, ma non troppo) stabilito che non sono i social network a fornire il valore ROI più elevato: il trono (ahah) in questo senso spetta alla cara, vecchia email. Sono dunque le storiche newsletter, insieme all'esplorazione generica sui motori di ricerca, a smuovere davvero il redditizio mondo del commercio elettronico. I social network, dunque, restano un territorio ancora tutto da esplorare, o forse non sono davvero quel che serve per vendere. Alla base del commercio - anche e soprattutto in questa forma - ci dev'essere la fiducia e una certa rappresentatività della veri(dici)tà di un'azienda. Cose che evidentemente (ancora?) non si possono trovare su Facebook e dintorni. Insomma, gli e-sercenti preferiscono gli @cquirenti.

venerdì 5 luglio 2013

ABITU...DIARIO

Corriere.it pubblica una lista di 24 abitudini perse o trasformate grazie ai (o per colpa dei) social network, Facebook in testa (e anche un po' Twitter, come recita la descrizione dell'articolo). Probabilmente ci si ritrova un po' tutti in questa lista, non foss'altro perché i più hanno sempre detestato l'obbligatoria sessione di visione foto della vacanza delle proprie zie (abitudine 1) o perché ai più davvero non interessa nulla del cibo preparato da questo o quell'amico, ché tanto è solo un'immagine (10). E se già il vecchio SMS ha sotterrato la pratica della chiamata d'auguri (12), d'altra parte i social hanno dato a tutti - ma proprio a tutti (21) la possibilità di manifestare la propria opinione, anche se questa è poco fondata su principi scientifici (23): per fortuna, va aggiunto che spesso sui social (Twitter e Youtube su tutti, vien da dire) si trovano commenti di persone senza identità precisa - e forse è proprio questo il bello - di una genialità disarmante (24). C'è però un'abitudine abbastanza particolare che forse fa capire davvero come sia cambiato il modo di fare e ricevere informazione nel giro di pochissimi anni: quella di affidarsi a Facebook, e in particolare al flusso di notizie riportate dagli amici, per aggiornarsi sugli eventi di attualità. Una volta (14) tutto passava dai siti web tradizionali di testate giornalistiche, agenzie di stampa, blog specializzati in questo o quel settore, e sui siti ci si finiva per davvero: adesso pare che la tendenza sia quella "accontentarsi" delle condivisioni altrui, e molto spesso provenienti dalla sola pagina social di un sito. Forse è anche per questo che Facebook stia pensando ad un'applicazione specifica per le notizie (quanto imparziale non si sa, visto che Mr. Facebook ha comunque palesato una certa tendenza ideologica). Insomma, "vecchia" informazione digitale o "nuovo" feed da bacheca? Il popolo della Rete si (con)divide.

martedì 2 luglio 2013

PAGINE BIANCHE SULLE PAGINE IN BLU

Avete presente le bacheche? No, non quelle del vostro social network preferito, a quelle ci si arriva tra un pochino: stavolta si intende quelle tradizionali, offline, quelle su cui pubblicare annunci - all'università, ad esempio. Campeggia spesso un dato sensibile, un dato molto personale, vale a dire il numero di telefono o l'indirizzo email; soprattutto nel primo caso si tratta di un'informazione davvero personale, uno di quei dati da non rivelare proprio ai quattro venti. E infatti la "logica" della bacheca (sì, sempre quella tradizionale, quella offline) vuole che quel numero venga presto dimenticato, vuoi per la pulizia abitudinaria degli spazi per gli annunci oppure perché quel vendo/cerco passerà presto in secondo piano sotto un'altra richiesta o offerta più recente. Ma con le bacheche digitali (stavolta sì, quelle di Facebook e affini) il rischio di non poter finire mai in background può generare grossi problemi di privacy - e in questo caso è soprattutto l'email a far gola, dato il volume generato quotidianamente da spam e simili. Si parla tanto di protezione e trattamento dei dati, e poi si finisce col leggere che nel giro di pochi giorni Facebook ha reso pubblici 6 milioni (non saranno tantissimi rispetto al miliardo e passa di iscritti, ma il numero è comunque importante) di indirizzi email e numeri di telefono per colpa di una falla; e sempre per via di un bug un utente è riuscito, tramite procedura di acquisizione automatica di dati, a rastrellare 2 milioni di numeri di telefono di iscritti a Facebook. Insomma, c'è di che riempirsi l'agendina: l'obiettivo era però solo quello benevolo di informare il Quartier Generale di FB per segnalare l'anomalia. Di tutta risposta però lo sviluppatore in questione ha ricevuto un messaggio di diffida per una sorta di appropriazione indebita di dati attraverso procedura automatica di acquisizione di informazioni: insomma, oltre al danno la beffa, come spesso accade. Roba da cancellarli dall'elenco.