venerdì 13 novembre 2009

ANYTHING YOU DO WRITE MAY BE GIVEN IN EVIDENCE - PART II

E infatti, poiché le notizie non "atterrano" mai per caso, dopo aver parlato delle tracce sui social network come prove impugnabili, ecco arrivare un altro caso di presenza online come rappresentazione della presenza fisica di una persona. Stavolta non si tratta di un semplice furto come nel caso precedente, bensì di un omicidio. E il presunto colpevole, per cercare di depistare le indagini, ha effettuato l'accesso su Facebook per conto della vittima, scrivendo messaggi che in qualche modo erano in grado di scagionare il (sempre presunto) colpevole. L'ennesima dimostrazione che non basta una username e una password per diventare "reali", non basta un poke o un messaggio in bacheca per dimostrare un'innocenza. L'ennesima dimostrazione che Facebook non è la vita reale.

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