lunedì 29 novembre 2010

IL PARERE DELL'ESPERTO

In vent'anni succedono tante cose: passano le generazioni, si susseguono tantissimi eventi, cambia la storia. Internet, questa immensa risorsa che ha cambiato le nostre vite, ha solo vent'anni. E, a quanto dice il suo "papà", vive i problemi legati alla sua post-adolescenza. Nell'ultimo numero di Scientific American, il baronetto Tim Berners-Lee spiega come, a distanza di due decadi, il concetto di Internet via Web sia profondamente cambiato e stia profondamente mutando. Non per forza in meglio, s'intende. Berners-Lee: vi dice nulla questo nome? Se la risposta è no, allora siete troppo giovani oppure non avete mai investigato la storia del WWW. Sir Tim è "semplicemente" l'inventore del World Wide Web, colui il quale ha fornito al mondo lo standard necessario per connetterci alle pagine Web attraverso un browser. Insomma, è di fatto un eroe dei nostri tempi, perché ha permesso lo sviluppo di una risorsa universale in fatto di tempo, spazio e persone. Nel suo articolo, egli fornisce un quadro attuale a proposito della "salute" del Web, e le notizie non sono così confortanti. Nell'ottica della minaccia alla neutralità del Web, Berners-Lee punta il dito contro i possibili accordi per la fornitura di servizi Internet "di serie A", e poi si concentra sulle possibili minacce non a livello infrastrutturale ma molto più terreno. E tra queste minacce i social network vengono considerati i più pericolosi, per via delle loro strutture "chiuse" (almeno nelle intenzioni strutturali, visto che tanto chiusi - a livello di dispersione pubblica di dati - non sono) e per il fatto che, per via dell'uso troppo massiccio e incontrollato, possono costituire una sorta di monopolio che non giova alla libera circolazione delle informazioni. Insomma, per il creatore del Web la minaccia del web non è Friendster, è Facebook. E non lo dice una persona qualsiasi: il papà del Web ha detto che il suo figlioletto frequenta cattive compagnie. Come dargli torto, del resto?

domenica 28 novembre 2010

LIQUIDATA CON UN PERCHE'...ANZI, NO!

A volte mi chiedo: perché stupirsi troppo e lamentarsi se le persone confidano i fatti propri (anche delicati) pubblicamente e poi invocano un rispetto della privacy? Nessuno forza le persone a scrivere determinate cose sulla propria bacheca che, per quanto "privata" possa essere, sarà sempre uno spazio (semi)pubblico accessibile e visibile alla propria cerchia di amici, in realtà talmente vasta che alla fin fine qualcuno sarà sempre pronto a pugnalarti alle spalle. L'ultima notizia (ripresa da Corriere.it via tabloid inglesi) parla di un licenziamento di un'impiegata della Bank of Scotland per aver diffuso informazioni riservate relative alle politiche societarie. In pratica, alla signor(in)a Furlong era stata già notificata l'interruzione del rapporto di lavoro con tanto di buonuscita da seimila sterline. E proprio questa somma rappresenta il casus belli della questione: l'ormai ex impiegata ha pensato bene di postare la sua vicenda fornendo informazioni dettagliate circa i particolari contrattuali del suo licenziamento. Apriti cielo: qualcuno lì fuori - evidentemente senza troppe difficoltà - è venuto a saperlo e per la donna è scattato il licenziamento senza buonuscita. Il tutto per un post (scritto, firmato, controfirmato & pubblico) di troppo. Come al solito.

venerdì 26 novembre 2010

IN YOUR FACE

Ormai business e megalomania si fondono in quello che - spero si sia capito - è diventato qualcosa di più di un semplice social network. Sentite questa: pare che Mr. Facebook abbia deciso di brevettare (dunque di appropriarsi) la parola "Face" per fini commerciali. Cosa vuol dire tutto questo? Che su internet (ma anche in contesti più fisici come prodotti reali) non sarà più possibile avere un dominio che contenga questa parola o qualcosa di molto simile (per quanto siti contenenti il lemma "incriminato" siano già presenti), perché di fatto si rischierebbe una violazione o sfruttamento indebito di marchio registrato.
Unico settore lasciato fuori è quello dell'industria automobilistica, quindi una futura FaceCar sarà magari disponibile in futuro (boh..). Ma c'è di peggio: in futuro magari aprendo un dizionario alla parola face troveremo un marchio registrato e/o la faccia del furbo proprietario del vostro social network preferito. Preferivo i cari vecchi tempi in cui aprendo alla parola stupido si incontravano volti più familiari e mitici per merito!

giovedì 25 novembre 2010

IL RISCHIO DI STAR MALE

Della patologia da Facebook si è parlato in queste pagine più di un mese fa, e non capisco come mai numerose testate giornalistiche e siti Web si occupino della cosa con notevole ritardo; fatto sta che la dipendenza da Facebook o affini è oggetto del solito, atavico dubbio. Facebook fa male o no? E "stare-su-Facebook" è dannoso o no? Anche per la domanda di oggi ci sono due arringhe, una a favore e una contro. Ovviamente non mi esprimo a riguardo del punto di vista da sposare: dico solo che gli entusiasti da Facebook parlano di "educazione alla rete e ai social network, soprattutto per i più piccoli"; giustissimo, se non fosse che per molti la frittata è fatta e numerosi dati sono alla mercé di tutti. Senza contare che anche i più grandicelli sono esposti a "fregature varie": non pensate di essere esenti dal link malvagio, 100 milioni (1 su 5) è un numero da non prendere sottogamba...

lunedì 22 novembre 2010

SORPASSO E "SGASATA"

Del sorpasso di Facebook su Google si è già parlato più di sei mesi fa. La notizia è una sorta di aggiornamento, nel senso che a distanza di tempo - come riporta una notizia di Repubblica.it - Facebook continua a crescere in fatto di pagine visitate, e guarda ancora dall'alto in basso il motore di ricerca più famoso del mondo. I dati di Fb sono onestamente impressionanti: un quarto del traffico Web mosso negli Stati Uniti ha toccato il 25%. Questo vuol dire che una pagina su quattro parla di tag, gruppi, status update: è la vittoria dei contenuti generati "dal basso"? E' possibile, se si pensa che a livello globale la fetta di mercato di Facebook raggiunge il 10%. E Google? Si consola con il primato degli utenti unici: questo vuol dire che un numero maggiore di persone utilizza Google, mentre su Facebook si consultano più pagine. E vorrei ben vedere, vista tutta la mole di gossip da dover consultare...

D'accordo, ormai Facebook pare inarrestabile. Il problema, tuttavia, resta sempre lo stesso: non si può paragonare Google a Facebook (anche se qualcuno confonde le due cose). Sono due cose radicalmente diverse e non ci vuole una laurea per capirlo. Probabilmente il paragone è spesso effettuato per evidenti ragioni di fama e successo, visto che le due aziende generano fatturati astronomici. Ma restano due servizi sostanzialmente diversi, quindi è giusto mettere le cose in chiaro. Certo, l'obiettivo di Facebook è stato sempre quello di raggiungere il sito per eccellenza, e il fatto che ultimamente abbia implementato un servizio mail non fa che confermare questa impressione. Ma anche qui la base di partenza è un pochino differente, visto che la mail @Facebook, nell'intento originale, serve per raggruppare tutti i contatti sociali (o finti tali) con il proprio network di amicizie (mentre la mail è nata come servizio "universale", senza limiti, e il servizio mail di Google in questo senso ha colto perfettamente nel segno).   Senza contare che Google è l'espressione libera di una ricerca senza vincoli, mentre quella di Facebook è più settoriale, mirata, intima e personale. Qual è la verità, allora? Da che parte stare? Come intendere Internet nel secondo decennio del nuovo millennio? E soprattutto, l'impressione sempre più condivisa è che Facebook stia andando un po' troppo verso un sovraccarico di informazioni. Dati alla mano, sembra proprio che la gente voglia questo: vedremo se il futuro non si ritorca contro di loro...d'altronde, il troppo stroppia, no?

venerdì 19 novembre 2010

AL LAVORO!

Facebook e produttività, un matrimonio che non s'ha da fare. Anzi sì. E' senz'altro controverso il rapporto tra il vostro social network preferito e il mondo del lavoro: se è vero che c'è gente che non nasconde di usarlo anche durante la giornata lavorativa, dall'altra parte è pur vero che non c'è tentazione migliore, da parte del capo del personale o dell'addetto alle risorse umane, di andare a sbirciare su Facebook il possibile prossimo assunto in azienda.
Insomma, che si ami o si odi, Facebook sul luogo di lavoro genera ancora una volta una divisione netta di vedute. Bloccare il sito in azienda? Controproduttivo in certi casi, visto che come strumento pubblico di promozione di beni o servizi non sembra esserci al momento un mezzo migliore. Che fare, dunque? Affidarsi al buon senso (il caro, vecchio buon senso): ad esempio, la Cgil di Firenze ha vietato l'uso di Facebook in ufficio, chiedendo ai propri dipendenti (e non oscurando del tutto il sito) di non accedere con gli account personali, ma solo con le credenziali relative al profilo aziendale, cioè la pagina locale del sindacato. C'è invece chi, evidentemente con dati alla mano, ha pensato bene di tagliare la testa al toro. Sempre qualche settimana fa è scattato il divieto negli uffici della Regione Lazio: Facebook non si può utilizzare, poiché s'è scoperto che gran parte del traffico Web (settanta per cento, mica bruscolini) da parte dei dipendenti finisce dritto dritto sul dominio più controverso degli ultimi anni. Le motivazioni ufficiali? Facebook risponde ad un "utilizzo ludico o comunque non attinente all'attività lavorativa della rete internet da parte dei dipendenti regionali" (testuali parole). Insomma, fino a che Facebook non abiliterà la possibilità di fare i certificati, nella Capitale e dintorni niente Fb. Fatevene una ragione...
Ma a quanto pare il discorso sembra ben più ampio di quanto non lo si creda. Pare infatti che ci sia un vero e proprio Facebook divide in Italia relativo alla possibilità d'accesso al sito. Secondo uno studio apparso su LaStampa.it, infatti, un lavoratore su due non ha accesso a Facebook perché oscurato a monte, ossia dall'azienda stessa. Niente profilo aziendale, niente svago durante la pausa pranzo: per il 52% del campione Facebook è off-limits, semplicemente. E dire che altri dati riportano ad un uso innocente da parte degli iscritti: secondo un altro studio apparso su Repubblica.it, Facebook in ufficio è roba da guardoni, non da utenti 2.0. In altre parole (sempre per coloro che hanno accesso in ufficio, beninteso), durante la giornata ci si limita semplicemente a guardare quello che accade sulla propria bacheca o su quella dei propri amici. Al massimo si guarda qualche foto nuova, ma niente attivismo. Insomma, solo gossip bello e puro, per farla breve.
E infine l'ultima campana: Corriere.it ci svela che distrarsi online fa bene alla produttività. Semaforo verde a Facebook, anche se il segreto è la giusta misura (appunto...): quindi bando agli orchi cattivi che oscurano Facebook, essi fanno solo del male all'azienda e ai propri dipendenti. Che sia in cantiere uno sciopero per quelli che non hanno accesso a Facebook? Tutto è possibile, non mi stupirebbe affatto.

E in chiusura di questo post-fiume il sondaggio finale: siete pro o contro l'uso di Facebook in ufficio? Rispondete qui, poi vedete la percentuale dei risultati. Capirete che certe volte è davvero difficile lottare contro i mulini a vento.

mercoledì 17 novembre 2010

ERANO MEGLIO I BIGLIETTINI DI CARTA...

Beninteso, la notizia in sé non è negativa; il problema risiede nel momento in cui si pensa di essere liberi e al sicuro e si affidano tutti i propri dati in balia di organismi che credete siano lontani da occhi indiscreti. Fatevene una ragione: non è così, e questo vale per tutti.

lunedì 15 novembre 2010

IL PICCOLO SENTIERO

Dimenticate gli studi universitari e i numeri perfetti relativi ai gruppi di amici: ora la parola d'ordine è "minimalismo" (magari fosse davvero così). Repubblica.it pubblica la notizia di un nuovo piccolo e intimo anti-Facebook: si chiama Path, e si propone come un personal network. In che senso personal? Nel senso che la propria lista contatti non può superare le cinquanta unità. Già, dimenticate le migliaia di amici che intasano con le loro utilissime informazioni la vostra bacheca: con Path il network è davvero ristretto. Il sistema è pensato per smartphone e cellulari di ultima generazione, ed è soprattutto mirato alla condivisione di fotografie scattate proprio con i moderni telefoni. Tra le sue peculiarità sicuramente spicca quella di essere davvero ridotto all'osso: niente commenti, niente "mi piace", solo un obiettivo, e cioè quello di condividere ciò che passa attraverso un obiettivo (pun intended). Basta e avanza, no?

domenica 14 novembre 2010

CONTROLLI DI SICUREZZA

Di video virali se ne vedono tanti in giro, di fake belli e buoni anche: ecco, si spera che il video che pubblicizza un nuovo strumento anti-posting a causa dell'elevato tasso alcolico sia una goliardia, una presa in giro. Dopo la campagna (legittima) Be alive: Don't drink & drive arriva Don't drink & post? Ditemi che non è vero, vi prego!

sabato 13 novembre 2010

A LIFE IN A DAY

Si può riassumere tutta una vita in pochi minuti utilizzando tutti (ma proprio tutti) i luoghi comuni e le cattive abitudini che hanno luogo sul vostro social network preferito? Pare di sì, visto che la vita di Alex Droner passa tutta attraverso Facebook. Vita, morte e miracoli si potrebbe dire: ma anche tag inopportuni, foto a iosa, ogni status update a fare da contorno alla propria esistenza. Non manca niente, neanche l'ultimo definitivo logout. Il video è opera di Maxime Luère (vi chiede di aggiungerlo come amico: fatelo, tanto uno più uno meno...), e se vi ritrovate in questo video, beh, pensate un attimo al rapporto di dipendenza che avete con questo sito. Anche Wired.it propone il video A life on Facebook, e rilancia con Catfish, un (altro) film basato sul rapporto tra quotidianità e Facebook. Tuttavia, nell'articolo si muove una critica al film, definendolo "troppo Grande Fratello": beh, invece dovrebbe essere un aspetto positivo, visto che vuol dire che il film racconta semplicemente la verità. Facebook e Grande Fratello, dov'è la differenza?

PS: Il titolo del post rievoca (ovviamente) una canzone dei Beatles...potevo forse lasciare il predominio agli Stones che fanno da colonna sonora al video? No way...

venerdì 12 novembre 2010

DROP IT LIKE IT [was] HOT*

E poi si dice che uno non deve combattere la sua personalissima guerra (virtuale, s'intende). C'era una volta un bel servizio web che si chiamava Drop.io. Non ti chiedeva nulla e ti dava tanto. Cosa ti chiedeva? Un semplice indirizzo mail per il login. Cosa ti offriva? Uno spazio gratuito di archiviazione di file: in pratica, ti permetteva di andare in cloud computing senza troppe procedure di identificazione e problemi. In pratica, ti dava la possibilità di avere sempre determinati file a disposizione, senza dover avere con sé una chiavetta Usb, un disco ottico, una periferica di archiviazione. In pratica, bastava un pc, anche non il tuo: il tuo drop aveva il nome che desideravi sotto forma di URL, e non serviva altro. Solo un indirizzo mail (e in più, ti dava un indirizzo mail correlato al drop per poter mandare i file direttamente al cloud mandando i contenuti su quella mail, un piccolo lusso). In pratica, non chiedeva nulla e dava tanto. Pubblicità? Neanche a parlarne, non esistevano. Era una piccola isoletta virtuale privata ma di indubbia utilità. E poi, cos'è successo?
Niente: è successo che un giorno arrivò il gigante cattivo e si mangiò l'isoletta felice. D'accordo, la giovane storia di Internet è costellata di acquisizioni da parte di grandi siti e/o aziende (una su tutte? Google che si compra Youtube, ma almeno i video sul tubo si possono vedere senza per forza loggarsi), quindi è chiaro che se Facebook compra Drop.io rientriamo nella normalità delle cose; ma se il vostro social network preferito si mangia un servizio che fa della discrezione e della semplicità d'uso il suo punto di forza, allora state certi di un paio di cose. La prima: se un gigante mette gli occhi su un servizio più piccolo, vuol dire che questo funziona bene, è di successo e si può spremere il massimo in termini economici da questa acquisizione. Secondo: se Facebook acquisisce una piattaforma di condivisione file, aspettatevi qualche sorpresa, non per forza positiva. Perché Drop.io non ti chiedeva nulla: il gigante invece è esoso.

E ora? Alternative con le stesse caratteristiche? Non le cerca solo il sottoscritto: ah, e non ditemi Dropbox, non è la stessa cosa. Non funziona allo stesso modo: d'altronde, mica se l'è comprato Facebook...

*= beat tra i migliori in assoluto nella storia della musica, IMHO.

martedì 9 novembre 2010

JIMMY IL FENOMENO

No, non il mitico personaggio dei bei film che facevano un tempo...il fenomeno in questione è Jimmy Kimmel, conduttore di un popolare show negli Stati Uniti. In una delle sue ultime puntate, Jimmy ha annunciato ufficialmente il National UnFriend Day (termine ormai di uso comune): come riportano alcune testate nostrane, si tratta di fare "pulizia" tra i propri contatti Facebook, eliminando quelli con i quali non avete in realtà mai scambiato una parola, sia virtuale che reale. Lo so che se tutti seguissero questo consiglio Facebook non avrebbe (quasi) più senso e che tutti ridurrebbero del 90% la propria lista "amici", ma val la pena tentare. Appuntamento fissato per il 17 novembre: provateci a casa.

lunedì 8 novembre 2010

UN "CONSIGLIO": STAI ATTENTO A CIO' CHE DICI...

Facebook e politica: binomio potenzialmente esplosivo, soprattutto con l'avvento della logica dell'have your say in tempo reale. Tra i personaggi politici (e quelli pubblici in generale) è un must avere una pagina personale per essere a diretto contatto con i cittadini: ovviamente la cosa ha un senso, d'altronde quale miglior mezzo per raggiungere potenziali elettori? Peccato che per ogni sostenitore ci sia un detrattore, e spesso finisce che più che dialogo costruttivo si parla di dialettica totalmente distruttiva. E' notizia di oggi lo "sbarco" su Facebook di Sua Maestà la Regina del Regno Unito: un modo per avvicinarsi ai suoi sudditi, certo, ma come in tutte le case reali (reali nel senso di rango, questa di fatto è una casa "virtuale") ci sono delle regole severe da rispettare. Una su tutte? Evitare espressioni offensive e ingiuriose: d'altronde offendereste mai la Regina di persona? Probabilmente no, dunque perché farlo online? Perché online pensate che la si possa far franca? Perché non esiste educazione (in tutti i sensi)? Probabilmente è questo il punto: in rete e schermati da un computer tutto è concesso, ma non va proprio così. Questa logica evidentemente non è presa così tanto in considerazione a livelli politici più "locali", per così dire. Qualche tempo fa si è scatenato l'ennesimo dibattito sull'uso di Facebook come agorà ideale per insulti offensivi e poco educati. La "miccia", per così dire, è stata innescata durante un recente Consiglio Comunale della città di Bari, allorché il Sindaco del capoluogo pugliese ha pensato bene di interfacciarsi con la sua schiera di sostenitori proprio nel bel mezzo della seduta politica, scrivendo commenti relativi agli interventi dell'opposizione. Apriti cielo: subito si è scatenato il popolo della Rete che ha cominciato, proprio sulla pagina FB del primo cittadino, a subissare di insulti (anche pesanti) il "nemico" politico. Quest'ultimo, accortosi che il Sindaco prestava attenzione solo al suo mezzo elettronico (un iPad, per la precisione) lo ha accusato di scarso interesse nei confronti delle problematiche della città, poiché di fatto "perdeva tempo" su Internet e sul vostro social network preferito. Ora, premesso che la storia potrebbe avere un seguito giudiziario, il problema è duplice. Da una parte c'è il popolo della Rete che fa dell'insulto facile una ragione di vita (probabilmente non rendendosi conto che scripta manent, e che dietro alle ingiurie ci sono i loro nomi e cognomi, dunque sarebbero facilmente perseguibili), dall'altra c'è una figura pubblica (destra o sinistra, ovviamente non importa) che magari con un pochino di raziocinio in più avrebbe potuto evitare di alzare il consueto polverone. Una volta ci si estraniava da noiose riunioni scribacchiando su un foglio e vagando con la mente: attività poco sociale e molto offline, ma almeno nessuno ti poteva tacciare di cattiva educazione. Ora si scribacchia su un tablet e lo sa tutto il mondo: la differenza sta solo (per così dire) in questo piccolo particolare.

sabato 6 novembre 2010

I DIECI COMANDAMENTI/3

E sono trenta, conti alla mano. Dopo i primi e i secondi decaloghi sulle regole da rispettare (o provare a rispettare) nei social network, in primis il vostro preferito, il Sun pubblica la terza lista che ci (vi) illumina a proposito delle informazioni da non pubblicare mai su Facebook e dintorni. Cosa non scrivere mai e poi mai? Data e luogo di nascita, cognome di vostra madre da nubile (spesso il dato coincide con le "domande di sicurezza" di molti siti e/o provider di mail), indirizzo di casa, notizie e/o (fastidiosissimi) countdown in materia di vacanze personali, informazioni su brevi spostamenti (altrimenti la gente ne approfitta), foto non appropriate (il vostro capo può sempre spiarvi), informazioni confidenziali (confidenziali su una bacheca semi-pubblica? succede, succede...) numeri di telefono, nomi dei propri bambini. Come dite? Sono nove? Beh, l'ultimo è un consiglio generico, ed è quello di non avere un profilo completamente aperto. Ottimo decalogo, utile in un mondo perfetto: peccato che se tutti rispettassero queste regole Facebook sarebbe già fallito da un pezzo per mancanza di informazioni da prendere e rivendere...

venerdì 5 novembre 2010

NUOVI MOVENTI

Dimenticate Duisburg, Columbine o il Circeo: oggi si ammazza per "colpa" di Facebook. Inutile entrare nelle motivazioni che soggiaciono a questi tristi eventi (meglio non saperlo), la realtà è purtroppo (anche) questa. O almeno, è quella che passano i giornali.

giovedì 4 novembre 2010

IO ODIO IL LUNEDI'

Avrei potuto aspettare l'inizio della prossima settimana per questo post, ma d'altronde perché aspettare quando si hanno queste notizie che ti svoltano la giornata? Repubblica.it pubblica lo scoop: il giorno più probabile della fine di una relazione sentimentale è il lunedì, giorno odiato dal 99,99% dell'umanità. Su che basi scientifiche si fonda questo essenziale dato? Ma su Facebook, ovviamente. Autore della ricerca è David McCandless, giornalista e tanto altro, che si è basato sullo status di 10mila utenti del vostro social network preferito per creare un'infografica che mostra i picchi in cui le parole "rotto" e "rottura" compaiono più spesso (nell'idioma parlato nella perfida Albione i termini sono broken up e break-up). Beninteso, la ricerca è seria ed è anche piuttosto presa in considerazione, visto che si parla spesso di questo studio e lo stesso McCandless ha presentato questo lavoro inserito nel più ampio contesto della diffusione delle informazioni in forma creativa (argomento, questo, davvero condivisibile) al TED di qualche mese fa (mica il Bar dello Sport, intendiamoci). L'intervento di David lo si trova qui (nello specifico dal minuto 06:18), e val la pena vederlo (peraltro c'è la possibilità di fruire dell'ottima traduzione in diverse lingue). Tutti d'accordo sulla spettacolarizzazione dei dati, niente da dire: certo, lo studio su Facebook magari si può contestare, non solo perché tutti i dati vanno ben contestualizzati, ma soprattutto perché magari la gente nel proprio status scrive che si è "rotta di Facebook". Magari.

mercoledì 3 novembre 2010

AMARCORD

Dai, ogni tanto bisogna ridere, perché fare sempre i seri? Il post di oggi è un'immagine divertente che prende in giro i modi di dire (con registri e stili diversi), di fare (rispondere ai propri commenti) e di interagire (gli ormai inevitabili like) nell'era di Facebook. Ma i protagonisti di questi status update e conversazioni varie sono personaggi che fanno riferimento ad eventi storici: avrebbero scritto proprio così se avessero avuto Fb? Godetevelo, it's kinda funny.

-If Facebook existed years ago...-


Thanks L. for the news! 

lunedì 1 novembre 2010

QUESTIONE DI FAMIGLIA

Dice un detto: errare è umano, perseverare è diabolico. Niente di più vero, soprattutto quando gli errori si ritorcono contro altre persone la cui posizione (sociale, politica o quant'altro) è definibile come delicata. La notizia del giorno riguarda Corinne Sawers e una foto postata (guarda caso) sul suo profilo Facebook. Una foto come tante altre? Beh, sì e no, nel senso che nell'immagine si vede un bell'albero di Natale sullo sfondo (e fin qui tutto normale) e la bionda ragazza con un kalashnikov (dorato) in mano. Soltanto un'innocente foto gangsta? Non proprio. Corinne Sawers è solo la figlia del capo dei servizi segreti Britannici (MI6), quindi si può ben intuire che valenza possa assumere quella foto. D'accordo, essere figlio di non è mica una colpa (anche se talvolta ritrovi magicamente figli di in contesti molto pubblici), però ogni tanto pensare fino a 10 prima di fare determinate azioni aiuta, signorina Sawers. Ho detto Sawers? Proprio quel Sawers la cui moglie pubblicò (sempre su Facebook, ça va sans dire) foto private del marito che tutto il mondo ammirò? Già, proprio lui. Errare è umano: il problema è che se hai madre e figlia con l'ossessione da Facebook, non c'è servizio segreto che tenga.